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Parte Prima

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Illustre Amico,

Lei conosce le vicende di questo mio romanzo, e sa che con esso per la prima volta (ora son circa quattordici anni) io mi provai nell’arte narrativa, e che esso era — nella sua prima forma — dedicato a Lei.

Ma “chi di stampar opere lavora„, come il Berni direbbe, pretende spesso che nasca la gallina prima dell’uovo, che uno scrittore cioè abbia fama prima di mandare a stampa il libro che gliela dovrebbe dare. E per lungo tempo la mia Esclusa si vide costretta a rimaner tale e dalle case editrici e dal pubblico. Finché non apparve su La Tribuna di Roma: primo romanzo italiano nelle appendici di questo giornale.

Non so rendermi conto dell’effetto che abbia potuto fare nei pazienti e viziati lettori delle appendici giornalistiche; certo, scene drammatiche non difettano in questo romanzo, quantunque il [p. vi modifica]dramma si svolga più nell’intimo dei personaggi; ma dubito forte che, in una lettura forzatamente saltuaria, si sia potuto avvertire alla parte più originale del lavoro: parte scrupolosamente nascosta sotto la rappresentazione affatto oggettiva dei casi e delle persone; al fondo insomma essenzialmente umoristico del romanzo.

Qui ogni volontà è esclusa, pur essendo lasciata ai personaggi la piena illusione ch’essi agiscano volontariamente; mentre una legge odiosa li guida o li trascina, occulta e inesorabile; e fa sì che un’innocente, scacciata dalla società — per esservi riammessa — debba prima passare sotto le forche dell’infamia, commettere cioè davvero quella colpa di cui ingiustamente era stata accusata.

Nulla di combinato, tuttavia, o di congegnato avanti o di adattato a questo fine segreto. E qui han luogo infatti i tanti ostacoli improvvisi, gravi o lievi, che nella realtà contrariano e limitano e deformano i caratteri degli individui e la vita. La natura senz’ordine almeno apparente, irta di contraddizioni, è lontanissima, spesso, dalle opere d’arte, in cui tutti gli elementi, visibilmente, si tengono a vicenda e a vicenda cooperano, e che perciò mostrano una vita troppo concentrata da un canto, troppo semplificata dall’altro. Nella realtà vera le azioni che mettono in rilievo un carattere non si stagliano forse su un fondo di vicende ordinarie, di particolari comuni? E queste vicende ordinarie, questi particolari comuni, la materialità della vita, insomma, così varia e complessa, non contraddicono poi aspramente [p. vii modifica]tutte quelle semplificazioni ideali e artificiose? non costringono ad astoni, non ispirano pensieri e sentimenti contrarii a tutta quella logica armoniosa dei fatti e dei caratteri concepiti dagli scrittori? E quante occasioni imprevedute, imprevedibili, occorrono nella vita, ganci improvvisi che arraffano le anime in un momento fugace, di grettezza o di generosità, in un momento nobile o vergognoso, e le tengon poi sospese o su l’altare o alla gogna per l’intera esistenza, come se questa fosse tutta assommata in quel momento solo, d’ebbrezza passeggera o d’incosciente abbandono?

Voglio con questo scusare le umili e minute rappresentazioni, che occorrono frequenti nel mio romanzo.

Io l’ho, illustre amico, riveduto amorosamente da cima a fondo e in gran parte rifuso; e nel presentarlo al pubblico, per la prima volta raccolto in volume, voglio che sia ancora dedicato a Lei.

Suo L. Pirandello.

Roma, decembre 1907.