L'adulatore/Nota storica
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NOTA STORICA
«Quando si vuole introdurre un cattivo carattere in una commedia, si mette di fianco e non in prospetto» sentenzia il Goldoni nel Teatro comico (II 3). In questa contradice sè stesso, perchè n’è protagonista un furfante, meritevole di galera o di forca, e accanto a lui emergono, tra i personaggi, il Governatore, indolente, disonesto, interessato, cui fa riscontro, in tutto degno, la consorte. Il titolo, come spesso nel Teatro del Nostro, mal risponde al contenuto del lavoro. Consigliato più da civile prudenza che da dogmi teatrali il poeta dissimula con esso la vera essenza del dramma ed inganna così lettori e spettatori ancora ignari. Non era dunque bastato trasportare ben lontano, a Gaeta, tanto eletta schiuma di bricconi? In ogni caso, usando tuttavia le cautele a lui solite, il Goldoni molto osa e il quadro di corruzione offerto è dipinto con forti colori. Mai altrove egli ardì criticare più apertamente governi e governanti, nè mai adoperò sarcasmo più acre contro i nobili (cfr. Brognoligo, Nel teatro di C. G. Napoli, 1907, pag. 24). Anche la ribellione della «famiglia bassa» che ne’ suoi varii dialetti rappresenta cinque regioni d’Italia, è ricca di significato per chi le energie sane, la bontà, cercava e trovava prima nel ceto umile che in alto. È tolto anche per questo forse, ma più per ragioni d’arte, nella lezione definitiva della commedia, l’avvelenamento del segretario, opera del cuoco. Con esso pure il lungo atto di contrizione che Sigismondo doveva recitare al pubblico (Ediz. Paperini, vol. II, atto III, sc. XXII). Di tale importante mutamento le Memorie (II 8) non tengono conto (A. Neri, Passatempi goldoniani. Ateneo ven. 1907. Num. goldon. pag. 90); avverte solo il Goldoni che la catastrofe melodrammatica era una licenza «dans le gout de la Nation», ossia un’eco della commedia dell’arte, nota giustamente il Masi (Scelta di commedie di C. G. Firenze, 1897, vol. II, p. 9), non ricordo dell’attività dell’autore al tribunale di Pisa, come sembra al Rabany (C. G. ecc. Paris, 1896, p. 63).
Anche tolto il veneficio, altre mende restano e non lievi, anzitutto il realismo triviale delle figure e del dialogo, comune a tutti i personaggi, e l’altalena tra il patetico e il comico, elementi che l’a. non riesce a fondere, perchè il suo ingegno batteva falsa strada. Se alcuno rammenta la commedia con benevolo giudizio (Platen, Die Tagebücher. Stuttgart. 1900, p. 640; K. F. Kretschmann’s Sämmtl. Werske. Carlsruhe, 1787, IV, p. XXVII), anzi con lode (Salfi, Saggio stor. crit. d. comm. ital. Milano 1829, p. 48), i più la condannano senza pietà (Ciampi, La vita artistica di C. G. Roma, 1860, pagg. 88-89; F. Martini, Simpatie. Firenze, 1900, p. 322; Schmidbauer, Das Komische bei G., Munchen, 1906, p. 69). Ma un’analisi minuta ne dà solo Vincenzo Degli Antonj (Confronto fra l’«Adulatore» dell’Avv. C. G. e quello di G. B. Rousseau. Giornale arcadico. Roma, 1822, T. V, pp. 89-106). La raffronta a Le Flateur (ree. il 24 nov. 1696) del Rousseau (1670-1741) senza concludere che il G. se ne sia giovato, e vi scorge qualche pregio, massime nel modo onde si mette in evidenza l’adulazione. Ed è lode meritata. Se l’a., contento di abbozzare un carattere mezzano, non avesse gravato il protagonista di vizi e misfatti innumeri, forse gli veniva fatta una vera e buona commedia. Il Landau (C. G. Beil. z. Allg. Zeit. Monaco, 1906, n. 32, 53), fraintendendo le Memorie, fa il G. imitatore confesso del Rousseau. Nega invece, più recisamente ancora del Degli Antoni, ogni rapporto di dipendenza tra i due lavori il Merz (C. G. in seiner Stellung zum franz. Lustspiel. Leipzig, 1903, p. 32) e crede che del Flateur il G. ebbe notizia appena in Francia. Piuttosto gli sembra opportuno notare un lontano ricordo del Tartuffe, tanto là dove Sigismondo cerca di sedurre Elvira, che nell’ipocrita accusa che si sia voluto attentare al suo proprio onore. Altro spunto molieresco avverte il Rabany (op. cit. p. 259): la brevissima scena, in cui, licenziata dal segretario tutta la servitù, Arlecchino si presenta con diversi abiti, pronto a far le parti di tutti, gli sembra inspirata da quel luogo dell’Avare, dove Maitre Jacques si trasforma a volta a volta in cuoco e cocchiere.
La commedia non fu mai «applauditissima», come asserisce il Medebac o chi per lui (ed. Bettinelli, 1753, vol. IV); ebbe al contrario mediocre successo, per testimonianza dello stesso autore (ed. Paperini, vol. II, p. 169) che rettifica così questa ed altre inesattezze di quella edizione. Dalle nostre scene dovette sparire assai presto, non per ragioni d’arte soltanto, ma perchè verisimilmente passava a fatica lo scoglio della censura. Quanti Sigismondi nei governi e nelle corti d’Europa! A Dresda p. e. la recita dell’Adulatore procacciò seri disgusti al capocomico Koch, perchè si credette riconoscervi il celebre ministro favorito d’Augusto III, conte Augusto Enrico Bruhl, del quale il segretario goldoniano è in verità ritratto quasi fedele (Goldoni über sich selbst ecc. ecc. übersetzt von G. Schatz. Leipzig, 1788, vol. III, p. 376 e Merz, op. e l. c.). Con tutto ciò in veste tedesca la commedia ebbe certo più fortuna che in Italia, se anche non costante, (cfr. Der Deutsche Merkur vom Jahr 1775. Weimar, I.° sem., p. 276 e Deutsche Bibliothek der schönen Wissenschafthen herausg. v. H. Klotz. Halle, 1768, 7 vol. II, p. 447) e fu tradotta e stampata più volte (nel 1768 [Francoforte-Lipsia] dietro l’ed. Paperini; nel 1775 accolta nella Deutsche Schaubühne, e nel 1774 nella traduzione del Saal [vol. X] secondo l’edizione Pasquali). Si recitò a Vienna già nel 1753 (Repertoire des theatres de la ville de Vienne... Vienna, 1757, n. 48), il 13 febbr. del 1764 per la prima volta a Lipsia (Schaz, op. e 1. cit.) e il 5 luglio del 1771 a Berlino (Teichmann, Literarischer Nachlass, Stuttgart, 1863, p. 372). Sempre per la fortuna dell’Adulatore in Germania notiamo ancora che il Lessing ne tolse forse lo spunto al principale episodio della sua Emilia Galotti (cfr. Albrecht, Lessing’s Plagiate. Hamburg, 1891, vol. III, p. 1413; Maddalena, G. e Lessing. Giorn. stor. d. lett. it. 1906, pp. 206-208).
Il nobiluomo Antonio Vendramin (di S. Lunardo, n. 1698 da Alvise e Chiara Barbarigo), dedicatario, firmò il primo contratto che legava il Goldoni al Teatro San Luca. Ad Antonio successe presto nella gestione il fratello Francesco, e solo con questi il Nostro trattò poi sempre gli affari (vedi la prefazione di D. Mantovani a C. G. e il Teatro di S. Luca a Ven. Mil. 1885).
E. M.
Questa commedia fu stampata nel 1753 quasi contemporaneamente dal Bettinelli di Venezia, t. IV, e dal Paperini di Firenze, t. II, seguiti l’anno stesso dal Corciolani (V) di Bologna e dal Gavelli di Pesaro (II). Fu poi ristampata nelle edd. Fantino Olzati (II, 1756) e Guibert Orgeas (III, ’72) di Torino, Pasquali (III, 1762) Savioli (VIII, ’71) Zatta (cl. 2, III, ’90) Garbo (XIII, ’97) di Venezia, Masi di Livorno, Bonsignori di Lucca e altrove nel Settecento. - La presente ed. fu compiuta principalmente sul testo del Pasquali, ma reca in nota le varianti che si trovano nel raffronto con altre edizioni, e in Appendice le scene delle edd. Bettinelli e Paperini modificate poi o soppresse. Valgono le osservazioni fatte per le precedenti commedie.