L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie/II. Carteggio/L. Dell' Estevan

II. Carteggio - L. Dell' Estevan

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coloro i quali chiamano questo secolo «beato», perocché si goda la libertá di sconoscer i Socrati ed i Platoni per lo amore della ragione e del vero, fanno plausibile il lor giudizio appresso il vulgo ignorante che, perocché le volgari tradizioni degli amichi sono state ricevute come articoli di fede da tutti i dotti di tutti i tempi, si debba sopra di esse alla cieca serbare tutta la venerazione all’antichitá.

Quindi potete intendere, signor don Francesco, se io debba estimare cotesta vostra solitudine per una grande celebritá, e se la Nuovi scienza abbia degno luogo nel vostro nulla, che voi dite per una modestia nata da una somma grandezza di animo. Che, avendo sgombro la vostra gran mente di tutto ciò che vi ricordavate e vi avevate immaginato de’ principi dell’umanitá, vi avete lasciato tutto solo il vostro alto intendimento a spaziare nella sua vasta comprensione per ricevervi la Scienza nuova ; ond’EHa entra nel numero di que’ dottissimi, che sempre furono pochi, che sostengon in questo paese ed all’opera il credito ed all’autor, oppresso dalla fortuna, difendono e la patria e la vita e la libertá.

E vi bacio caramente le mani.

Napoli, a di 12 gennaio 1729.

L

DELL’ESTEVAN

Si scusa dell’aver preferito l’orazione per la Cimmino alle maggiori opere del Vico, e fa le lodi di queste.

La somma riverenza che, come ad ottimo maestro, vi si dé* e da me vi si professa sin dacché, conosciuta la necessitá che piú che ciascun altro ho io d’essere ammaestrato, ebbi in sorte di conoscere in Vostra Signoria, sovrano lume de’ nostri tempi, il merito d’ammaestrare, mi sprona a tórre a Vostra Signoria il pcnsiere, s’Ella mai s’è indotta a giudicare cosi, che io in profferirle quello che, in leggendo la vostra orazione fune [p. 219 modifica]

rale data in luce per la morte della marchesa Cimini, ingenuamente ne sentiva, abbia voluto contrappesarla ad altre vostre opere e dire che un’operucciola, che altri giudicarebbe da passatempo, preponderi ad opere su di cui vi avete gocciolato il cervello in tutto il tempo di vostra vita. Di grave tracotanza mi accagionerei, se mi recassi a coscienza d’essermi fatto giudice delle vostre cose e d’aver voluto dar loro il giusto peso. E se dar giudizio di tutt’aitre opre d’ingegno per ogni verso m’è sconvenevole, sarei temerario ad eccesso se volessi darle delle vostre. La maniera del mio favellare, riveritissimo signor Giambattista, la quale, e per l’alta idea che ho di Vostra Signoria e per la grande difficoltá che da me s’incontra in restrignere in poco quel molto che dir se ne dovrebbe, e tra per mille riguardi, è corta, ha dato a Vostra Signoria motivo di credere che io abbia voluto diroccare una tanto ben fondata vostra opinione, con dire esser da piú cotal funebre orazione che non sono e ’l Dritto universale e la Scie?iza nuova , su di cui avete travagliato con merito indicibile. Ma, s’ella è corta, cortissima, com’esser manifestamente si vede, dé’ il vostro luminoso intendimento sopperirle.

Gentilissimo amico e stimatissimo, dacché venutimi fra mani i vostri libri sul bel principio mi vi applicai colla lezione e colla meditazione, mi accorsi di un certo spirito, che si racchiudea ne’ vostri ragionari, innalzato a pensare sopra la maniera comune degli uomini, e mi sono mai sempre ingegnato di penetrare ne’ piú cupi recessi di vostra mente, onde colla stessa facilitá escono e questo e quello ed ogn’altro lavoro, sembri grande quanto si voglia, tanto che altre cagioni non l’interrompano quel corso ond’ella si spinse da prima a meditare sulle divine ed umane cose; e mi sono sforzato di commendarvi, comecché a dover non si puote, per quel verso onde proviene a Vostra Signoria sincerissima la lode. Non giá come altri, i quali, o volendovi colmare d’applausi, han preso una od altra cosa ratta dalla perpetua serie del vostro ragionare che loro piú incontrasse il genio, ed ivi sopra han formato un catafalco di lodi; o, volendovi fare la critica, si son fatti innanzi con qualche fatto dí non [p. 220 modifica]

ben ragionata storia, e cosi han fatto pompa di quel che dite «raccordarsi» e «fantasia». Nessun ve n’ha che si fosse specchiato nella vostra mente, che ha voluto scuotersi quella schiavitú che ha premuto finora miserevolmente i cervelli de’ piti addottrinati. Quindi è che gli uni, spinti da vento contrario, han rivolto bruttamente le lodi in biasimi, ricorrendo all’ usato rifugio di «non intendere»; e gli altri, rovinosi sotto la propia mole de’ loro apparati e sbalorditi a vista della vostra luminosa ragione, che sempre andante ammenda, supplisce e interpetra i fatti piú oscuri ed intrigati della storia, son rimasti per alquanto di tempo storditi: di poi, ripigliato sembiante di confusi e maravigiiosi, son caduti, non volendo, nella openione de’ primi; e si entrambi concorsi d’accordo a dispreggiare: appunto come fanno i figliolini che, qualora truovan compagni, si portano a deridere i tratti piú seriosi della vecchiezza, che, soli, rimirarebbono con aspetto di venerazione.

Or questa grande architetta di vostra mente, la quale ne ha scoverto al possibile i disegni della Provvedenza nell’ordinare il mondo delle nazioni, in questa ultima operetta mi si è fatta vedere in grado piú sublime che nel Dritto universale e nella Scienza nuova : si che, rifondendone netta la cagione all’essersí pivi e piú spiegata la mia capacitá, sono stato tratto a giudicare essere e il Dritto universale e la Scienza nuova opre d’altra mente che non credeva, e tenerle in altro preggio; e son certo che, ripigliandole, nuove bellezze vi riconoscerei e nuovi lumi. E questo volli dire mentre dissi essere una grand’opra ed avermi destato maggior maraviglia che le altre tutte. Dipoi fosse vostro disegno, fosse la Provvedenza fuor d’ogni vostro intendimento, sono stato condotto a rapparare i vostri parlari alle migliori idee, e quelle che han pensato i filosofi e quelle colle quali non filosofo, non teologo, ma ella stessa la Provvedenza con certe singolarissime occasioni ne addottrina ed illumina. Il perché mi lasciai cader di penna «esser da piú che le bibbioteche di tutti i filosofi». Onde veda Vostra Signoria con quanta ragione vi abbia detto esser uopo anche a’ piú raffinati di altre vostre opere. Deh! non vi incresca, riveritissimo mio signor Giambattista, di [p. 221 modifica]

tener sempre in esercizio la vostra mente. Fatela servire a’ disegni, perché tant’alto sublimolla la Provvedenza; e vivete sicuro che ella, per canali da Vostra Signoria non immagginati, fará surgere a Vostra Signoria una fonte perenne di gloria immortale.

Troppo, dall’altro canto, vi piaggierei, se volessi giudicare cotal funebre orazione parto d’una vera eloquenza per quella che Vostra Signoria ne dá ed è la sua giusta idea, la quale diceva Marco Tullio trovarsi solamente in Dio; lo qual senso, a mio giudizio, siccome, nell’altri acutissimi detti de’ gentili filosofanti, va a ferire la natura intera dell’uomo, in cui, come in speglio tersissimo e senza enimma, si vedrebbe la luce del divino sapere dar moto a tutte le facoltá dell’uomo. Conciosiacosaché alla corrotta natura deU’uomo quanto la difficoltá medesima, tanto costa l’accoppiare tutte e tre le virtú onde proviene compiuta l’eloquenza; e, se per anche si truovano in suggetto unite in grado che non possano piú oltre stendersi per natura, non possono dar in luce che una indebolita eloquenza e tale che rimanga a mente ancora l’agio di sentenziare quel; «Nescio quid ver bum semper abest rei».

Ma Vostra Signoria non è giá tale che debba strascinarvi a sincera communicazione d’animi sozza adulazione. Ed io non ho sortito quest’animo servile; ché, piuttosto che mettere in uso la sozza maniera colla quale coltivasi oggidí l’umana societá, goderei di starmene per elezione in questa solitudine, ove son ridotto a vivere dalla necessitá, ed ho rinunziato perciò all’insozzita profession delle leggi; in guisa che, rilasciando per avvenire tal beata necessitá i stimoli ad oprar il meglio che si dé’ e ristituendosi alla libertá dell’arbitrio la facoltá dell’elezzione, or, per quando che fosse, ne priego la grazia istantissimamente a soccorrerla si che non abbia a travedere e succiar quel veleno che si nasconde entro il guscio d’un vii guadagno ed onore. Tra breve, rimettendosi la stagione in qualche temperato sistema, sarò di persona a darvi il tributo bimestre d’ossequi, secondo l’obbligo che ho contratto con Vostra Signoria.

E con umile e profondamente riverirvi vi bacio la mano, ecc.

Castel di Cicciano, 24 gennaio 1729.