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LXXX.1
A BAMBOLONE
Se Dio ti guardi sino a befania
Così fresco grassoccio e badïale
Ed a risparmio del pepe e del sale
4Da viver anche sant’Anton ti dia,
Or dinne, Bambolone, in cortesia:
Se’ tu tozzone o porti pivïale?
Ha’ tu studiato di negromanzia?
8Se’ turcimanno o cozzone o sensale?
Quando tu mostri fuora il tuo faccione
E l’occhio picciolino e quella fessa
11Che tieni ov’han la bocca le persone,
Dice la gente. — È egli ora da messa?
Ècci oggi a la Nunziata processione?
14Ehi, sagrestano! — Ma quel dir poi cessa,
Quando una filatessa
Sciogli di citazion greche e latine
17Che l’una e l’altra si pigliano al crine.
A fe’ tu trinci fine
L’apotegma ed il colon e lo scolio,
20E l’assïoma bei come il rosolio.
Sembri il padre Nizolio
Che fe’ di Marco Tullio anatomia,
23Sembri il sultan de la filologia.
Ma di filosofia
Tu n’hai piene le sacca anzi le balle
26Dice la gente che mai non ti falle.
N’hai sempre in su le spalle,
E ne le brache, e fin dentro gli usatti,
29E la vendi al minuto e la baratti.
Oh come sono matti,
I’ volevo dir nuovi e peregrini,
32I discorsi che fai, grandi e piccini!
Gli arabi ed i latini,
I francesi i geloni ed i caldei
35E irochesi e ottentotti ed aramei,
Gli svizzeri e gli ebrei,
Ed i russi ed i prussi ed i borussi,
38Gli hai su le dita come tu ci fussi.
Anche hai giocato a frussi
Con Salomone, e facci l’altalena
41Con Licurgo quand’ei murava Atena.
O testona ripiena
D’ogni gran cosa, grossa soda e dura.
44Tu hai gran naturale, anzi natura.
Or dài or dài la stura
A quelle fantasie che in rima hai mésse,
47Ma risprangale prima ove son fesse.
Calate le brachesse,
Baraballo t’aspetta in Elicona
50E vuol dare al tuo crin la sua corona.
E tutto il monte suona
— O Bambolone, vienne a questo stallo,
53Vienne tra il Carafulla e Baraballo! —
Note
- ↑ [p. 286 modifica]Fu stampato nella Domenica del Fracassa, anno III, n. 2, 10 gennaio 1886, con questo avviso di Giuseppe Chiarini: In nota ad un mio scritto sul Carducci, io pubblicai nel 1869 alcune strofe di un Inno sacro ch’egli scrisse nel 1855, quando era scolare a Pisa. Il Carducci stesso ne pubblicò qualche altra strofa nelle note alla prima edizione delle sue Poesie fatta dal Barbèra nel 1871. Ma la intera poesia, ch’è una satira religiosa e civile per quei tempi audacissima, rimase finora inedita. Rovistando alcune carte, m’è ora venuto alle mani l’originale di quell’Inno, e lo pubblico, certo di far cosa grata ai nostri lettori: lo pubblico con le parole colle quali il Carducci mi mandava la poesia, parole che ne spiegano l’origine. “Da un pezzo in qua (due anni mi pare) è venuta la mania di riscavare i vecchi santi e di metterne su de’ nuovi, ultimo guizzo dell’idea cristiana-romantica. A questi giorni, e precisamente dopo trattata e firmata la pace di Parigi, hanno trovato un frate del secolo xiii che appunto ha nome Giovanni della Pace, venerato in Pisa nei secoli passati. Hanno stabilito di riscavarlo, metterlo in onoranza nel domo, portarlo a processione. Io ho scritto questo inno sacro„.