L'amor coniugale e le poesie d'argomento affine/De amore coniugali/Libro III/III

III. Epitalamio per le nozze della figlia Aurelia

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III. Epitalamio per le nozze della figlia Aurelia
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III

EPITALAMIO PER LE NOZZE DELLA FIGLIA AURELIA1

(1483)


Vieni, o Imeneo, tra i campi: non puoi non accoglier l’invito:
ebber le ville in festa prime le faci tue,

prime a te giochi nuovi sacrarono e diedero prime
molle calzar di croco al tuo purpureo piede;4

belle processïoni condusser per vie ben adorne,
quando con fausto augurio cantan gli sposi a gara.

Prima qui il flauto nuovo col lieto suo canto echeggiava,
e la fanciulla adorna mosse gli snelli piedi;8

l’arco qui fece Amore e strinse le acute saette,
qui delle piante all’ombra arse le nuove faci.

Arse del primo amore il giovane caldo e la nuova
face toccando ardeva la tenera fanciulla;12

quivi congiunser le destre con patto comune gli sposi,
spesso invocato ai tetti tu qui venisti, o Imene.

Prima per te dei veli nuziali fu adorna la sposa,
d’aurea lucente gemma prima la mano ornava:16

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e tu sedevi in mezzo fra i giovani sposi, parlando
delle delizïose gioie del letto amato.

E per la tua presenza felice fu il letto sponsale
e il talamo una fede s’ebbe costante alfine.20

Qui vieni dunque, o Imeneo: ti chiama la villa: sorride
a te la casa adorna, ridono i campi in fiore;

l’elegante Arïadna ti attende sul suo limitare,
e tutti i piú bei fiori pone per te in corone.24

Mentre compone i serti a lei per il candido viso
ridon le belle rose datele dalle Grazie,

spira dagli occhi suoi la grazia gentil che Ciprigna
mesce al divin sorriso quando agli dèi favella.28

Anzi essa canta: “Alle mense nuziali, deh vieni, Imeneo,
te la novella sposa alle sue stanze vuole.

Vieni, o Imeneo sí bello, deh, vieni, o Imene, Imeneo,
te con le danze e i canti, te la tua festa vuole.32

Vieni, o Imeneo, non senti? con rapide note ti chiama,
suona l’eburneo flauto tenere melodie.

Vieni, o Imeneo, t’invoca pur Antinïana gentile,
di rustica zampogna alle armonie novelle.”36

“Gode il giardin del rivo, e godon dei salici i prati,
godon gli stessi salci, godon dei prati loro;

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lieti del miele i favi e lieta è la quercia di ghiande
come alle nozze lieto dice i suoi canti Imene:40

lieto è Imeneo, per esso la figlia del vate s’adorna
e pudica di sposa oggi prepara il talamo.

Quale fiorente giacinto che in molle giardino alla rosa
schiusa pur or contende l’almo purpureo vanto:44

(d’esso le Driadi cura già s’ebbero e insiem le Napee,
lo bagnò d’una stanca Naiade il puro fonte).

Gloria di Venere il mirto (di quello s’allietan gli amanti)
cinga l’adorna porta con un suo verde ramo.48

Onor d’Apollo il lauro (ed esso pur ama gli amori)
orni la casa in festa con le verdi ghirlande.

È della vite onore dei pampini il grappolo all’ombra,
sono dei meli gloria i rosseggianti pomi:52

clamide con ricami e stoffe di Frigia screziate
son delle stanze onore, son del purpureo letto

quando d’essenza di rose perfuso e d’asiatico amomo
mille ai novelli sposi, mille piacer prepara.56

Felice di delizie, o letto, e di cari sussurri,
trovasi in te contento l’uno dell’altro sposo.

Pane congiunge le canne, ma Imene congiunge gli amanti
ed ama Pan, le canne dolce Imeneo gli suona:60

Imen cui piacciono il velo nuziale e dei giovani i baci,
Imeneo che la pace del comun letto brama.

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Dalle contese amore rifugge: non vuol che concordia,
il letticciolo stesso rende concordi i cuori;64

questo si scelse amore a luogo di pace tranquillo,
a vincolo di fede questo si scelse Imene.

Canta, o zampogna, Imene, su cantami Imene Imeneo,
canta: Imeneo si gode del ripetuto nome.68

Simile al fior, l’estate ardendo la terra assetata,
che desia della notte languido la rugiada,

né lo spirar dei venti, né il fresco dell’aure il consola
né l’ombra che s’addensa sotto intrecciati rami,72

solo nella rugiada ei spera e sol nella pioggia,
nei petali cadenti la sua bellezza langue:

tal della sposa il cuore scaldando d’amore la fiamma,
dello sposo promesso i baci ella desia:76

non del paterno amplesso si gode o dei baci di mamma,
né della bella veste di ricamata porpora,

solo l’abbraccio sospira e il bacio del caro marito
mesta: è perduto ormai ogni ritegno antico.80

Quella, rapita dal seno di mamma e dal collo del padre,
alla porta del caro coniuge Imen conduce,

il dolce Imen cui piace il molle nuziale imeneo
e il vincolo d’eguale fede congiunto e amore.84

Come d’aprile un fiore nel fulgido sole risplende
e in tutta la sua gloria gode la lieta porpora,

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e il fresco del mattino e l’aura lo molce e l’irrora
la rugiada notturna, lieto di sua bellezza;88

tale la vergin risplende sul morbido letto nuziale,
cinge lo sposo e amata posa sul caro seno:

dolce sopor la tiene, le piace d’udire il sussurro
delle dolci parole, o ben accetto Imene.”92

Ecco, la sera rifulge di vivide stelle nel cielo,
stanca zampogna i lenti lascia tuoi canti: è l’ora.

Ecco la sera: è presente Imene, levate le mense,
ama la sera i canti, gode dei canti Imene.96

Giovani, e voi, fanciulle, andate alle danze ed ai canti,
moduli le sue lievi note l’eburneo flauto.

Ecco la sera: godete, fanciulli: fanciulle, godete!
già l’uno e l’altro sposo letto comune accoglie.100

Vede Imeneo la stanza, o vergine, è l’ora suprema;
ecco lo sposo ed ecco chi vi congiunge: Amore.

Venere prima la norma prescrisse per gli occhi bramosi
a ciò che amor disvela, a ciò che copre amore;104

primo Imeneo le sue parole alle tenere labbra
dettò: dicea lo sposo: “Cara, mi piaci, vieni!”

Venere disse dal cielo al giovane ed alla fanciulla:
“Sposi felici, è giunta l’ora d’amor suprema!”2108

.     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .

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Venere sola concede le gioie che rendon la vita
bella allo sposo amato, cara all’amata sposa;120

ciò ch’è tenero e dolce e ciò che diletta Imeneo
dà: in una sola bocca doppio un respiro chiude.

Mutan le note, la sera tramonta nel cielo e s’asconde:
al sonno la divina Venere già c’invita.124

Dentro alle stanze venne Imene felice e l’augurio
diede: ma già gli sposi dormono il dolce sonno.

Dorman le placide notti in dolce concorde quïete,
con unanime senso colgano i dolci pomi:128

fiori l’april, l’estate le messi, l’autunno dà l’uve,
ma in ogni tempo care gioie l’amor concede.3

.     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .

Cosí l’edera al tronco s’abbarbica, e tal le colombe
baciansi, un lieve murmure dalle lor bocche s’ode.

Breve è l’april della vita: coglietene i fiori piú belli,
s’addicono all’aprile d’ogni piacer delizie.136

La gioventú godete sí breve: e dal vostro piacere
prole dei nonni date al cupido desio.

Simile nasca un bimbo a Paolo4 vivace e vezzoso,
che d’entrambi i suoi nonni mostri l’esperto ingegno.140

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Poi che il paterno nonno5 d’Apollo e di Marte il favore
s’ebbe e le Muse a gara crebberlo all’opre loro:

l’altro dell’antro aonio conobbe i recessi divini,
e lo protesse ancora Marte con l’elmo suo.6144

Nasca una figlia, o Aurelia, che serbi il tuo puro costume,
serbi il tuo viso e serbi l’alto decoro tuo:

però che a madre e figlia concesse la giusta Minerva
tutto e le Grazie amiche furono al lor pudore.148

Scenda dall’una e dall’altra ben lunga progenie. “O dei campi
figlie, o dei boschi donne, dèe che le selve amate,

fresche ghirlande di fiori recate agli sposi al novello
mattino e in bei panieri tutti dei campi i doni:152

tu stessa, Antinïana, portando i tuoi favi di miele
e il fior del latte, canta i fescennini sali.”


Note

  1. Per ragioni che, a chi legge, appariranno evidenti, ò dovuto omettere alcune sconce frasi del testo e tralasciare alcuni versi. Questa poesia è del 1483. Aurelia Domitilla, la figlia maggiore del Pontano, sposò in quest’anno un ricco e nobile signore, Don Paolo di Caviano di Napoli, e fu matrimonio felice. (Tallarigo, op. cit. I, p. 93).
  2. Si tralasciano dieci versi.
  3. Si tralasciano due versi.
  4. Allo sposo d’Aurelia.
  5. Antonello Caviano, da giovane studioso di lettere, piú tardi segnalatosi come guerriero nella guerra angioina [1458-’64] (Tallarigo I, pag. 93-94, nota 3).
  6. Modestia a parte! In quest’epoca (1483) egli non poteva, da buon umanista, vantare ancora i suoi successi diplomatici.