L'amante di sè medesimo/Lettera di dedica
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A SUA ECCELLENZA
il Signor
ANTONIO GRIMANI
FU DI SIER ZAMBATTISTA1.
Conoscete Voi (mi disse un giorno l’Amico) l’Eccellentissimo Signor Antonio Grimani detto, per la dominicale sua abitazione, dei Servi? Conosco (risposi) l’antichissima illustre di Lui Famiglia, so le glorie, i fregi, gli onori del suo Casato, intesi parlar di Lui con somma venerazione e stima da tutti gli ordini delle Persone, ma rilevai altresì, che abbia egli preferita la quiete agli onori, che abbia la Città abbandonata, per vivere più tranquillamente in campagna, ond’io, che sono stato per lo più ambulante pel Mondo, non ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente. Così è (soggiunse l’Amico). Quest’amabile Cavaliere, dopo aver adempito ai doveri di buon Cittadino, sostenendo i pesi e meritando gli onori, pieno della più sana Filosofia, e coll’esempio degli antichi Padri della Romana Repubblica, si ritirò nel suo delizioso Villereccio soggiorno di Martelago2, dove non soddisfa a se stesso coll’inazione, colla solitudine ed il total dispregio del Mondo, vita stoica, inoperosa menando; ma libero spazioso campo ritrova di esercitare l’esimia sua carità verso i poveri, facendo sua delizia, sua occupazione e sua prediletta cura soccorrere i bisognosi, visitare gl’infermi, e consolare gli afflitti. Soddisfatto alla pia inclinazione del suo bel cuore, non lascia di ricreare lo spirito con nobili ed onesti intrattenimenti. Ei tratta assai volentieri con Persone di buon carattere e di buon costume; accoglie i Galant’uomini nella sua fioritissima abitazione, li alberga con esquisitezza e cordialità, fa delle graziosissime conversazioni, e fra queste hanno onorevole, costante luogo le vostre Commedie. Qui non potei lasciar d’interrompere il caro Amico, diedi in un trasporto di gioja, dissi alzando la voce: Dunque un Cavaliere sì saggio, sì pio ed amabile, ammette nel suo virtuoso ritiro la compagnia delle Opere mie, e le crede degne della sua bella mente e del suo bel cuore? Ah (seguitai dicendo), nell’udire il di Lui sistema e le ammirabili sue qualità, m’invogliava di conoscerlo, di inchinarmi ad Esso, di offerirgli la divota mia servitù; ma quest’ultima parte della vostra piacevole narrativa, oltre la mia curiosità, interessa la gloria mia e il mio decoro, e sento da essa solleticar l’amor proprio. Come potrei fare ad accostarmi a Lui, come protestargli il mio ossequioso riconoscimento, come ringraziarlo della sua bontà, della sua protezione? Fate così (mi rispose l’onoratissimo Galant’uomo) dedicategli una Commedia. Oh come (io dissi) posso ardire di farlo, senza merito, senza servitù, senza dirglielo? Non temete, (soggiunse) io lo conosco bastantemente; so di che animo è il Cavaliere; Egli è solito di tutte le cose esaminare il fondo; conoscendo che a ciò vi mosse il rispetto, e se volete, anche un rispettoso riconoscimento, passerà sopra ad ogni formalità, e gradirà la Dedica che gli farete. Se glielo dite prima (soggiunse) correte il rischio che la sua singolare modestia ve lo divieti. Molte cose si lodano dopo fatte, che consigliando non si sarebbero fatte: la cosa non è indegna d’un Cavaliere Illustre per meriti e per Natali, giacchè tant’altri vi hanno concesso un simile onore; egli vi ama, ve l’assicuro, e protegge tanto le cose vostre, che è impossibile non accolga la Dedica con benignità e con diletto. A tante belle parole chi non sarebbesi persuaso? Ecco, Eccellenza, come mi son lasciato condurre all’ardito passo di offerirle un pubblico testimonio dell’ossequiosa mia servitù, senza attenderne la di Lei permissione.
Se mai per avventura foss’Ella malcontenta del mio coraggio, supplico l’E. V. dividere i suoi rimbrotti fra me e l’Amico che mi ha sedotto; io non pertanto in qualunque evento ringrazierò sempre Colui che mi diè animo a farlo, sicuro che la dolcezza dell’animo di V. E., e la naturale sua benignità, ravvisando il cuore umilissimo, che per l’acquisto della di Lei protezione divenne ardito, mi accorderà un clemente perdono, e mi concederà liberalmente la grazia di poter essere, quale ossequiosamente inchinandomi ho l’onore di protestarmi
Di V. E.
Venezia li 22. Luglio 1760.
Umiliss. Devotiss. Obbligatiss. Servidore |