L'apologia di Socrate/Capitolo XXIII

Capitolo ventitreesimo

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Platone - L'apologia di Socrate (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo ventitreesimo
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Via, gli argomenti sono su per giú questi, che io avrei per difendermi, e forse altri simili. E tosto si sdegnerebbe alcuno di voi se si ricordasse che, combattendo per cause di minor momento di questa mia, egli pregò e supplicò i giudici con molte lacrime, menando quassú i suoi piccoli figliuoli acciocché quelli a grande commiserazione movesse, e molti altri famigliari e amici; vedendo che io, ancoraché paia essere nello estremo pericolo, non fo nulla di tutto questo. Ciò pensando, e tosto, siccome punto da me, stizzito, con istizza gitterebbe il voto nell’urna. Ora se alcuno di voi è cosí disposto (non affermo che sia, se è), mi par che io direi convenevolmente, dicendo cosí a lui: - O ottimo uomo, parenti ho anch’io (e qui fa quello che dice Omero: «né di quercia son nato né di pietra, ma di uomini»): parenti ho, e figliuoli; tre, uno giovinetto, e due fanciulli; e pur non menerò quassú niun di loro per pregare che mi assolviate. Ciò non farò io. E perché? Non per orgoglio, o Ateniesi, né per disprezzo di voi (quanto alla morte, se la guardo con coraggio in viso o no, gli è un altro discorso), ma sí perché non mi par bello, per la riputazione mia e vostra e di tutta la città, ciò fare: in quest’età poi, con il nome che ho, vero o falso che sia; ché tutti credono in qualche cosa Socrate essere pur differente dagli altri uomini. Or se cosí fossero quelli che o per sapienza o fortezza o qualsiasi altra virtú paiono segnalarsi tra voi, sarebbe vergogna. E di questi tali io ne ho veduto tante volte (che pur parevano essere alcun che) far cose da maravigliare quando li giudicavano i giudici, credendo come avere a patire assai orribil cosa se morivano, come se, non uccidendoli voi, sarebbero stati immortali. Essi mi pare che alla città facciano vergogna, sí che alcun forestiero supporrebbe che quelli segnalati in virtú tra il popolo ateniese, i quali ei presceglie ai magistrati ed agli altri onori, questi niente differiscano dalle donne. Non conviene dunque fare tali cose né anche noi che mostriamo di valere un poco; né a voi si converrebbe tollerarle, se le facessimo; anzi dovreste far chiaro che colui condannereste molto piú, il quale componesse di cotesti pietosi drammi facendo ridicola la città, che non colui il quale quieto se ne rimanesse.