L'amante di sè medesimo/Nota storica

Nota storica

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Atto V
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NOTA STORICA


Questa commedia, come la prefazione ci informa, fu scritta dal Goldoni a Colorno, nel luglio del 1756, poco prima che l’autore lasciasse la Corte di Parma, per raggiungere a Milano la compagnia del teatro di S. Luca. Fantastiche sono le date che si leggono nell’edizione Pitteri [1747], nell’edizione Zatta [1757] e nei Mémoires [1755]. Nel settembre ’56 l’Amante di sè medesimo fu recitato per la prima volta ai buoni Ambrosiani, che l’applaudirono calorosamente (v. pref.). Poco dopo, ai 9 di ottobre, il Goldoni scriveva da Venezia al conte Arconati- Visconti: «La mia commedia... ha avuto un fortunato incontro qui pure, onde il Sig. Iddio mi fa essere della mia sorte contento» (v. anche lett. dei 30 ott., allo stesso). E aveva in fatti giusta cagione di rallegrarsi, poichè proprio allora l’Infante Don Filippo gli aveva conferito col titolo di poeta una generosa pensione, e il Vendramin gli accordava, in grazia d’un nuovo contratto, migliori condizioni.

A detta del vecchio biografo dei Comici Italiani, Francesco Bartoli, la parte di Don Mauro fu scritta per il brighella Martelli (Notizie istoriche ecc., Padova, 1782, II, p. 30); ma quella del signor Alberto veneziano non fu scritta certamente per il Rubini (ivi, 139), morto fin dal ’54, bensì per il pantalone Rosa. Anche il Gradenigo nei suoi Notatorj (presso il Museo Correr) ricorda le recite dell’Amante di s. m. a S. Luca, in data 21 ott. ’56; si capisce dunque che la commedia fu replicata più volte. Che poi tornasse ancora sulle scene, ne è prova la recita a S. Luca ai 19 gennaio 1797 (comp. Perelli), nell’ultimo carnovale della Repubblica di S. Marco (Giornale dei Teatri di Ven., in Teatro moderno applaudito). Anzi fu ripresa nell’Ottocento, e la troviamo sul Teatro Carignano a Torino nel ’29 (compagnia Reale Sarda: v. Costetti, La Comp. R. S., Milano, 1893, p. 48), sul Teatro Re a Milano nel ’27 (comp. Romagnoli e Bon: v. I Teatri, Giorn. drammat., I, p. 508) e sul Teatro Aliprandi a Modena nel ’75 (Modena a C. G., Modena, 1907, p. 243). Col titolo di Egoista, che si legge tuttavia accanto all’altro nelle Memorie francesi del Goldoni (v. ed. curata dal Mazzoni, Firenze, 1907, li, 86 e 348), la recitò pure Ernesto Pietriboni fra il ’74 e il ’90 (v., per es., num. unico del Teatro Manzoni, Milano, 1907, p. 47).

La soddisfazione del Goldoni per questo suo lavoro apparisce anche più tardi nei Mémoires: «Cette pièce eut assez de succes, et fut placée dans la seconde classe de mes Comédies» (P. II, eh. 33). Tuttavia nella prefazione, che appartiene al ’60, non tace l’autore che pochi riconobbero nel Conte dell’Isola il vero ritratto di un egoista, e difende, come può, il suo personaggio. Ma proprio in questa indeterminatezza, ossia nella scialba figura del protagonista, risiede la condanna della commedia. Il Goldoni voleva scrivere una commedia di carattere, ma al creatore della Locandiera e dei Rusteghi manco questa volta la forza. Il Conte dell’Isola non è un egoista, non è neppure un vanitoso: [p. 520 modifica]è un’ombra senza vita, o un manichino. — Quattro anni prima, nel dicembre del 1752, si recitava per una sera sola sul Teatro Francese di Parigi Narcisse, ou l’amant de lui-même, commediola in un atto di Gian Giacomo Rousseau, che l’autore affermò di aver sbozzato a 18 anni, vale a dire ai tempi di Marivaux. Ma di un ragazzo, se anche cresciuto dovrà scrivere il Contratto sociale, non ci lagniamo, se ci dà appena uno scherzo senz’anima.

Goldoni invece, nota il Rabany, «est passe là, sans s’en douter, à coté d’un véritable sujet de comédie, mais de comédie amère et profonde, que son aimable génie, trop superficiel, n’a pas eu la force de traiter» (C. G., Paris, 1896, p. 364). Anche Cesare Levi osservò che il commediografo veneziano «non seppe scolpire profondamente i caratteri» dell’egoista, dell’avaro, del prodigo, dell’impostore (Letteratura drammatica, Milano, 1900, p. 1 64). Tuttavia, se il caldo e le feste di Colorno impedirono al Goldoni di scrivere un capolavoro, e se il buon Dottore si abbandonò, come tante volte per vincere le aspre difficoltà della sua esistenza, a certa furia facilona che basta a creare sul teatro gli effimeri trionfi, non sarà mai abbastanza ripetuto che egli penetrò, quando volle, nell’anima di don Marzio e di Mirandolina, di sior Lunardo e di Titta Nane, e di cento personaggi. Al carattere dell’egoista par quasi ripugnasse il suo ingegno. Avverte il Molmenti ch’egli «studiò e ritrasse gli svariati aspetti dell’egoismo» nell’Amante di s. m., nelle Donne gelose, nell’Avaro, nel Vero amico, nel Ritorno dalla villeggiatura, nell’Apatista (C. G., Venezia, 1880, pp. 107-8), ma non direi già «finamente».

Nemmeno gli altri personaggi meritano di fermare la nostra attenzione. Il signor Alberto è il solito veneziano così familiare nel teatro del Chiari, ma certo vive di più il signor Tomio nel Torquato Tasso. Don Mauro è personaggio più da farsa che da commedia, né ha di patologico che il troppo amore al vino (Albertazzi, Patologia goldoniana, in Flegrea I, 1899, p. 139). Anche la commissaria Graziosa può appena strappare qualche risata al volgo; e le fa troppo onore chi oggi la ricorda (R. Schmidbauer, Das Komische bei G., Monaco, 1906, pp. 95-6). La marchesa Ippolita abbiamo conosciuto molto più perfida e superba in altre commedie goldoniane. Solo quelle lacrime continue e quei fazzoletto di donna Bianca ci attirano e ci commuovono un po’, perchè una fanciulla che piange veramente d’amore è cosa rara nel teatro del Settecento.

Dopo ciò sembrerà strano che il Montucci facesse posto nella sua Scelta (Lipsia, 1828) all’Amante di se med. E più ancora che certo P. T. Baib (Parmenio Bettoli) offrisse un bel giorno al pubblico italiano, come roba goldoniana inedita, un suo Egoista per progetto (P. Bettoli, Storia della comm. l’Egoista p. p. e di P. T. Barti, Milano, Treves, 1875 e L. Bellotti-Bon, Lamentevole storia narrata da L. B. B. delle tribolazioni, confessioni e riflessioni serio-facete di un comicuzzo ignorante a proposito dell’Egoista p. p., commedia attribuita a C. G. Torino, 1875: v. anche F. Galanti, C. G., Padova, 1882, p. 239); De Gubernatis, Dictionnaire International des écrivains du jour, vol. I, alla voce Barti, Firenze, 1889 e i giornali del tempo). Fra i detriti del teatro di Carlo Goldoni, colossale creazione, è meglio resti sepolto il Conte dell’Isola, al quale il buon Pietro Schedoni potrà così risparmiarsi di augurare nuove sciagure, (Principi morali del teatro ecc. Modena, 1828, p. 69), per rendere un po’ più esemplare la fine dell’infelice commedia. [p. 521 modifica]

Antonio Grimani, a cui è diretta la dedica, nacque ai 16 settembre 1701 da Giovanni Battista e da Lucrezia Dona, e sposò nel 1726 Loredana Duodo. Il figlio suo Giovanni, che fu senatore, sposò nel ’50 Caterina Contarini (figlia del Kav. Marco) e la figlia sua Elisabetta andò moglie nel ’48 a Lodovico Manin, che fu l’ultimo doge di Venezia. Già prima della caduta della Repubblica erasi estinto il casato Grimani dei Servi.

G. O.



L’Amante di sè medesimo uscì la prima volta a stampa l’anno 1760, a Venezia, nel t. VI del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G. edito dal Pitteri; e fu impresso di nuovo l’anno stesso a Bologna (S. Tomaso d’Aquino VI), più tardi a Torino (Guibert e Orgeas IX, 1776), a Venezia ancora (Savioli VI. 1773; Zatta, cl. 3.a. V. 1792) a Livorno (Masi XXII, 1791), a Lucca (Bonsignori XXVI, 1791) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì principalmente il testo dell’ed. Pitteri curato dall’autore. Valgono le solite avvertenze.