L'addio (Belli)
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
L’ADDIO.
Oh, ddunque, a rivedendosce,1 sor Nino:
Un zaluto a la sora Ggiosuarda.
Nun bevo, grazzie; ’ggna2 c’arzi la farda...3
Cojjoni! è mmezzoggiorno: antro4 che vvino!
Ciò stammatina un frate galoppino,5
Che cquanno che mm’appoggia la libbarda,6
Vò ppranzà ar tocco7 in punto; e ssi sse8 tarda
Un ette, va in decrivio oggni tantino.
Cosa volete! è confessor de Rosa,
E nn’ha in corpo una bbona fattarella.9
Cacciallo! parerìa10 ’na scerta cosa!...
Lui viè a rrifuscilasse11 le bbudella
’Ggni12 dimenica: e ddoppo, io co’ la spósa13
L’ariporto ar convento in carrettella.
Roma, 12 maggio 1833.
Note
- ↑ [A rivedendoci]: a rivederci.
- ↑ Bisogna.
- ↑ Alzar la falda, o le falde: andarsene.
- ↑ Altro.
- ↑ Mangiatore a spese d’altri, una specie del musca degli antichi Romani.
- ↑ Appoggiare l’alabarda: presentarsi all’altrui mensa.
- ↑ [Il tocco per i Romani d’allora era il mezzogiorno.]
- ↑ Se si.
- ↑ Quantità. [Dei peccati di lei, si sottintende.]
- ↑ Parrebbe.
- ↑ Rifocillarsi.
- ↑ Ogni.
- ↑ Pronunziata colla o chiusa.