Favole (La Fontaine)/Libro quarto/XX - L'Avaro e il Tesoro
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Mal possiede colui che ben non usa
del suo denar, sappiatelo, o taccagni,
che i guadagni ammucchiate sui guadagni
e non avete un soldo all’occorrenza.
Chi trova differenza
tra un Giobbe, che languisce sul letame,
e gli avari che muoiono di fame?
Parlando d’un Avar, che un suo tesoro
nascose in terra, Esopo in una favola
ha detto cose d’oro.
Questo avaraccio sordido,
padrone no, ma schiavo egli dell’oro,
di nascere aspettava un’altra volta
il suo denar per spendere.
Teneva egli sepolta
sotto terra una pentola ripiena
di bei doppioni ed il suo cor con loro;
e giorno e notte andava, anima in pena,
sempre il pensier raccolto
al morto suo sepolto.
In strada, a letto, a tavola,
sempre temea che qualche temerario
osasse, oh Dio! toccarne il santuario.
Seguendo i passi dell’avaro un dì,
un certo beccamorto sospettò
dov’era il morto e lo diseppellì.
Quando venne il vecchione e ritrovò
vuoto il nido, per poco non morì.
Chi mi sa dire i gemiti
del nostro pover’uomo e chi le lagrime
e l’ira onde si lacera
le vesti a quell’orribile misfatto?
- Il mio tesor m’hanno rubato, ahimè! -
gridava il mentecatto.
- Il tuo tesor? - un passeggier chiedé.
- Il mio tesor ch’era sepolto qui
sotto una pietra. - Tempo ora non è
da seppellir il tuo tesor così.
È meglio il tuo denar, almen mi pare,
in casa conservare o non lontano,
se vuoi di volta in volta ad un bisogno
averlo sottomano.
- Di volta in volta, dici? ah buon Gesù!
Io non avrei mai più
toccato ciò che a stento
si raccoglie e sparisce in un momento.
- Allor, amico, a che servono i guai? -
il passeggier rispose a quell’ossesso,
- Se il tuo tesoro non lo tocchi mai,
mettici un sasso, e servirà lo stesso -.