L'isola del tesoro/Parte IV/XXI
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Traduzione dall'inglese di Angiolo Silvio Novaro (1932)
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Non appena Silver fu scomparso, il capitano, che l’aveva attentamente seguito, si volse verso l’interno della casa, e trovò che nessuno all’infuori di Gray era al proprio posto. Fu la prima volta che lo vedemmo in collera.
«Al vostro posto», ruggì. Poi, ubbidito che avemmo: «Gray», disse, «io citerò il vostro nome a titolo d’onore nel libro di bordo; voi avete compiuto il vostro dovere come un vero marinaio. Signor Trelawney, mi meraviglio di lei! E lei, dottore, mi pareva che un tempo avesse portato l’uniforme reale! Ma se è così che ha servito a Fontenoy, avrebbe fatto meglio a rimanersene sotto le coperte».
La squadra del dottore era ritornata alle feritoie: gli altri stavano caricando i moschetti di riserva, e ciascuno, com’è naturale, col viso infuocato e l’orecchio teso.
Il capitano ci guardò un momento in silenzio; poi riprese:
«Ragazzi miei, ho assestato a Silver una bordata. Gli ho bruciato la pelle di proposito. Prima che l’ora sia passata, com’egli ha detto, ci attaccheranno. Noi siamo in minor numero, non occorre dirlo: però combatteremo stando al coperto, e un minuto fa avrei soggiunto: con disciplina. Io non dubito minimamente che li possiamo suonare, se voi volete.»
Dopo di ciò, fece la ronda, e constatò, com’ebbe a dire, che tutto era in regola.
Sui due lati minori del fortino, quelli est e ovest, v’erano soltanto due feritoie; sul lato sud, ove trovavasi la porta, altre due; e sul lato nord, cinque. Disponevamo noi sette d’una ventina di moschetti; la legna da bruciare era ammassata in quattro cataste, come tavole, direi quasi — una nel mezzo di ciascun lato, con sopra munizioni e quattro moschetti carichi a portata di mano dei difensori. Nel centro, allineati, i coltellacci.
«Gettate via il fuoco», ordinò il capitano. «Il freddo è passato, e non bisogna avere il fumo negli occhi.»
La corba di ferro fu portata fuori dal signor Trelawney e le braci affogate nella sabbia.
«Hawkins non ha ancora fatto colazione. Hawkins, prendi la tua colazione e ritorna al tuo posto a mangiarla», seguitò il capitano Smollett. «Animo, ragazzo mio, e non perdiamo tempo. Hunter, passa a tutti un bicchiere di grappa.»
E mentre questi eseguiva, il capitano completava mentalmente il suo piano di difesa.
«Dottore», ripigliò, «lei occuperà la porta. Attento a vedere, ma senza esporsi. Si tenga in dentro, e tiri dal vestibolo. Hunter, voi occuperete il lato est, là. Joyce, amico mio, voi starete a quello ovest. Signor Trelawney, lei è il miglior tiratore: lei e Gray terrete questo lungo tratto nord con le cinque feritoie. Lì è il punto debole, lì... Se loro riuscissero a raggiungerlo e sparare attraverso le stesse nostre aperture, le cose prenderebbero una cattiva piega. Hawkins, né tu né io siamo dei tiratori valenti: rimarremo lì per caricare e dare una mano.»
Come il capitano aveva detto, il freddo era cessato. Non appena il sole ebbe sormontato la nostra cintura d’alberi, batté con tutta la sua forza sopra la radura e bevve d’un colpo i vapori. La sabbia divenne scottante e la resina dei tronchi d’albero del fortino si liquefece. Camiciotti e vestiti furono buttati all’aria: i colli delle camicie rovesciati e le maniche rimboccate fin sulle spalle; e aspettammo lì, ciascuno al suo posto, come in una febbre, estenuati dal caldo e dall’ansia.
Passò un’ora.
«Possano morire appiccati!», borbottò il capitano. «Si crepa di noia. Gray, fischiate per chiamare il vento.»
Ma proprio in quel punto apparvero i primi segni dell’attacco.
«Scusi, signore», disse Joyce, «se vedo qualcuno devo sparare?»
«Ve l’ho ben detto!», sbuffò il capitano.
«Grazie, signore», rispose Joyce con la stessa placida gentilezza.
Nulla seguì per un bel tempo: ma quelle parole ci avevano messi all’erta: occhi aguzzati, orecchi tesi — i moschettieri con l’arma bilanciata nel pugno, il capitano nel mezzo del fortino con le labbra tirate e le sopracciglia aggrottate.
Passarono così alcuni secondi, finché d’improvviso Joyce puntò il suo moschetto e sparò. Il rimbombo non era ancora spento che altre detonazioni risposero dal di fuori con una diffusa scarica, colpo dietro colpo, in fila indiana, da ogni parte del recinto. Parecchie palle colpirono il fortino, ma nessuna vi penetrò; e come il fumo si fu dileguato, gli alberi e lo steccato ricomparirono immobili e deserti come prima. Non un ramoscello oscillava, non il luccichìo d’una canna di fucile tradiva la presenza dei nostri nemici.
«Avete colpito il vostro bersaglio?», chiese il capitano.
«No, signore», rispose Joyce, «non credo.»
«La più bella cosa è la verità», masticò il capitano Smollett. «Carica il suo fucile, Hawkins. Quanti ritenete che fossero dal vostro lato, dottore?»
«Posso dirglielo con precisione. Tre colpi furono tirati da questo lato. Ho visto le tre vampe: due, vicinissime l’una all’altra, la terza più a Ovest.»
«Tre», ripeté il capitano. «E quanti dalla sua parte, signor Trelawney?»
Ma qui la risposta non fu così facile. Da Nord ne erano arrivati molti: sette secondo i calcoli del cavaliere; otto o nove secondo Gray. Da Est e da Ovest un solo colpo era stato tirato. Era dunque chiaro che l’attacco veniva dal lato nord e che sui rimanenti tre fronti saremmo stati molestati da una semplice finta di ostilità. Ma il capitano Smollett non variò per nulla le sue disposizioni. Se gli ammutinati riuscivano a superar la palizzata — pensava egli — si sarebbero impadroniti d’ogni feritoia indifesa, e ci avrebbero uccisi come tanti sorci nella stessa nostra fortezza.
Del resto non ci si lasciò troppo agio a riflettere. D’improvviso con un potente urrà una piccola nube di pirati si precipitò fuori della boscaglia dalla parte nord accorrendo dritta verso la palizzata. Nello stesso tempo di là dagli alberi fu riaperto il fuoco, e una palla fischiò attraverso l’entrata e mandò in pezzi il moschetto del dottore.
Pari a un branco di scimmie gli assalitori balzarono in cima allo steccato. Il cavaliere e il dottore spararono reiterati colpi; tre uomini caddero: uno a capo in giù, dentro il recinto; due all’indietro, fuori: ma uno di questi era evidentemente più tramortito di spavento che ferito, perché in un attimo si levò in piedi e sparì nella macchia.
Due avevano morso la polvere, uno era fuggito, quattro erano riusciti a guadagnare il nostro trinceramento, e intanto, a ridosso degli alberi, sette od otto provvisti ognuno di parecchi moschetti dirigevano un accanito quanto innocuo fuoco contro il nostro fortino.
I quattro ch’erano entrati, puntavano diritti sulla casa correndo e gridando; e i compagni nascosti tra gli alberi con alti clamori li incoraggiavano. Alcuni colpi furono sparati, ma tanta era la furia dei tiratori, che nessuno colse nel segno. In un istante i quattro pirati avevano scalato il monticello, ed eccoli sopra noi.
La testa di Job Anderson, il nostromo, scattò nella feritoia del mezzo.
«Dàlli che ci son tutti, dàlli!», ruggì con una voce di tuono.
Nello stesso momento un altro pirata afferrò il moschetto di Hunter per la canna, glielo strappò di mano, e con un tremendo colpo stese il povero ragazzo inanimato al suolo. E un terzo, girando incolume intorno alla casa balzò improvvisamente nell’entrata e si abbatté con un coltellaccio sul dottore.
La nostra posizione era totalmente rovesciata. Poco prima, tiravamo stando al riparo, sopra un nemico scoperto; ora invece eravamo noi gli esposti e incapaci di restituire un colpo.
Il fortino era pieno di fumo: al che dovevamo la nostra relativa sicurezza. Confuse grida, detonazioni di colpi di pistola, e un disperato lamento riempivano le mie orecchie.
«Fuori, ragazzi, fuori! Combattiamo all’aperto! Mano ai coltellacci!», comandò il capitano.
Io tolsi in furia un coltellaccio dal mucchio, e qualcuno prendendone un altro nel medesimo istante mi fece una sbucciatura alle dita che appena sentii. Mi slanciai fuori della porta nel vivo sole. Qualcuno, ignoro chi, mi seguiva da presso. Proprio dinanzi a me il dottore stava inseguendo il suo assalitore giù per il declivio, e nel momento stesso che i miei occhi caddero su di lui, egli raggiunse lo sciagurato, e lo colpì buttandolo riverso per terra e con un largo taglio nella faccia.
«Intorno alla casa, ragazzi, intorno alla casa!», gridava il capitano; e io, pur in mezzo al tumulto, avvertii un cambiamento nella sua voce.
Macchinalmente obbedii; e rivoltomi a levante, col mio coltellaccio in aria, corsi all’angolo della casa. Un attimo, ed eccomi di fronte ad Anderson. Con un mugghio feroce egli levò alta sopra il suo capo la lama che lampeggiò nel sole. Io non ebbi tempo di spaventarmi perché, mentre l’arma mi pendeva addosso, fulmineamente mi spostai spiccando un salto; e mancatomi un piede nella soffice sabbia, ruzzolai testa all’ingiù lungo il pendio.
Quando m’ero lanciato fuori della porta, gli altri ribelli stavano già arrampicandosi sullo steccato per farla finita con noi. Uno d’essi, con in capo un berretto rosso e il suo coltellaccio tra i denti, aveva persino raggiunto la cima e accavalciatovi una gamba. Ebbene, l’intervallo era stato così breve, che quando io mi ritrovai di nuovo in piedi tutti erano ancora nella stessa postura: l’uomo dal berretto rosso mezzo di qua e mezzo di là, e un altro cominciava a mostrar la testa al disopra dei pali. E nondimeno, in questo cortissimo spazio di tempo il combattimento era terminato, e la vittoria era nostra.
Gray, che mi seguiva da presso, aveva con un fendente abbattuto il grosso nostromo senza lasciargli tempo, dopo fallitogli il colpo, di rimettersi in sesto. Un altro era stato freddato a una feritoia mentre tirava dentro la casa; e ora agonizzava, con in mano la pistola ancora fumante. Un terzo, come dissi, era stato spacciato dal dottore. Dei quattro riusciti a scavalcar la palizzata, solo uno rimaneva incolume, il quale, abbandonato il suo coltellaccio sul teatro della mischia, si arrampicava un’altra volta per uscirne, col timor della morte alle calcagna.
«Fuoco, fuoco dalla casa!», ordinò il dottore. «E voi, ragazzi, ritornate al coperto!»
Ma codeste parole non furono intese, nessun colpo partì, e l’ultimo ribaldo poté squagliarsela immergendosi con gli altri nel bosco. Degli assalitori non rimanevano, in tre secondi, che i cinque caduti: quattro dentro, e uno fuori del recinto.
Il dottore, Gray e io ci affrettammo a metterci al riparo. I superstiti avrebbero presto raggiunto il luogo dove avevano lasciato i loro moschetti; il fuoco avrebbe potuto ricominciare da un momento all’altro.
La casa s’era intanto liberata un poco dal fumo; e noi in un batter d’occhio misurammo il prezzo della nostra vittoria.
Hunter giaceva privo di sensi davanti alla sua feritoia; Joyce, accanto a lui con una palla nella testa, immobile per sempre; mentre nel mezzo il cavaliere sorreggeva il capitano: l’uno non meno pallido dell’altro.
«Il capitano è ferito», disse il signor Trelawney.
«Sono fuggiti?», chiese il signor Smollett.
«Tutti quelli che han potuto, state pur sicuro», rispose il dottore, «ma ce ne sono cinque che non correranno più.»
«Cinque!», esclamò il capitano. «Bene, abbiamo progredito. Cinque da una parte e tre dall’altra, rimaniamo quattro contro nove. La disparità è meno forte. Alla partenza eravamo sette contro diciannove; o quanto meno lo pensavamo, il che non è affatto meglio1.»
- ↑ Gli ammutinati rimasero presto soltanto otto, giacché l’uomo colpito dal signor Trelawney a bordo della goletta morì della sua ferita la sera stessa: ma ciò, naturalmente, non fu che più tardi a conoscenza del partito fedele.