L'isola misteriosa/Parte seconda/Capitolo XIX

Parte seconda - Capitolo XIX

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO XIX.


Ricordi della patria — Disegno di ricognizione delle coste dell’isola — Partenza del 16 aprile — La penisola Serpentina vista dal mare — I basalti della costa occidentale — Cattivo tempo — Viene la notte — Nuovo incidente.

Già due anni! E da due anni i coloni non avevano avuta veruna comunicazione coi loro simili! Erano senza notizie del mondo incivilito, perduti su quell’isola, proprio come se fossero stati su qualche infimo asteroide del mondo solare!

Che avveniva frattanto nel loro paese?

L’immagine della patria era sempre presente ai loro occhi, questa patria lacerata dalla guerra civile al momento in cui l’avevano lasciata e che forse la ribellione del Sud insanguinava ancora! Era per essi un gran dolore, e spesso discorrevano di tali cose, senza mai dubitare per altro del trionfo della causa del Nord per l’onore della Confederazione americana.

In questi due anni nessuna nave era passata in vista, od almeno nessuna vela era stata veduta. Evidentemente l’isola Lincoln si trovava fuori delle vie percorse, e fors’anco era incognita, come del resto provavano le carte poichè, in mancanza di un porto, le navi avrebbero dovuto andarvi almeno per rinnovare la provvista d’acqua. Ma il mare che la circondava era sempre deserto fin dove poteva spingersi lo sguardo; ed i coloni non dovevano contar che sopra sè stessi per tornare in patria.

Pure una speranza di salvezza rimaneva, e questa speranza appunto fu discussa un giorno della prima settimana di aprile dai coloni riuniti nella sala del Palazzo di Granito. [p. 102 modifica]

Si era parlato dell’America e del paese natale, che si aveva così poca speranza di rivedere.

— Assolutamente non avremo che un mezzo, disse Gedeone Spilett, un solo mezzo di lasciar l’isola Lincoln, e sarà di costrurre un bastimento grande tanto da poter tenere il mare per qualche centinajo di miglia. Mi sembra che quando si ha fatto una scialuppa si possa anche fare una nave!

— E che si possa andare alle Pomotù, aggiunse Harbert, quando si è andati all’isola Tabor!

— Non dico di no, rispose Pencroff — il quale aveva sempre voto preponderante nelle questioni marittime — non dico di no, sebbene non sia la medesima cosa l’andar vicino, e l’andar lontano. Se la nostra scialuppa fosse stata minacciata da qualche colpo di vento durante il tragitto all’isola Tabor, sapevamo che il porto non era lungi nè da una parte, nè dall’altra. Ma mille e dugento miglia da percorrere sono un bel tratto, e la terra più vicina è almeno a tale distanza.

— Forse che all’occorrenza non tentereste l’avventura, Pencroff? domandò il reporter.

— Tenterò tutto quello che vorrete, rispose il marinajo, e sapete bene che non son uomo da dare indietro.

— Osserva, d’altra parte, che noi contiamo un marinajo di più; notò Nab.

— Chi mai? chiese Pencroff.

— Ayrton.

— È giusto, rispose Harbert.

— Purchè acconsentisse a venire! disse Pencroff.

— Credete dunque che se lo yact di lord Glenaryan si fosse presentato all’isola Tabor mentre egli l’abitava ancora, Ayrton avrebbe rifiutato di partire? chiese il reporter.

— Voi dimenticate, entrò a dire Cyrus Smith, che Ayrton non aveva più la ragione negli ultimi anni [p. 103 modifica]del suo soggiorno nell’isola. Ma il quesito non sta qui; si tratta di sapere se dobbiamo contare fra le nostre speranze di salvezza il ritorno della nave scozzese. Ora lord Glenarvan ha promesso ad Ayrton di venirlo a ripigliare quando credesse il suo delitto abbastanza espiato; credo che ritornerà.

— Sì, disse il reporter, ed aggiungerò che ritornerà presto, perchè sono dodici anni che Ayrton è stato abbandonato.

— Eh! rispose Pencroff, sono d’accordo con voi che il lord ritornerà, e presto anche, ma dove si fermerà? all’isola Tabor, e non all’isola Lincoln.

— Ciò è tanto più certo, rispose Harbert, in quanto l’isola Lincoln non è nemmeno notata sulla carta.

– Dunque, amici miei, soggiunse l’ingegnere, dobbiamo noi prendere le precauzioni necessarie perchè la nostra presenza e quella di Ayrton all’isola Lincoln siano segnalate all’isola Tabor?

— Certo che sì, rispose il reporter, e nulla è più facile che deporre nella capanna, che fu l’abitazione del capitano Grant e di Ayrton, una notizia indicante la posizione della nostra isola, notizia che lord Glenarvan dovrà certamente trovare.

— Peccato, osservò il marinajo, che abbiamo dimenticato di prendere questa precauzione nel nostro primo viaggio.

— E perchè, disse Harbert, dovevamo prenderla? Non conoscevamo la storia d’Ayrton, ignoravamo che lo si dovesse venire a cercare un giorno, e quando abbiamo saputo questa storia, la stagione era tanto avanzata da non permetterci di non tornare all’isola Tabor.

— Sì, era troppo tardi, e bisogna differire la traversata fino alla prossima primavera, osservò Cyrus Smith.

— Ma se lo yact scozzese venisse prima? disse Pencroff. [p. 104 modifica]

— Non è probabile, rispose l’ingegnere, perchè lo yact non sceglierebbe la stagione invernale per avventurarsi in queste lontane regioni. O lo yact è già stato all’isola Tabor, e ne è ripartito, o non vi andrà che più tardi, e nei primi giorni di bel tempo avremo campo d’andare all’isola Tabor e di lasciarvi una notizia.

— Bisogna confessare, osservò Nab, che sarebbe la gran disgrazia se il Duncan fosse tornato in questi mari da qualche mese soltanto!

— Spero di no, aggiunge l’ingegnere, spero che il Cielo non ci avrà tolto l’unica speranza che ancora ci rimanga.

— Credo, disse il reporter, che in tutti i casi potremo accertare la cosa quando torneremo all’isola Tabor, perchè se gli Scozzesi vi hanno approdato, avranno necessariamente lasciato qualche traccia del loro passaggio.

— Ciò è evidente, rispose l’ingegnere. Dunque, amici miei, poichè abbiamo questa speranza di tornare in patria, aspettiamo pazienti, e se ci sarà tolta, vedremo allora che cosa ci convenga fare.

— In ogni caso, disse Pencroff, s’intende che se lasceremo l’isola Lincoln in un modo o nell’altro, non sarà già perchè ci stiamo male.

— No, Pencroff, rispose l’ingegnere, sarà perchè siamo lontani da tutto ciò che un uomo deve amare di più al mondo: la famiglia, gli amici, il paese natale.

Così stabilite le cose, non si parlo più della costruzione d’una nave tanto grande da avventurarsi sia fino agli arcipelaghi del nord, sia fino alla Nuova Zelanda nell’ovest, e si pensò solo ai lavori consueti in vista d’un terzo svernamento al Palazzo di Granito.

Fu però deciso di adoperare la scialuppa, prima del brutto tempo, a fare un viaggio intorno all’isola. La ricognizione completa delle coste non era ancora [p. 105 modifica]terminata, ed i coloni non avevano che un’idea imperfetta del litorale all’ovest ed al nord, dalla foce del fiume della Cascata fino ai capi Mandibola, come pure nella stretta baja che s’apriva fra essi come una mascella di pesce-cane.

Il disegno di questa escursione fu messo innanzi da Pencroff, a Cyrus Smith vi diede piena adesione, volendo egli vedere coi proprî occhi tutta quella parte del suo dominio.

Il tempo allora era variabile, ma il barometro non oscillava con movimenti bruschi e si poteva contare sopra un tempo abbastanza bello. Appunto nella prima settimana d’aprile, dopo un forte abbassamento barometrico, il rialzo fu segnalato da un vento di ovest che durò cinque o sei giorni, poi l’ago dello strumento ridivenne stazionario ad un’altezza di ventinove pollici e nove decimi (759mm, 45) e le circostanze par vero propizie all’esplorazione.

Il giorno della partenza fu fissato al 16 aprile, ed il Bonaventura, ancorato al porto Pallone, fu approvvigionato per un viaggio che poteva avere una certa durata.

Cyrus Smith avvertì Ayrton della spedizione e gli propose di prendervi parte; ma avendo costui preferito di rimanere a terra, fu deciso che egli venisse al Palazzo di Granito durante l’assenza dei compagni; mastro Jup doveva fargli compagnia, e vi aderì di buon grado.

Il 16 aprile, al mattino, tutti i coloni, accompagnati da Top, erano imbarcati; il vento soffiava forte da sud ovest, ed il Bonaventura dovette bordeggiare, lasciando il porto Pallone, per giungere al promontorio del Rettile. Delle novanta miglia che misurava il perimetro dell’isola, la costa sud ne contava una ventina, dal porto fino al promontorio; d’onde, necessità di percorrere quelle venti miglia al più presto, perchè il vento era assolutamente in faccia. [p. 106 modifica]

Ci volle tutta la giornata per giungere al promontorio, perchè il battello, lasciando il porto, non trovo più che due ore di riflusso ed ebbe invece sei ore di flusso, a cui fu difficilissimo resistere.

Era dunque venuta la notte quando il promontorio fu doppiato.

Pencroff propose allora all’ingegnere di continuare il viaggio a piccola velocità, con due terzaruoli nella vela; ma Cyrus Smith preferì ancorarsi a poche miglia da terra, per poter rivedere quella parte della costa durante il giorno. Fu anche convenuto che, poichè si trattava d’una esplorazione minuziosa del litorale dell’isola, non si navigasse di notte e che, venuta la sera, si gettasse l’áncora vicino a terra finchè il tempo lo permettesse.

Fu spesa la notte nell’ancorarsi sotto il promontorio, ed essendo cessato il vento colla bruma, la quiete non fu più turbata. I passeggieri, tranne il marinajo, dormirono forse un po’ meno bene a bordo del Bonaventura, di quello che avessero fatto nelle loro camere del Palazzo di Granito, ma ad ogni modo dormirono.

Il domani, 17 aprile, Pencroff spiegò le vele all’alba, e colle mure a babordo potè rasentare da vicino la costa occidentale.

I coloni conoscevano questa magnifica costa boschiva, avendone già percorso a piedi il lembo, pure essa eccitò di nuovo tutta la loro ammirazione. Costeggiavano la terra, quanto più vicino era possibile, moderando la velocità in guisa da poter osservare ogni cosa, badando solo a non urtare in alcuni tronchi d’alberi che galleggiavano qua e là. Più volte anzi gettarono l’ancora, e Gedeone Spilett prese delle vedute fotografiche di quel superbo litorale.

Verso il mezzodì il Bonaventura era arrivato alla foce del fiume della Cascata. Al di là, sulla riva destra, riapparivano gli alberi, ma più rari, e tre [p. 107 modifica]miglia più lungi essi non formavano più se non gruppi isolati tra i contrafforti occidentali del monte, il cui dorso arido si prolungava fino al litorale.

Quale contrasto fra la parte sud e la parte nord di questa costa! Tanto quella era boschiva e verdeggiante, altrettanto l’altra era aspra e selvaggia. La si sarebbe denominata una di quelle coste di ferro, come vengono chiamate in certi paesi, ed il suo aspetto tormentato sembrava indicare che una vera cristallizzazione fosse avvenuta bruscamente nel basalto ancor bollente delle epoche geologiche. Cumulo di terribile aspetto, che avrebbe spaventato a bella prima i coloni, se la sorte li avesse gettati in quella parte dell’isola. Quand’essi erano in cima del monte Franklin non avevano potuto riconoscere l’aspetto profondamente sinistro di quella spiaggia, perchè la dominavano troppo dall’alto; ma visto dal mare, quel litorale appariva così strano da non potersi incontrare il simile forse in nessuna parte del mondo.

Il Bonaventura passò dinanzi alla costa, che rasentò alla distanza di mezzo miglio. Fu facile vedere che si componeva di macigni di ogni dimensione, da venti piedi d’altezza fino a trecento, e d’ogni forma, cilindrici come torri, prismatici come campanili, piramidali come obelischi, conici come camini da officina. I banchi di ghiaccio dei mari boreali non sarebbero stati più capricciosi nel loro sublime orrore. Qui ponti gettati da una rupe all’altra, colà archi disposti come quelli d’una navata di cui lo sguardo non poteva scorgere la profondità; in un luogo larghi vani le cui vôlte avevano aspetto monumentale, altrove una vera serie di punte, di piramiducce, di guglie, quali nessuna cattedrale gotica ha mai enumerato. Tutti i capricci della natura, più variati ancora di quelli dell’immaginazione, disegnavano il litorale grandioso che si prolungava per otto o nove miglia. [p. 108 modifica]

Cyrus Smith ed i suoi compagni guardavano con un sentimento di maraviglia che toccava lo stupore; ma se essi stavano muti, Top invece mandava latrati che venivano ripetuti dai mille echi della muraglia basaltica. L’ingegnere osservò anzi che codesti latrati avevano qualche cosa di bizzarro, come quelli che il cane faceva intendere all’orifizio del pozzo del Palazzo di Granito.

— Accostiamoci, diss’egli.

Ed il Bonaventura venne a rasentare quasi le roccie del litorale. Forse vi era là qualche grotta che bisognava esplorare. Ma Cyrus Smith non vide nulla, non una caverna, non un vano che potesse servire di ricovero ad un essere qualsiasi, poichè il piede delle roccie si bagnava nella risacca medesima delle onde.

Poco dopo i latrati di Top cessarono, ed il battello ripigliò la sua distanza a qualche gomena dal lito rale. Nella parte nord-ovest dell’isola la spiaggia ridivenne liscia e sabbiosa. Pochi alberi sorgevano da una terra bassa ed acquitrinosa, che già i coloni ave vano intraveduto, e, per un contrasto violento coll’altra costa così deserta, la vita si manifestava allora colla presenza di miriadi di uccelli acquatici.

Alla sera il Bonaventura gettò l’ancora in un piccolo seno del litorale, al nord dell’isola, vicino a terra, tanto le acque erano profonde in quel luogo. Passò la notte tranquillamente, poichè la brezza si spense, per così dire, colle ultime luci del giorno e ripigliò solo coi primi bagliori dell’alba.

Siccome era facile accostarsi a terra, in quel mattino i cacciatori della colonia, vale a dire Harbert e Gedeone Spilett, andarono a fare una passeggiata di due ore e tornarono con molte corone d’anitre e di beccaccini; Top aveva fatto miracoli, e, grazie al suo zelo ed alla sua abilità, non una selvaggina era an data perduta. [p. 109 modifica]

Alle otto del mattino il Bonaventura spiegava le vele e filava rapidamente verso il capo Mandibola nord, poichè aveva il vento in poppa.

— Non mi stupirei, disse Pencroff, che si preparasse qualche colpo di vento d’ovest. Jeri il sole si è coricato sopra un orizzonte rossissimo, ed ecco questa mattina delle «code di gatto» che non presagiscono nulla di buono.

Codeste code di gatto erano cirri sparpagliati allo zenit e la cui altezza non è mai inferiore a cinquemila piedi sul livello del mare. Sembravano pezzetti di bambagia, e la lor presenza annunzia di solito qualche vicino commovimento dell’atmosfera.

— Ebbene, disse Cyrus Smith, spieghiamo le vele più che possiamo e si vada a cercar rifugio nel golfo del Pesce-cane; credo che il Bonaventura vi sarà al sicuro.

— Benissimo, rispose Pencroff, e d’altra parte la costa nord non è formata che di dune pochissimo attraenti.

— Non mi dorrebbe, aggiunse l’ingegnere, di passare non solo la notte, ma anche la giornata di domani, in questo seno che merita di essere esplorato attentamente.

— Credo che vi saremo costretti, lo vogliamo o no, rispose Pencroff, perchè l’orizzonte comincia a farsi minaccioso nell’ovest. Vedete come si fa brutto?

— In ogni caso, abbiamo buon vento per giungere al capo Mandibola, fece osservare il reporter.

— Buonissimo vento, rispose il marinajo, ma per entrar nel golfo bisognerà bordeggiare, e mi piacerebbe vederci chiaro in paraggi che non conosco.

— Paraggi che devono essere sparsi di scogli, aggiunse Harbert, se giudichiamo da ciò che abbiam visto nella costa sud del golfo del Pesce-cane.

— Pencroff, disse allora Cyrus Smith, fate ciò che credete meglio. Ci rimettiamo in voi. [p. 110 modifica]

— State tranquillo, signor Cyrus, rispose il marinajo, non mi esporrò senza necessità; preferirei un colpo di coltello nelle mie opere vive, che un colpo di scoglio in quelle del mio Bonaventura.

Ciò che Pencroff chiamava opere vive era la parte immersa della carena del suo battello, e ci teneva più che alla propria pelle.

— Che ora è? domandò Pencroff.

— Le dieci, rispose Gedeone Spilett.

— E qual distanza dobbiamo percorrere sino al capo, signor Cyrus?

— Quindici miglia circa, rispose l’ingegnere.

— L’affare di due ore e mezzo, disse allora Pencroff; saremo in faccia al capo tra mezzodì e la una. Disgraziatamente, la marea comincerà ad abbassarsi in questo momento, ed il riflusso uscirà dal golfo. Temo forte che ci sarà difficile entrarvi avendo mare e vento contro di noi.

— Tanto più che oggi è luna piena, fece osservare Harbert, e che queste maree d’aprile sono fortissime.

— Ebbene, Pencroff, domandò Cyrus Smith, non potete voi gettar l’ancora sulla punta del capo?

— Ancorarmi vicino a terra col brutto tempo che minaccia! Che dite mai, signor Cyrus? Sarebbe tutt’uno come voler essere buttati contro la costa.

— Che farete dunque?

— Cercherò di stare al largo fino al flusso, vale a dire fino alle sette pomeridiane, e se sarà ancora chiaro cercherò d’entrare nel golfo; se no, rimarremo a far bordate tutta notte, ed approderemo domani all’alba.

— Fate voi, Pencroff, rispose Cyrus Smith.

— Ah! disse il marinajo, se vi fosse soltanto un faro su questa costa, sarebbe più comodo per i naviganti!

— Sì, rispose Harbert, e questa volta non avremo [p. 111 modifica]ingegnere compiacente che ci accenda un fuoco per condurci al porto.

— To’! è vero, caro Cyrus, disse Gedeone Spilett, e non ve ne abbiamo mai ringraziato; e sì che senza quel fuoco non avremmo mai potuto giungere a...!

— Un fuoco? domandò Cyrus Smith, maravigliato delle parole del reporter.

— Vogliamo dire, signor Cyrus, che siamo stati in grande imbarazzo a bordo del Bonaventura nelle ultime ore che hanno preceduto il nostro ritorno, e che saremmo stati sottovento dell’isola senza la precauzione che voi avete preso di accendere un fuoco sull’altipiano nella notte dal 19 al 20 ottobre.

— Sì, sì, è stata proprio una felice idea, disse l’ingegnere.

— E questa volta, aggiunse il marinajo, se pure non ne viene il pensiero ad Ayrton, non ci sarà nessuno per renderci questo piccolo servigio.

— No, nessuno, rispose Cyrus Smith.

Ed alcuni istanti dopo, trovandosi a prua del battello col reporter, l’ingegnere gli diceva all’orecchio:

— Se vi è una cosa certa in questo mondo, caro Spilett, è che io non ho mai acceso alcun fuoco nella notte dal 19 al 20 ottobre, nè sull’altipiano del Palazzo di Granito, nè in alcun’altra parte dell’isola!