L'avaro/Nota storica
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NOTA STORICA
Di Plauto e di Molière s’era giovato un po’ nel Vero amico (cfr. vol. V, p. 407). Questa volta, come già pel Geloso avaro, il Goldoni volle far da sè. È in errore chi per non aver letto la breve commediola ritiene L’Avaro?? ispirato proprio dall’Aulularia (Aridosia... con prefazione di F. Biglioni, Milano, 1887, p. 54). «C’est une petite Piece, — scrivono i Mémoires — c’est une nouvelle espèce d’Avare qui ne vaut pas les autres; cependant j’y ai mis assez de jeu et assez d’interét pour le faire passer, et il eut tout le succès qu’ il pouvoit avoir» (P. II, cap. XLV). Dell’originalità del nuovo avaro non si mostra persuaso il Lüder, il quale scrive: «È facile vedere che Goldoni può rivendicare a sè tutt’al più la soluzione dell’intreccio con la saggia proposta del Cavaliere. Perchè il cardine di tutto, la rinuncia cioè alla dote, condizione voluta da Ambrogio, si trova tanto in commedie d’epoche precedenti che nell’ Avare» (C. G. in seinem Verhaltnis zu Molière - Berlin, 1883, p. 31). E qualche affinità con Arpagone è — secondo il Lüder — anche nei prestiti che Ambrogio vorrebbe combinare per conto di sedicenti terzi. Avverte sempre lo stesso critico che lo scioglimento quale si legge nell’autobiografia [rinuncia alla dote e obbligo di mantenere l'avaro] è quello del Vero amico. E in verità non per la prima volta nei ricordi goldoniani si confondono lavori diversi. Confusioni fatalissime ai critici che talvolta alla lettura delle commedie preferiscono i riassunti delle Memorie. Accadde così per quest’Avaro al Rabany (op. cit., p. 362). Nuova e felice la gioviale ironia del protagonista, la quale non si manifesta solo nella scena con Don Ferdinando, come vuole il Lüder, ma si spiega in tutta la parte. S’avverta però che il rimprovero rivolto al conte: Perchè siete un avaro, la geniale uscita finale, è tolto al Vero amico (a. III, sc. XIV). «Per la piacevolezza dal Goldoni usata nel dipingerlo — avverte anche Marietta Tovini — [l'avaro] non ci apparisce tanto odioso. Le scene in cui si rivela maggiormente l’avarizia di Don Ambrogio sono le più comiche di questa commedia, che, del resto, ha ben poco valore» (Studio su C. G., Firenze, 1900, p. 49). «Deliziosamente disegnato Don Ambrogio» — scrive il Mathar — (C. G. auf dem deutschen Theater, ecc. Montjoie, 1900, p. 197) e l’elogio estende a tutte le figure, «tolta la vedova che scegliendo con freddo calcolo tra i suoi pretendenti lascia freddo il pubblico». Il Perrens mette l’Avaro tra le commedie buone (Hist. d. l. litt. ital., Paris, 1867). Non significativo per l’opera del maestro, — avverte Giulio Piazza — il lavoro è pure «caratteristico perchè nella lieve trama di quella giovane vedova, circondata da corteggiatori, la figura del suocero avaro... è tratteggiata con linee sicure e precise, con una si incisiva rapidità di sintesi da conferire a questa piccola commedia, come ai grandi capolavori goldoniani, il pregio di quella maestria di «impostazione» nella quale il Goldoni non ha chi lo superi» (Il Piccolo, Trieste, 26 genn. 1911). Maggior lode ancora è in queste parole di Domenico Oliva: «Anche ai dilettanti il Maestro consegnava capilavori, piccoli capilavori, ma le proporzioni che importano? Anzi la piccolezza della commedia le concede alcunchè di singolarmente gentile, l’aria di un ninnolo. Tuttavia, ninnolo sino a un certo punto: il Goldoni, anche per celia scolpiva caratteri, era la sua natura, non ne poteva fare a meno. Il tipo dell’avaro. Don Ambrogio, e di meravigliosa bellezza...» (Giornale d’Italia, 1 aprile 1910).
Non sempre gli elogi andarono alle stelle. Qualche critico del buon tempo antico che a sentir discorrer d’avari metteva tosto sulla bilancia l’Aulularia e l’Avare parlò tutt’altro linguaggio. «Era viva in noi l’attesa — scriveva la Bibliothek der schönen Wissenschaften del 1763 — com’egli, dopo due grandi maestri, quali Plauto e Molière, avrebbe trattato questo carattere e godevamo nell’idea di vedere un Goldoni in gara con quelli e talvolta forse superarli; ma come andò delusa la nostra speranza! Il lavoro è in un atto e checchè dica l’autore nella sua prefazione, è certo tra i suoi mediocri, se non tra i cattivi». Riassunto l’argomento, concludeva: «Volgare la favola e mediocre l’esecuzione!» (Vol. X, p. 38, cit. dal Mathar a p. 36). «Lavoro sbagliato» lo disse un gazzettiere tedesco, rimproverando al Montucci d’averlo accolto nella sua Scelta (Allg. Literatur-Zeilung, nov. 1829, col. 995). Un critico dei nostri giorni non ritiene necessaria la presenza dell’avaro in questa commediola e ancor meno giustificato l’onore che da lui s’intitoli (Ettore Piazza, Il tipo dell’avaro in Plauto e nei principali suoi imitatori, Foligno, 1887, p. 15). Sempre in cerca della morale, Pietro Schedoni approva ciascun carattere, non però quello dell’avaro che «fine contrario allo scopo drammatico... resta della sua perversa cupidigia lietissimo» (Principi morali del teatro, ecc. Modena, 1828, p. 76). Anche il Landau, che pur pretende di seguire ragioni d’arte nelle sue critiche, rileva la pretesa immoralità del lavoro (C. G., Vossische Zeitung. Berl., 24 febbr. 1907).
L’Avaro, rappresentato, se l’edizione Pasquali non erra, nel 1756, è oggi tra le commedie del Goldoni vive ancora sulle scene. L’aveva l’anno 1828 nel suo repertorio, fin troppo goldoniano secondo la gazzetta I teatri (30 dic. 1828), la Ducale di Modena e l’esegui al Teatro Re di Milano. Il brutto uso di lasciar via il nome degli autori negli elenchi di lavori recitati non permette di attribuire l’omonimo lavoro dato all’Arena del sole nel 1864 dalla Comp. Aliprandi Papadopoli senz’altro al Nostro (Cosentino, L’Arena del sole, Bologna, 1903, p. 119). Nel 1910 l’Avaro, ridotto in veneziano, fu degnamente interpetrato da Emilio Zago, che l’anno dopo potè farlo conoscere anche ai connazionali dell’Argentina. E n’ebbero gran lode il poeta e l’artista (cfr. Giornale d’Italia e Patria degli Italiani di Buenos Ayres del 23 maggio 1911). Il 9 aprile del 1910 l’esegui la Compagnia del Teatro Metastasio [Teatro a sezioni] di Roma, protagonista Achille Vitti. «La commedia che tutti vedevano sulla scena per la prima volta fece furore: — riferiva il giorno dopo Domenico Oliva (loco cit.) — io stesso non avrei mai pensato potesse destare nel pubblico tanto compiacimento: avevo torto: dovevo pensare che molte tra le commedie del Goldoni acquistano sulla scena un rilievo impreveduto: il Goldoni scriveva unicamente pel teatro: aveva il teatro nel cervello». Di nuovo a Roma, in un altro Teatro a sezioni [Quattro fontane] venne ripreso nel novembre dell’anno dopo, protagonista Cesare Dondini. Tra gli attori che impersonarono con felice intuito la figura di Don Ambrogio furono i caratteristi Giovanni Boboli (1770-1836) e Francesco Taddei (1770-1842) (Rasi, I comici italiani, I 453, II 560). Per essere un lavoro in un atto e di pochi personaggi, l’Avaro fu caro anche ai filodrammatici (cfr. Accademia de’ Filo-drammatici di Milano. Cenni di G. Martinazzi, p. 117 [1880], e Società filarmonico-drammatica. Memorie, Trieste, 1884, pp. 10, 12 [1829]). E sempre per la ragione della brevità, e perchè anche nel piccolo quadro si scorge la grande arte goldoniana, l’Avaro si trova di frequente, intero o a frammenti, in Scelte e in Antologie (Scelta. Vienna, 1825, vol. III; Montucci, Lipsia, 1828, vol. I; Commedie scelte, Milano. 1878, vol. III; C. Goldoni e V. Alfieri, Luoghi scelti. Torino, 1902; Guastalla, Antologia goldoniana, Livorno, 1908; Lipparini Primavera, Milano 1912, p. 167; l’Avaro, Milano, Gussoni, s. a., ecc.).
L’Avaro fu tradotto in tedesco dal Saal (vol. VII, ed. 1770) e sull’opera di questi, goffa e spesso inesatta, vedi l’esame del Mathar (op. cit., p. l97); circa il 1798 in ispagnolo: Comedia en prosa. El Logrero, compuesta en italiano por el senor Doctor Carlos Goldoni y Iraducida al espanol por Godomin Toibt, Barcelona, por la Viuda Piferrer. G. Toibt, avverte il Cotarelo (Homenaje à Menendez y Pelayo. Madrid, 1899, p. 82) è anagramma di Domingo Bolli. Tradusse l’Avaro in francese A. A. D. R. [Amar Du Rivier], ma invece del solito commento che accompagna gli altri lavori goldoniani recati dal Du Rivier nella sua lingua, egli offre questa volta solo un insipido complimento per Molière e Goldoni (Les chef-d’oeuvres dramatiques de C. G., An XI [1801], p. 401). Di recente l’Avaro fu tradotto in catalano da Narcis Oller (L’Avar, comedia en un acte... Barcelona, «L’Avene», 1909).
Nella dedica di tutto il volume X del Pitteri a Francesco Albergati, dove si stamparono quattro commedie scritte pel teatrino del patrizio bolognese, il Goldoni si scusa del non avergli intitolato anche l’Avaro: «Potrebbe, non da Lei, ma da qualcheduno venirmi rimproverato che anche l’Avaro... mi è stato da Lei ordinato, eppure ad un’altra persona l’ho dedicato: ma Ella sa benissimo, ed ho piacere, che da altri in questa occasione si sappia che tal Commedia non è stata scritta pel suo Teatro, ma per una compagnia di Dame e di Cavalieri, e che non appartenendo ad alcuno in particolare, poteva io liberamente disporne» (p. 5). L’altra persona fu Girolamo Marsand, cui toccò così una delle più simpatiche e più calde dedicatorie del teatro goldoniano. Alle notizie sui buoni rapporti corsi tra i due nulla aggiungono pur troppo due fuggevoli accenni nell’epistolario del commediografo (Lettere, ed. Masi, pp. 177. 179).
E. M.
L'Avaro fu stampato la prima volta a Venezia nel 1762, nell’ed. Pasquali (t. IV); e l'anno stesso a Bologna (S. Tomaso d’Aquino, I). Fu di nuovo impresso a Torino (Guibert-Orgeas IV. i772), a Venezia (Pitteri XI. 74; Savioli XI. 77: Zatta. cl. 1. V, '89; Garbo V. '95), a Livorno (Masi VII, ’89), a Lucca (Bonsignori X, ’89) e forse altrove nel Settecento. - La presente ristampa seguì più fedelmente il testo dell’ed. Pasquali. Valgono le solite avvertenze.