L'esercito a concione

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Le voci di pace provocano il sollevamento delle truppe assoldate, ma Pietro Strozzi doma, con la propria parola, la sedizione. Dopo avere gettato il velo, Lisabetta getta ogni prudenza, e a casa Cavizzani proclama che la guerra contro Roma è la santa lotta contro il mostro descritto dal profeta Daniele.


Annibale Signoruccini sta percorrendo, al trotto, l’ultimo miglio prima delle mura quando percepisce un confuso gridare, percorre ancora qualche tesa e intravvede, dagli scorci tra i filari di olmi, attorno alla porta un immenso assembramento di armati. Insieme alla vista, procedendo ode le grida farsi sordo mugghiare. Avvicinandosi distingue più chiaramente la mescolanza di soldati, e percepisce le parole che la soldatesca grida confusamente: "Guerra, guerra! Paghe!" Quando supera il limite della tagliata che è stata dispiegata, per l’agio dei bombardieri, attorno alle mura, abbattendo alberi e distruggendo casupole, lo spettacolo gli dice che i soldati riuniti alla Mirandola si sono levati in armi, minacciando la sommossa e invocando quella guerra per combattere la quale sono stati assoldati sotto le bandiere fedeli alla Francia.

Arresta il cavallo, che gli consente di osservare dall’alto la moltitudine armata. Uomini dagli abbigliamenti più difformi, in braghe e corsaletto, con mezze armature, armati di alabarda, di picca o di archibugio, cavalleggeri sulla propria cavalcatura, si rimescolano, gridano, battono le armi in un tuonare assordante. Vede che lo stesso assembramento si dilata, oltre le mura, nella piazza contigua alla porta.

Varcare la porta è impossibile, attende. Trascorre forse mezz’ora, le grida si fanno più forti, in tutta la moltitudine non si scorge un solo ufficiale. Ad un tratto qualcuno grida "Ludovico! Ludovico!" All’acclamazione si uniscono altre voci, fino a quando qualcun altro grida "Strozzi! Strozzi!". L’acclamazione diventa coro universale. Passano i minuti, improvvisamente dall’interno delle mura il grido diventa ovazione: "Strozzi! Strozzi!", poi si spegne, e dall’esterno si percepisce, oltre la porta, un grande silenzio. Il tempo pare essersi arrestato, pare siano passate ore quando sulle mura appaiono due trombettieri, dopo un lungo intervallo compare, nell’armatura che manda bagliori, ma senza elmo, Pietro Strozzi seguito da altri due trombettieri. Tutti gridano ancora "Strozzi! Strozzi", ma il grido ha perduto vigore. Il comandante volge ai soldati che lo invocano dalla tagliata il viso scoperto, ristà immobile, il sole di giugno riverbera dall’armatura indossata senza sopraveste. I trombettieri si dispongono ai lati del comandante. La soldatesca rumoreggia, Strozzi, il capo immobile, fa un segno con la destra, i trombettieri suonano gli squilli dell’adunata.

La soldataglia non grida più, rumoreggia cupa. Immobile Pietro Strozzi attende: ha fatto suonare l’adunata, non intende parlare a una moltitudine disordinata. Trascorrono lunghi minuti, il generale ripete il segno ai trombettieri, che suonano ancora l’ordine dell’adunata. La moltitudine informe si rimescola, i soldati hanno accolto il comando, gli archibugieri cercano gli archibugieri, i picchieri i picchieri, i cavalleggeri si raccolgono alle spalle della fanteria. Compaiono le bandiere, gli alfieri si dispongono di fronte al comandante, alle loro spalle le compagnie si riuniscono in ranghi ordinati. Attorno agli alfieri compaiono i tamburi, quando Pietro Strozzi ordina l’ultimo squillo alle trombe rispondono, con ordine, i tamburi dei reggimenti.

Pietro Strozzi è immobile nell’armatura che restituisce bagliori al sole imperioso di giugno. Attende che si spenga l’ultima eco dei tamburi, trascorre un lungo silenzio, la moltitudine in armi che minacciava la sedizione è irrigidita, muta nei propri ranghi, secondo le regole della disciplina di guerra.

"Soldati della Mirandola!" la voce del generale è possente, ferma e autorevole, nel silenzio la odono anche i cavalleggeri più lontani. "Soldati della Mirandola! -ripete il generale fiorentino- Parlo a soldati e non a agli sbandati che non voglio avere veduto, perché per la guerra che voglio combattere ho necessità di soldati, di veri soldati, non voglio pecorame informe e senza disciplina! –Pietro Strozzi fissa le sue compagnie allineate, nel silenzio si ode un cavallo nitrire- Soldati della Mirandola -ripete, dopo la lunga pausa, scandendo le parole-, tra un comandante e i suoi soldati deve valere un patto, tra me e voi deve esserci un patto: un patto per la vita e per la morte!" La moltitudine armata è irrigidita nei ranghi, il silenzio è sepolcrale. "Pretendo la vostra fedeltà, vi giuro la mia -prosegue il generale-, per la vita e per la morte. Voi volete la guerra, io voglio la guerra, voi volete combattere, io pretendo che combattiate con disciplina e valore. Per la vita e per la morte!"

Il sole di mezzogiorno batte sugli elmi e sui corsaletti, fa brillare le alabarde e le picche. Gli uomini immobili nel ferro che pare di fuoco sembrano incapaci di ogni percezione diversa dalle parole del loro generale. "Voglio la guerra al papa, voglio la guerra ai suoi vassalli, e voglio la vostra disciplina per vincere il papa e i suoi vassalli! -proclama il comandante con la voce possente e autorevole- Voglio che non ascoltiate mai più gli imbelli che vanno seminando sospetti vani di pace. Voglio che non li ascoltiate mai più, ma li invito a non tentare più le vostre orecchie: ne va della loro testa! Non ripeterò mai più l’ammonimento: chi ama spargere semi di sedizione lasci questo esercito fino che ha la testa unita alle spalle. Si troverà, altrimenti, a lasciare, con la milizia, anche la testa. Ma voglio che tutti possiate servire in fedeltà e sicurezza sotto le vostre bandiere! Voglio prestarvi il mio giuramento di comandante, soldati della Mirandola!"

Dalle mura da cui arringa la sua gente, immoto sotto il sole, Pietro Strozzi fissa i soldati in un nuovo silenzio. Nell’attesa della promessa del generale sembra che nessuno dei mille e mille uomini emetta un respiro. "Voglio la guerra, e voglio vedervi vincere -scandisce lento le parole-. Ma l’arte dello stato a volte rimanda la guerra, negozia, si accorda. Se, contro i miei desideri, il papa cedesse alle istanze degli amici della Francia, si piegasse, chiedesse la pace, ebbene, soldati, paghi il papa il prezzo della pace, paghi a ogni soldato cinque paghe, in modo che tutti possiate tornare alle vostre case con il premio della guerra che eravate pronti a combattere!"

Qualcuno leva un’ovazione, il comandante alza appena la mano, ogni voce ammutolisce, Pietro Strozzi continua: "Se il papa non ve le darà, vi assicuro che sapremo prendercele dalle sue terre. Dalla Mirandola a Bologna si distendono le campagne del papa, con paesi e castelli ricchi di grano e di bestiame, palazzi signorili con oro e argento. Sappia il papa che Crevlacuore, San Giovanni Persiceto, San Marino e Budrio sono l’ostaggio che garantisce i vostri diritti. Paghi o metteremo il Bolognese a ferro e fuoco! Questo è il giuramento del vostro comandante, soldati della Mirandola, ma anche il vostro comandante pretende da voi un giuramento, il giuramento della disciplina e della fedeltà, il giuramento del valore che sempre ha mostrato chi combatté sotto queste bandiere! Un patto tra soldati, un patto per la vita e la morte!" "Strozzi! Strozzi!" gridano i soldati, "Strozzi! Strozzi!"

Il generale alza la palma della destra, le trombe suonano il riposo, i ranghi si rompono nel vociare generale, le schiere allineate si confondono in moltitudine urlante, che si accalca sotto le mura per gridare ancora la propria devozione al comandante fiorentino. Sotto il sole, nell’armatura che manda bagliori, Pietro Strozzi fissa per qualche minuto la turba disordinata, ad un segno due trombettieri lo precedono, scompare seguito dagli altri due. Annibale Signoruccini si apre un varco lentamente, a cavallo, attraverso la folla che alza le armi e grida, supera la porta, incontra nuovi armati in festa, si dirige, per le stradette del borgo, verso la casa di cui è ospite.