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LVIII.
PROMETEO
Fama è che allor Prometeo, fuggendo
Le sedi auree d’olimpo e de le sfere
L’immortal suono, al nostro mondo errasse
Peregrino divin. Muto correa
5Il sole almo e la luce
Per l’infinito oceano, e del mondo
L’ignota solitudine tacea:
Deserta s’accogliea
La greggia umana a l’ombra
10De la gran selva de la terra: ed egli
Seco recava nel fatal cammino
Il rapito dal ciel fuoco divino.
Se non che dura a tergo
Gli si premea la Forza e la ferrata
15Necessità: scuotea l’una i legami
De l’adamante eterno, e l’altra i chiovi
Con la imminente mano
Su la fronte stendea del gran Titano:
Mentre il Saturnio ne la rupe infame
20Instigava del negro augel la fame.
Ma rinfiammò in Orfeo
L’inestinguibil foco, ed egli mosse
Il duro sasso de le umane menti
Citareggiando e le foreste aurite;
25Fin che pittore de l’uman pensiero
Pari a’ numi ed al fato alzossi Omero.