Un Cervo entro una stalla a rifugiarsi
corse un giorno, ma i buoi
non volendo saper de’ fatti suoi,
comandarono a lui d’allontanarsi.
- O amici, - disse il povero animale, -
non mi cacciate via:
io vi dirò, se non mi fate male,
dove potrete grassa prateria
ed erba ritrovar buona per voi -.
A quest’offerta si piegaro i buoi.
Il Cervo in un cantuccio rintanato
piglia coraggio e fiato,
e quando quasi sul finir del giorno
vennero i servi a portar erba e fieno,
e venne nientemeno
il sor soprintendente,
non che d’un Cervo, quella buona gente
non si accorse dell’ombra pur d’un corno.
Il lesto abitator della foresta
rende già grazie ai bovi,
e sospira il momento in cui non resta
persona in stalla per alzar le piante.
Ruminando un de’ buoi - Va ben, va bene, -
gli dice, - ma se viene
l’uom dai cent’occhi, come sempre suole,
e guarda e cerca intorno,
scommettere non vo’ sopra il tuo corno -.
Ed ecco entra il Padrone, entra ed adocchia,
chiama, rimbrotta i suoi.
- Ehi là, - dice, - quest’erba è troppo poca,
ehi qua, non c’è pe’ buoi
letto più fresco? presto, alto, in cascina:
chi mi rovina le bestie? Olà,
c’è gran difficoltà
a toglier quattro ragnatele ai muri?
Brutti figuri, e questa roba? e questa? -
Così girando, ed adocchiando, a un tratto
uscir vede una testa
diversa dalle solite.
Dàlli, addosso, la povera
bestia è scoperta. I servi
con forche e spiedi accorrono
da ammazzare non un ma cento cervi.
Invan, trafitto, ei lacrima,
ucciso, trasportato e ben salato,
tornò più volte in tavola
piatto ai vicini molto prelibato.
Non vede ben che l’occhio del Padrone,
dice Fedro con stil molto elegante.
Per fare più completa la lezione,
aggiungeremo: e l’occhio dell’amante.