L'uscelletti de razza
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
L’USCELLETTI DE RAZZA.
Doppo ch’er gatto tuo diede la fuga
Ar mi’ cardello, la madre Vicaria
M’arigalò un canario e una canaria,
Ggialli come du’ cicci1 de lattuga.
Quanti so’2 ccari! Lei sciangotta,3 ruga,4
Spizzica5 er becco ar maschio, e cce se svaria;6
E questo canta, quanno sente l’aria,
Come er fischietto a acqua che sse suga.
Mo la femmina ar nido ha ffatto l’ova,
E cquanno va a mmaggnà la canipuccia,7
Presto vola er marito e jje le cova.
Si8 ttu vvedi la femmina, coll’ale
Mezz’aperte covanno in quela cuccia,
Pare un Papa in zedione cór piviale.
30 aprile 1835.
Note
- ↑ Ciccio dicesi quel fascetto di foglie più tenere che sono come l’anima dell’erbe fatte crescere legate. [A Firenze, grumolo; a Pistoja, cimolo; in qualche luogo dell’Umbria, cacchietto; ecc.]
- ↑ Quanto sono.
- ↑ Ciangottare: emetter suono di voce poco articolata e distinta.
- ↑ Rugare: garrire con una specie di stizza.
- ↑ Bezzica.
- ↑ Ci si diverte.
- ↑ [Il seme della canapa, che si dà appunto a mangiare a’ canarini e ad altri uccelli.]
- ↑ Se.