L'Altrieri/Nero su bianco
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Agli scrittori novellini
Quando – diciottenne – a sèmplice sfogo di fantasìa, senza alcuna pretesa di riformare la lingua e le idèe correnti, senza la mènoma preoccupazione di piacere o spiacere alla onnipossente gazzetterìa, io scrissi e diedi alle stampe il mio «Altrieri»; quando l’èsile libro uscì, la prima volta, alla luce, o, per dir meglio, all’oscurità degli armadi dei cento amici e parenti cui lo donavo, molti di questi, non a mè ma tra essi, èbbero a confidarsi il lor malcontento perchè «il Carletto si fosse messo sì presto a stampare» – aggiungendo caritatevolmente, che, fatto grande, me ne avrebbe potuto dolere.
Trèdici anni sono passati da allora, la mia esperienza è, più che matura, già marcia, e, non solo non sento rimorso alcuno di quel mio adolescente peccato, ma lo ristampo. Per quanto abbia cercate, pesate, analizzate le ragioni del dispiacere di que’ mièi bravi amici e parenti, confesso di averle allora capite pochissimo e di capirle oggi ancor meno. Davvero, io non posso supporre, che, a breve distanza dal ventèsimo sècolo, perdùrino diffidenze e sospetti contro l’arte di Pàmfilo (la ferrovìa dell’umano pensiero) debbo quindi pensare che tutto l’allarme, in simigliante partita, non riguardi che i giòvani, autorizzati a varcare qualunque soglia impudica, purchè non sia quella delle tipografìe. Trèdici anni or fà, ho inghiottito tacitamente il rimpròvero, contentàndomi di far in modo di rimeritarlo il più possìbile presto: oggi, rispondo con queste poche parole. Ancor non son certo di èssere giunto all’età di mèttere in moto legittimamente le màcchine tipogràfiche: spero, peraltro, di èssere a quella di esprìmere – se non di fare accettare – una mia opinione.
E questa opinione è che il diritto di stampa non debba assolutamente restrìngersi alle sole idèe degli uòmini fatti. Anzitutto, per diventar buoni scrittori, occorre (e sfido voi a trovarmi un modo diverso) di apprèndere... a scrìvere, ossia occorre di scrìvere molto, addestràndovisi di prest’ora. Chi può, del resto, impedire, che uno – qualunque sia la sua fede di nàscita – pensi, mèditi, e dia poi alle proprie meditazioni un poco d’inchiostro? Senonchè, una volta scritto, è pure utilìssimo che il giòvine si consigli ai provetti – non è vero?... Or bene, qual differenza trovereste voi tra il consegnare un manoscritto a dieci persone una dopo dell’altra o a dieci contemporaneamente? tra il farlo lèggere a mille piuttosto che a dieci?... Se differenza vi ha, è tutta a favore del caso dei mille. Spesso avviene, difatti, che una persona isolata emetta un parere, per cortesìa, bugiardo; per cortezza d’ingegno, incompleto; per invidia, ostile: la media invece del giudizio dei mille non potrebbe èssere solitamente troppo discosta dalla verità. Ammesso il che – e perchè non dovrèbbesi ammèttere? – chi non vede che la è questione affatto secondaria quella di adoperare, per moltiplicare le copie de’ nostri lavori, un alfabeto di piombo, un ràpido rullo di stampa, un torchio a vapore, anzichè una penna d’oca, un calamajo, le pigre dita di un amanuense?
Ma l’argomento, come suol dirsi, della chiavetta pei nostri cordiali nemici, è quello che lo scrittore che stampa precocemente, può – fatto grigio ed illustre – arrossire degli incancellàbili sbagli da esso anticipati nel pùblico. Rispondiamo che egli arrossirebbe ben a torto. Molta cagione dei futuri successi, cèlasi, non di rado, nelle antecedenti sconfitte. Gli è a forza di sperimentare la nuca contro gli spigoli, ed il ginocchio sopra il selciato, che il fanciullo apprende a difèndersi da ogni capata o caduta. Fate invece, per una pietà malintesa, che lo stesso fanciullo passi i bimbi suòi anni in mezzo alle imbottiture; quando gli schiuderete l’uscio, tombolerà dritto a ròmpersi il muso e le gambe contro il durissimo mondo. Inoltre, il raffronto tra il poco, che, in giovinezza, uno è riuscito a scombiccherare e il molto ch’egli arriva talvolta a produrre in età più matura, dovrebbe – pare – èsser fonte inesauribile di compiacenze per lui, di efficace incoraggiamento per gli esordienti. A valutar la lunghezza della via percorsa, due punti, e non uno, bisogna conòscere, quello dove si giunse e quello donde si prèser le mosse. Epperciò, quèi signori autori – tra i quali ce ne fu anche di òttimi – che, acquistata una certa nomèa, si affànnano a far scomparire le primìssime orme da essi stampate nella carriera della cartastraccia, a rifiutare, com’essi dìcono pomposamente, le loro giovanili scritture, danno prova di grandìssimo orgoglio e di ben tenue sagacia: dimènticano, per lo meno, che al solo ingegno mediocre è concesso il non invidiàbile privilegio di presentarsi, fin dagli inizi, completo, il che viene a dire, di non poter far progressi.
Se voi credete, carìssimi mièi, che questi sìeno argomenti bastèvoli per confortarvi nel vostro propòsito di far gèmere i torchi – non i lettori, Dio guardi! – usàtene in buon’ora. Se non vi sèmbran da tanto, aspettate, chè non ne màncano altri. Oggi (come sempre, del resto) chi aspira alla vita pùblica, vuòi delle lèttere, vuòi della polìtica, deve per tempo assuefarsi a vedere le sue opinioni crivellate, sperate; i suòi intendimenti, fòssero i più savi, male interpretati; i suòi scopi, per quanto purissimi, attraversati. I primi assalti tùrbano tanto quanto. Ci attendevamo a un trionfo, come dicèvano i latini, impulvereo: èccoci invece obbligati a saltar fossi, a scavalcar siepi, in una parola, a disputar la vittoria. Un’acuta irritazione ci si sveglia allora nell’ànimo, un impulso di resistenza, una smania di vendicarci di nemici che non ci sembra di meritare. Senonchè, se abbiamo il coraggio di non pèrdere il tempo in lotte dipinte, ma di guadagnarlo con altri scritti, con altri fatti, i pròssimi assalti o saranno o ci paranno più fiacchi. S’impara infatti, che il combattimento è la indispensàbile conseguenza di ogni nuova manifestazione del pensiero, che l’opposizione è tanto più viva quanto più l’idèa appartiene al progresso, che la critica è una necessaria e benèfica intemperie come il vento, come la pioggia; cosìcchè, a poco a poco, ci subentra quella serena equanimità – da non confòndersi colla indifferenza – la quale, non solo sà presentare il biàsimo degli avversari, spoglio d’ogni amarezza ed offesa, ma insegna a cavarne ogni possìbil vantaggio. Maxima saepe ab inimicis salus. Beninteso, che sopportar bene la critica, non significa affatto saper crollarsi di dosso con disinvoltura ogni insulto. Data a tempo, una leonina unghiata è òttima marca di fàbbrica.
Resti dunque a dormire, nel suo sepolcro di versi, il consiglio del cisposo Orazio – consiglio che probabilmente non era seguito neppure da lui – di lasciare che una decennale muffa fiorisca sui nostri lavori, prima di divulgarli. Sono ragazze, i libri, che vògliono presto, finchè sanno di fresco, èsser sposati col pùblico. Fate di mètterli insieme il più possìbile logicamente, e se ciò vi riesce in una misura appena onesta, non diperdètevi troppo a sciuparne, con una penna, che par cangiarsi in un tormento ortopèdico, la spontaneità.
- Alla mia cara mamma,
- per i suoi lunghi baci,
- acconto