L'isola del tesoro/Parte IV/XX

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In realtà c’erano due uomini fuori dello steccato, uno dei quali sventolava un panno bianco, e l’altro gli stava tranquillamente accanto: nientemeno che Silver in persona.

Era ancora assai presto, e il freddo pungeva come non mai, e penetrava fino alle ossa. Chiaro e pulito era il cielo, e le cime degli alberi si coloravano di rosa nel sole. Ma dove stava Silver col suo seguace, tutto era ancora in ombra, ed essi apparivano immersi fino al ginocchio in un denso e biancastro vapore che durante la notte era montato dalla palude. Freddo e vapore insieme narravano lo squallore dell’isola: luogo umido, febbricoso, malsano.

«Nessuno si muova», avvertì il capitano. «Dieci contro uno, questo è un tranello.»

Poi si volse al filibustiere:

«Chi va là? Fermo, o faccio fuoco.»

«Bandiera parlamentare», gridò Silver.

Il capitano si teneva nel vestibolo, avendo cura di non esporsi a un colpo sparato a tradimento. E rivolto a noi, comandò:

«La squadra del dottore a fare la guardia. Dottor Livesey, favorisca mettersi al lato nord; Jim a quello est, Gray al quello ovest. L’altra squadra, tutti a caricare i moschetti. Svegli, ragazzi, e attenti.»

Poi di nuovo si rivolse ai ribelli.

«E voi che volete con la vostra bandiera parlamentare?»

Questa volta fu l’altro a rispondere.

«È il capitano Silver, signore, che viene a fare delle proposte.»

«Il capitano Silver? Non lo conosco. Chi è costui?», gridò il capitano. E a mezza voce, come parlasse tra sé, l’udimmo aggiungere:

«Capitano! Una bella carriera, perbacco!»

Long John replicò egli stesso:

«Sono io, signore. Questi poveri diavoli mi hanno scelto per capitano dopo la vostra diserzione», e calcò sulla parola «diserzione». «Noi siamo pronti a sottometterci purché ci s’intenda sulle condizioni, senza tante cerimonie. Tutto ciò che io vi chiedo, capitano Smollett, è la vostra parola che mi lascerete uscire sano e salvo da questo recinto e mi concederete un minuto per portarmi fuori tiro prima che si apra il fuoco.»

«Amico mio», disse il capitano Smollett, «non desidero affatto parlare con voi. Se avete qualcosa da dirmi, potete entrare, ecco tutto. Se un tradimento ha da venire, verrà da parte vostra, e il Signore v’aiuti.»

«Non occorre altro», esclamò Long John, allegramente. «Una vostra parola mi basta. So riconoscere un galantuomo: siatene pur sicuro.»

Vedemmo il compagno dalla bandiera bianca tentare di trattenere Silver: né era da stupirne, data la franca risposta del capitano. Ma Silver gli rise sonoramente sul muso e gli dette una pacca sulla schiena, quasi che l’idea d’un pericolo fosse stata assurda. Poi si avvicinò alla palizzata, gettò al disopra la sua gruccia, alzò in aria una gamba, e con grande vigore e destrezza riuscì a scavalcare il recinto e a buttarvisi dentro illeso.

Confesso che io m’interessavo troppo a quanto stava accadendo, per essere della minima utilità come sentinella. Difatti, avevo già abbandonato la mia feritoia per sgusciare dietro al capitano; il quale stava ora seduto sulla soglia, i gomiti sulle ginocchia, la testa nelle mani, e gli occhi fissi sull’acqua che gorgogliava versandosi fuori della caldaia di ferro e perdendosi nella sabbia. E canticchiava tra sé: «Venite fanciulle e fanciulli».

Guadagnar la cima del monticello fu per Silver un’assai rude fatica. Contro la ripidezza dell’erta, gl’intricati ceppi degli alberi, e la mollezza della sabbia dove il piede affondava, egli con la sua gruccia era indifeso come un battello nel vento avverso. Ma vi si accanì, in silenzio, come un bravo, e arrivò alfine davanti al capitano che salutò col più squisito garbo di questo mondo. Si era abbigliato come meglio poteva: uno smisurato abito azzurro carico di bottoni d’oro gli pendeva fin sulle ginocchia; e un cappello riccamente gallonato gli troneggiava sulla nuca.

«Eccovi qui», disse il capitano alzando il capo. «Ma fareste meglio a sedere.»

«Non vorreste lasciarmi entrare, capitano?», si dolse Long John. «In verità è troppo fredda la mattinata per seder fuori sulla sabbia.»

«Eh, Silver», obietto il capitano. «Se vi fosse piaciuto di rimanere un onest’uomo, potreste ora seder nella vostra cucina. Colpa vostra. O siete il cuoco del mio bastimento (e foste pur ben trattato!) o siete il capitano Silver, un volgare ribelle e pirata; e in questo caso potete andare a farvi impiccare!»

«Bene, bene», replicò il mastro cuoco sedendo sulla sabbia conforme all’invito, «mi darete poi una mano per rialzarmi, ecco tutto. Ma che delizioso sito avete trovato! Ah, ecco Jim! Buon giorno a te, Jim. Dottore, i miei rispetti. Ebbene, eccovi tutti riuniti insieme come una felice famiglia, se così posso esprimermi.»

«Se avete qualcosa da dire, amico mio, è meglio che vi sbrighiate», proferì il capitano.

«Più che giusto, capitano Smollett», replicò Silver. «Il dovere anzitutto, nessun dubbio. Ebbene, sentite: ci avete giocato un bel tiro l’altra notte. Un bel tiro davvero, non saprei negarlo. Parecchi di voi sono discretamente abili nel maneggiare la manovella. E non negherò che alcuni dei miei siano stati scossi: o magari tutti, e magari io stesso: ed è probabilmente per questo che sono qui per trattare. Ma, badate bene, capitano: ciò non si ripeterà, perdio! Faremo buona guardia, e diminuiremo un tantino il rum. Voi forse pensate che eravamo tutti quanti fradici: ma v’assicuro che io non avevo bevuto una goccia; soltanto non ne potevo più dalla stanchezza, e se mi fossi risvegliato un secondo prima, vi avrei presi sul fatto, vi avrei. Egli non era ancora morto, quando lo raggiunsi, non era.»

«Sicché?», fece il capitano Smollett con la massima calma.

Tutte le chiacchiere di Silver erano per lui un enigma, ma nessuno mai l’avrebbe immaginato, a giudicare dall’intonazione della voce. Quanto a me, cominciavo a scorgere un filo di luce. Le ultime parole di Ben Gunn mi tornarono a mente. Pensai ch’egli avesse visitato i filibustieri mentre giacevano ubriachi intorno al loro fuoco, e riflettei con gioia che non più di quattordici erano i nemici con cui ci restava da fare i conti.

«E dunque, ecco qua», disse Silver. «Noi vogliamo questo tesoro, e l’avremo: ecco il nostro punto. A voi preme di salvar la pelle, suppongo: ed ecco il vostro. Voi avete una carta, non è vero?»

«Può darsi», rispose il capitano.

«Oh, voi l’avete, sì, lo so bene, io», disse Long John. «Non è il caso d’essere così ruvidi con la gente; non serve affatto, credete a me. Ciò che intendo dire è che ci occorre la vostra carta. Del resto, io per me non vi ho mai voluto male...»

«Questo mi è indifferente, amico mio», interruppe il capitano. «Noi conosciamo perfettamente le vostre intenzioni, e non ce ne importa, perché, oramai, vedete, la cosa non è più possibile.»

E, guardandolo tranquillamente, il capitano prese a riempire la sua pipa.

«Se Abraham Gray...», insinuò Silver.

«Basta!», gridò il signor Smollett. «Gray non mi ha detto nulla, né io gli ho chiesto nulla; e, ciò che più importa, vorrei veder voi e lui e l’isola intera saltare in aria. Così, amico mio, sapete ciò che penso a tale riguardo.»

La piccola sfuriata smorzò i bollori di Silver. Egli, che già s’irritava, non tardò a ricomporsi.

«Può essere», disse addolcendo il tono. «Io non pretendo dederminare quello che la gente per bene può stimare corretto o meno, a seconda del caso. E poiché vedo che voi vi preparate a fare una pipata, mi permetterò d’imitarvi.»

E riempì la sua pipa, e l’accese; e i due uomini rimasero per un pezzetto a fumare in silenzio, ora guardandosi in faccia, ora calcando il tabacco, ora piegandosi a sputare. Vederli, era un gusto, come assistere a una scena di teatro.

«E ora», riprese Silver, «ecco qua. Voi ci date la carta perché possiamo procurarci il tesoro, e smettete di sparare sui poveri marinai e spaccar loro la testa mentre dormono. Voi fate così, e noi vi lasciamo liberi di scegliere: o venite a bordo con noi una volta caricato il tesoro, nel qual caso io m’impegno sulla mia parola d’onore a sbarcarvi in qualche luogo sani e salvi; oppure, se ciò non vi aggrada, visto che parecchi dei miei uomini hanno un caratteraccio e tengono vecchie ruggini a causa di punizioni, allora potete restare qui, potete. Noi divideremo con voi le provvigioni, tanto per ciascuno, e io m’impegno come sopra di avvertire la prima nave che incontro, e mandarla qui a rilevarvi. Ora mi ammetterete che questo è parlare. Potevate volermi più liberale di così? No di certo. E io spero», e qui alzò la voce, «che tutti i nostri compagni qui dentro rifletteranno alle mie parole, perché ciò che è detto a uno è detto a tutti.»

Il capitano Smollett levatosi da sedere batté la pipa contro il palmo della mano scuotendone la cenere.

«È tutto qui?», domandò.

«L’ultima mia parola, corpo di mille bombe!», rispose. «Respingetela, e non avrete da me altro che pallottole di moschetto.»

«Benissimo», disse il capitano. «E ora sentite me. Se voi verrete uno per uno disarmati, io m’impegno a mettervi tutti quanti ai ferri e trasportarvi in Inghilterra dove vi si allestirà il vostro bravo processo. Se rifiutate, sappiate che io mi chiamo Alexander Smollett, che ho issato la bandiera del mio sovrano, e vi spedirò tutti all’inferno. Voi non potete scoprire il tesoro. Voi non potete manovrare l’Hispaniola: non c’è tra voi un uomo capace di ciò. Voi non potete combatterci. Gray, qui, si è liberato da cinque di voi. La vostra barca è mal governata, mastro Silver; siete sottovento, e correte a battere nei frangenti. Ve ne accorgerete. Io rimango qui, ve lo dichiaro netto. Sono le ultime parole amichevoli che vi rivolgo, perché vi giuro in nome del Cielo che la prossima volta che v’incontrerò vi caccerò una palla nella schiena. Presto, ragazzo mio. Liberateci della vostra presenza, vi prego, e via, un piede appresso all’altro, e di galoppo.»

La faccia di Silver era impressionante: gli occhi, nella rabbia, gli schizzavano fuori della testa. Scosse la pipa ancora accesa, e gridò:

«Datemi una mano!»

«Io no!», replicò il capitano.

«Chi mi dà una mano per rialzarmi?», grugnì il miserabile.

Nessuno di noi si mosse.

Masticando le più sozze imprecazioni si strascicò sulla sabbia finché riuscì ad attaccarsi alla parete del vestibolo, e di nuovo issarsi sulla gruccia. Allora sputò nella sorgente.

«Ecco», gridò, «il conto che faccio di voi. Dentro un’ora vi riscalderò come un ponce nel vostro fortino. Ridete, corpo di Satanasso, ridete pure! Tra un’ora riderete al rovescio. Quelli che morranno saranno i più fortunati.»

E con una spaventevole bestemmia si allontanò incespicando e affondando nella sabbia; e con l’aiuto dell’uomo dal vessillo parlamentare riuscì, dopo quattro o cinque tentativi falliti, a scavalcare la palizzata.

Un istante appresso scompariva dietro gli alberi.