Jolanda, la figlia del Corsaro Nero/CAPITOLO VENTISETTESIMO

Il rapimento di Jolanda

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CAPITOLO VENTISETTESIMO

Il rapimento di Jolanda


Un quarto d’ora dopo Morgan, Jolanda, Carmaux ed il piantatore di Maracaybo si trovavano radunati in una comoda jupa coperta da tre lati di stuoie, messa a loro disposizione da Kumara. Erano seduti davanti a due magnifiche oche marine perfettamente arrostite e ad un cumulo di gallette di cassava, di manghi e di ananassi.

Non mancava nemmeno un monumentale fiasco di casciri.

Tutti erano ansiosi di sapere in causa di quali fortunate circostanze erano riusciti a sfuggire alla morte; ma, sopratutto, meravigliava l’inaspettata presenza di don Raffaele che avevano creduto annegato.

La narrazione di Carmaux non aveva destato molto interesse.

Il bravo marinaio ed i due indiani, con una rapida corsa riuscirono a salvarsi nella parte più folta della foresta, dove gli Oyaculè non avevano osato inseguirli; più tardi, erano tornati verso il fiume per cercare Morgan e Jolanda e non avendoli trovati si erano decisi di recarsi all’aldè per chiamare soccorso e prendere un nuovo canotto onde perlustrare la laguna.

"Ora a voi, don Raffaele" disse Jolanda, quando Carmaux ebbe finito. "La vostra presenza fra questi indiani, per noi è assolutamente straordinaria."

"Infatti, signora, mi sono salvato e sono qui giunto in modo miracoloso" disse il piantatore, che mangiava per due e baciava frequentemente il fiasco, con un accompagnamento di profondi sospiri. "Mi pare impossibile di essere ancora vivo. Mi avevano gettato in mare per affogarmi, signore; non è vero che io fossi caduto da me" disse don Raffaele.

"Chi ti aveva gettato?" chiese Morgan, aggrottando la fronte.

"Quel dannato capitano, temendo che io avessi riconosciuto..."

"Alt, camerata" disse Carmaux, strizzandogli l’occhio.

"...il comandante della nave" riprese don Raffaele, che era già stato precedentemente avvertito dal marinaio di non fare cenno alcuno sul governatore di Maracaybo.

"E quale capitano?" chiese Morgan.

"Il signor Valera."

"Quello che mi teneva prigioniera nei sotterranei del convento di Maracaybo?" chiese Jolanda.

"Sì, signora. Doveva essersi immaginato che ero stato io a condurre laggiù i due filibustieri del signor Morgan e non aspettava che l’occasione propizia per vendicarsi di me. Approfittando del momento in cui voi eravate occupati a turare le falle apertesi nel veliero, mi seguì sul castello di prora e, presomi a tradimento per le spalle, mi precipitò in mare, prima ancora che avessi avuto il tempo di mandare un grido."

"E come vi siete salvato?" chiese Morgan. "Eravamo allora assai lontani da queste coste."

"Ora ve lo narro. Quando tornai a galla, mezzo istupidito da quel bagno improvviso, la vostra nave era già lontana; ma vidi, a qualche gomena da me, il rottame della fregata che galleggiava ancora. Essendo un buon nuotatore, mi vi diressi ed avendo trovata una fune pendente dal bordo, mi vi issai. Il rottame, trasportato dal vento e anche da qualche corrente, s’infranse su queste coste e mi salvai quasi miracolosamente sulla spiaggia, dove venni poi trovato da alcuni indiani di questo villaggio e qui condotto."

"Abbiamo infatti trovati gli avanzi della povera fregata" disse Morgan. "Don Raffaele, voi dovete essere nato sotto una buona stella."

"Comincio a crederlo anch’io" rispose il panciuto piantatore. "Vorrei però..."

Che cosa voleva? Né Morgan né Carmaux poterono mai saperlo, poiché la conversazione fu improvvisamente interrotta da alcune scariche di fucili e da un gridìo assordante.

I due corsari, Jolanda e don Raffaele si erano precipitati fuori della capanna, mentre i caraibi passano a corsa sfrenata attraverso le piattaforme, seguìti dalle loro donne che urlavano disperatamente e dai loro bambini che strillavano a piena gola.

Kumara, vedendo comparire Morgan, gli si era slanciato incontro, dicendogli:

"Capo bianco, difendici!..."

"Chi vi minaccia?" chiese il filibustiere.

"Non so, degli uomini bianchi s’accostano all’aldè facendo fuoco."

"Degli spagnoli?"

"Non mi pare."

"Andiamo a vedere."

Morgan girò intorno ad una gigantesca capanna, che gl’impediva di guardare verso la laguna e giunto sul margine della piattaforma scorse due enormi zattere cariche di persone, le quali sparavano dei colpi di fucile in aria e non già contro il villaggio.

Morgan e Carmaux avevano mandato due grida di gioia:

"I nostri compagni!..."

Erano infatti i filibustieri del veliero che s’inoltravano nel canale che comunicava col mare, spingendo faticosamente innanzi le zattere, che parevano formate cogli avanzi d’una nave.

C’erano, se non tutti, quasi tutti e Pierre le Picard era con loro.

Come si trovavano lì e sopratutto per quale combinazione fortunata erano riusciti, anch’essi, a sfuggire alla morte?

"Amici!..." aveva gridato Morgan con voce tuonante. "Cessate il fuoco!... Siete ospiti d’indiani che non vi daranno fastidi."

Un urlo immenso si era alzato fra i corsari:

"Il capitano!... Il signor Morgan!..."

La prima zattera, spinta innanzi da una dozzina di remi, giunse ben presto sotto le palizzate e Pierre le Picard per il primo salì sulla piattaforma, gettandosi fra le braccia di Morgan.

"Anche la signora di Ventimiglia!..." esclamò, accorgendosi della presenza di Jolanda. "Ah!... Quale fortuna!..."

"E la nave?" chiese Morgan.

"Naufragata" rispose Pierre le Picard "Coi suoi rottami abbiamo costruite queste zattere."

"Io ho percorsa la costa senza vederla."

"Si è sfasciata su di un isolotto, lontano quindici miglia da queste spiaggie.

"Le onde ci avevano respinti nuovamente al largo, nel momento in cui tu venivi portato via assieme a Carmaux e alla signora di Ventimiglia e ci gettarono sopra dei bassi fondi. E tu? Ah!... Un momento. Mi dimenticavo di dirti che per poco gli spagnoli ci catturarono."

"Quali spagnoli?"

"Una nave si è ancorata a poche miglia da qui, in una baia e per poco non scoperse i nostri galleggianti."

"Una nave!" esclamò Morgan, nella cui mente era improvvisamente sorta un’idea.

"Sì e grossa; a quanto mi parve."

"Pierre, quanti uomini hai?"

"Cinquanta, essendosene alcuni annegati. I prigionieri spagnoli sono invece fuggiti ieri sera, approfittando d’una fermata a terra."

"Anche..."

"Sì" rispose Pierre, che lo aveva compreso.

Morgan trattenne a stento un gesto di rabbia, poi disse con voce sorda:

"Più tardi ci occuperemo di loro; per ora abbiamo qualche cosa di meglio da fare."

Si curvò sull’orlo della piattaforma e, volgendosi verso i suoi corsari che attendevano il suo ordine per sbarcare, gridò loro:

"Approdate sulla riva opposta dove fra poco vi raggiungerò."

"Che cosa vuoi fare, Morgan?" chiese Pierre le Picard.

"I tuoi uomini hanno salvate le armi, è vero?"

"È stato il loro primo pensiero e tutti hanno l’archibugio, la sciabola d’arrembaggio e munizioni sufficienti."

"È grossa e molto bene armata la nave che hai veduta?"

"Un bel vascello, in fede mia" rispose Pierre le Picard.

"A noi non resta che tentare un colpo disperato, Pierre" disse Morgan.

"Vuoi impadronirti di quella nave?"

"Sì; è l’unica risorsa che ci rimane per poter lasciare queste coste e tornare alla Tortue."

"Diavolo! Un’impresa che non sarà facile, Morgan. Quella nave, a giudicarla dalla sua grossezza, deve avere un equipaggio assai numeroso."

"Noi non siamo abituati a contare i nostri nemici" disse Morgan "Orsù, non perdiamo tempo. Carmaux!"

Nessuno rispose. Il bravo marinaio, scorgendo sulla seconda zattera l’amburghese, il suo inseparabile amico, lo aveva subito raggiunto.

"Sarà con Wan Stiller" disse Pierre.

"Non importa" disse Morgan.

Si volse verso Jolanda che aveva assistito al colloquio senza parlare.

"Signora" le disse "noi partiamo per una spedizione che può riuscire pericolosissima e non desidero esporvi. Se vi lasciassi qui, sotto la guardia di Kumara e di don Raffaele, vi spiacerebbe? Quest’indiani sono brave persone, incapaci di tentare qualche cosa contro di voi."

"Vi aspetterò, signor Morgan e perfettamente tranquilla" rispose Jolanda. "Quello che domando a voi è di non esporvi troppo. La morte d’un uomo così valoroso e così cavalleresco, la piangerei troppo."

Morgan era rimasto muto, cogli occhi fissi sulla fanciulla, poi, con un gesto rapido, le aveva presa la destra portandola alle labbra.

"Signora" disse, con voce alterata da una gioia intensa "vivrò per voi e se una palla malaugurata mi attraverserà il petto, morrò col vostro nome sulle labbra."

Un vivo rossore erasi diffuso sulle gote della fanciulla.

"V’aspetto, capitano" disse con un sospiro. "Che Iddio vi protegga."

"Addio, signora, noi saremo di ritorno prima di questa sera."

Morgan s’allontanò rapidamente come se volesse nascondere l’emozione che provava e scese in un canotto, dove già si trovava Pierre le Picard con quattro caraibi.

Jolanda, ritta sull’orlo della piattaforma, lo seguiva collo sguardo, sorridendogli, né si mosse finché il canotto non scomparve dietro gli isolotti che ingombravano il canale.

"Sono sotto la vostra protezione, don Raffaele" disse al piantatore. "Spero che, quantunque voi siate spagnolo, non mi tradirete."

"Preferirei farmi uccidere, signora" disse il piantatore, con enfasi. "Ormai io sono amico dei filibustieri e se qualcuno vorrà toccarvi, proverà la forza delle mie braccia."

"Conducetemi nella jupa che Kumara ha messa a nostra disposizione."

"I vostri desideri sono ordini per me, signora."

Le fece largo fra gl’indiani che si erano radunati in buon numero sull’ultima piattaforma e la precedette fino alla capanna; poi andò in cerca di Kumara che si trovava all’altra estremità del villaggio, onde mettesse una scorta d’onore a disposizione della fanciulla.

Aveva già combinato ogni cosa e stava per tornarsene alla capanna, girando le piattaforme meridionali, quando i suoi sguardi caddero su un canotto montato da una dozzina d’uomini e che sbucava in quel momento fra le isolette che si estendevano in buon numero anche da quel lato.

Fu tale l’emozione che provò nel riconoscere le persone che lo montavano, che dovette aggrapparsi ad un palo per non cadere.

Il pover’uomo non aveva torto a spaventarsi in quel modo, poiché fra quei dodici uomini che s’avvicinavano rapidamente al villaggio, aveva veduto il conte di Medina e la sua anima dannata, il capitano Valera.

Quando si riebbe, il canotto era ormai giunto dinanzi alle prime palizzate e gli spagnoli stavano salendo sulla piattaforma.

"Sono perduto!..." mormorò don Raffaele. "Il capitano mi getterà nella laguna e con una pietra al collo questa volta."

Per un momento ebbe l’idea di correre alla jupa ed avvertire la signora di Ventimiglia, ma comprese che era troppo tardi e che non avrebbe potuto ormai fare nulla per salvarla.

"Se mi recassi ad avvertire il signor Morgan e Carmaux?" si chiese. "Forse non sono molto lontani e potrebbero tornare ancora in tempo per impedire al conte d’impadronirsi della fanciulla.

"Animo, non perdiamo tempo e mostriamoci coraggiosi una buona volta."

Sotto la piattaforma vi erano parecchi canotti legati alla palizzata, forniti di pagaie.

Don Raffaele, che per la prima volta forse in vita sua si sentiva nel cuore un coraggio da leone, si lasciò scivolare lungo un palo e scese nel canotto più leggiero.

Stava per spingersi risolutamente al largo, quando un’idea balenatagli improvvisamente nel cervello, lo trattenne.

"Io stavo per commettere una sciocchezza" disse. Spinse il canotto sotto le piattaforme, passando abilmente fra la moltitudine di pali che le sorreggevano e si diresse verso l’angolo orientale del villaggio.

Mentre le attraversava udiva distintamente, sopra la sua testa, le donne e gli uomini chiacchierare ed i bambini ridere o strillare, essendo i pavimenti delle abitazioni formati da travicelli di bambù, coperti da tralicci di fibre legnose che non impedivano ai suoni di trasmettersi.

"Benissimo, benissimo" mormorò don Raffaele. "Non perderò una sillaba di quanto dirà il conte alla signorina di Ventimiglia, così potrò raccontare tutto al signor Morgan."

Giunse così inosservato presso l’angolo orientale dell’aldè, dove sopra sorgeva la jupa che il capo aveva destinata a Jolanda.

Tese gli orecchi e udì un passo leggiero che ora s’accostava ed ora s’avvicinava.

"La signorina è sopra di me" mormorò. "Aspettiamo."

Non erano trascorsi dieci minuti, quando udì dei passi pesanti, poi la voce del conte dire:

"Rimanete qui di guardia, capitano."

"Maledetto briccone!" mormorò Don Raffaele. "Se potessi afferrare quel dannato Valera e tirarlo giù, sarei ben contento. Ah!... È entrato il conte!... Apriamo gli orecchi."

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Vedendo giungere quegli uomini bianchi e salire senza diffidenza sulle piattaforme, Kumara, seguíto dai sotto-capi, si era affrettato ad andarli a ricevere.

Appena trovatosi di fronte al conte di Medina, non aveva potuto frenare un grido di stupore ed insieme di gioia.

"Mi riconosci ancora, mio bravo caraibo?" chiese il governatore di Maracaybo, con un sorriso di contentezza.

"Tu sei il grande uomo bianco che comandava quella bella città che io ho visitato due anni or sono e che mi accolse da amico" rispose l’indiano.

"Sì" disse il conte "io ero allora governatore di Cumana. Sono lieto che tu abbia serbato buona memoria dell’accoglienza che ti feci in quella città degli uomini bianchi."

"Tengo ancora i regali che tu mi hai dati. Che cosa posso fare ora per te? Sei mio ospite."

"Fa dare una capanna e dei cibi ai miei uomini che hanno fame, poi conducimi al tuo carbè avendo io bisogno di parlarti."

Il caraibo diede ai suoi sotto-capi alcuni ordini, poi rivolgendosi al conte:

"Seguitemi, grande uomo bianco" gli disse.

"Venite, capitano" disse il governatore, facendo a Valera un cenno.

Mentre gli uomini che li avevano accompagnati, e che altro non erano che marinai del veliero abbordato da Morgan, venivano condotti in una capanna, Kumara si diresse verso il suo carbè, che era assai vasto, introducendo il conte ed il capitano in una stanza appartata, prospettante la laguna.

"Siete in casa mia" disse, prendendo una zucca piena di casciri ed empiendo alcuni bicchieri che aveva ricevuto in dono dagli spagnoli di Cumana.

"Ascoltami attentamente" disse il conte "e se mi servirai fedelmente, io regalerò a te ed alla tua tribù armi, vesti e l’acqua che brucia la gola."

"Conosco la generosità del grande uomo bianco" rispose Kumara, mentre i suoi occhi s’accendevano d’una fiamma vivida.

"Stamane io ho veduto passare per il canale sette od otto delle tue canoe, e su una vi erano un uomo bianco ed una fanciulla."

"È vero" rispose l’indiano.

"Sono ancora qui?"

"L’uomo è partito due ore or sono assieme a molti altri uomini bianchi che erano qui giunti con delle zattere."

Il conte guardò il capitano Valera.

"Che Morgan si sia riunito ai suoi uomini?" chiese.

"Certo" rispose il capitano.

"È il demonio che protegge quell’uomo? Lo credevo annegato ed invece ha ritrovato ancora i suoi maledetti corsari!... Quando finirà la sua fortuna?

"Sai, Kumana, dove si sono recati?"

"Lo ignoro, grande uomo bianco" rispose il caraibo. "Ho udito però parlare di uno di quei grandi canotti che hanno le ali."

"D’una nave?"

"Sì, così voi li chiamate."

"Che qualche legno corsaro abbia approdato su queste coste?" disse il capitano.

"La fanciulla è partita con quell’uomo?"

"No, è qui."

Il conte aveva fatto un soprassalto.

"Qui!..." esclamò.

"Nella jupa che le ho destinata" disse l’indiano.

"Ecco una fortuna che non speravo!... Che superba rivincita!... Me la ritolga Morgan, se è capace. Bisognerà che ceda, la figlia del Corsaro."

"Adagio, signor conte" disse il capitano. "Morgan può aver lasciata qui una scorta per proteggerla."

"Non è rimasto che un uomo solo a guardarla" disse Kumara "e mi sembra, anzi, che sia uno spagnolo."

"Se cercherà opporre resistenza lo getteremo nella laguna" disse il capitano, con accento risoluto.

"Andiamo a vederla e lasciatemi entrare solo" disse il conte. "Tu, Kumara, avrai quanto ti ho detto."

"L’altro uomo bianco nulla mi aveva promesso" pensò il furbo indiano. "Serviamo questo."

Prese il suo arco e le sue freccie e uscì seguíto dai due spagnoli, facendo cenno agl’indiani che si trovavano sul suo passaggio di allontanarsi.

Attraversò il villaggio acquatico e si fermò dinanzi alla jupa di Jolanda, dicendo:

"La bella fanciulla bianca è qui."

"E l’uomo incaricato di vegliare su di lei?" chiese il capitano.

"Sarà andato a procurarsi del casciri" rispose l’indiano. "Mi ha già vuotato tre fiaschi, e del migliore, preparato appositamente per me."

"Rimanete qui di guardia, capitano" disse il conte.

Si levò il cappello piumato, ed entrò risolutamente nella capanna, aprendo bruscamente la porta, non senza chiedere:

"Si può?"

La fanciulla stava in quel momento rassettando la casuccia, che era ingombra di canestri contenenti delle provviste e di stuoie di nipa.

Udendo quella voce si era vivamente voltata, mandando un grido di sorpresa.

"Voi, signore?" chiese, inarcando le sopracciglia, e facendo due passi indietro, mentre le sue gote si scolorivano.

"Mi riconoscete, signora di Ventimiglia?" chiese il conte di Medina con accentò un po’ ironico, mentre s’inchinava e spazzava il suolo coll’estremità della lunga piuma del suo feltro.

"Non dimentico mai coloro che si sono dichiarati miei nemici" rispose Jolanda, che si era prontamente rimessa dalla sorpresa.

"Io credo, signora, che voi abbiate avuto sempre torto a considerarmi come vostro nemico" disse il governatore di Maracaybo, con studiata cortesia. "Avete mai pensato che io potessi essere, in qualche modo, un po’ vostro parente?"

"Voi!..."

"Vostra madre era, se non m’inganno, una duchessa di Wan Guld."

"E così, signore?"

"E nelle mie vene" disse il conte, alzando fieramente il capo, "scorre pure il sangue dei Wan Guld."

"Mentite!..."

"Vostra madre, signora, nacque dalla prima moglie del duca; io sono nato da un’altra donna che fu come seconda moglie del duca di Wan Guld. Quale differenza passa dunque? Ma queste sono cose che non vi riguardano. Sangue ducale scorre pure nelle mie vene e basta."

"Allora dovreste..."

"Proteggervi, è vero, signora?" chiese il conte con voce beffarda. "Disgraziatamente, io non sono tale uomo da difendere le persone che sono amiche dei ladri di mare e degli amici di vostro padre."

Jolanda si era rizzata con una mossa di leonessa ferita, col viso rosso di collera, la destra tesa.

"Siete venuto qui a offendere la memoria di mio padre, signore?" gridò.

"Vostro padre" disse il conte. "Chi era? Un filibustiere della Tortue, un ladro di mare al pari degli altri, insomma."

"Signore!... Uscite!..."

"Sì, quando avrete firmata la rinuncia dei beni che mio padre il duca di Wan Guld possiede qui, nelle colonie spagnole dell’America meridionale e centrale. Un milione di piastre stanno meglio nelle mie tasche che nelle vostre. Voi, d’altronde, in Piemonte avete terre e castelli a sufficienza."

"Non firmerò mai quella carta, signore."

"Mai! Eh via, signora, altri hanno pronunciata quella parola e poi non sempre l’hanno mantenuta. Non mi conoscete ancora."

"Sì, per un miserabile!" gridò Jolanda.

Il conte di Medina diventò pallido come un cencio lavato. Per un momento, la fanciulla lo vide curvarsi come un toro che si prepara a gettarsi sul toreador, poi inchinarsi profondamente, dicendo:

"Allora, signora, rimarrete mia prigioniera."

"E non pensate che io sono sotto la protezione dei filibustieri della Tortue?" disse Jolanda.

"Sono ladri di mare!"

"Sono uomini formidabili."

"Disgraziatamente per voi torneranno troppo tardi." Poi con voce recisa, disse:

"Firmate?"

"No."

"Badate!...."

"Delle minaccie a me!... No, non firmerò mai poiché ho la certezza che in seguito non potrei riacquistare la mia libertà!"

Una fiamma sinistra era balenata negli occhi del conte.

"Devo vendicare mio padre!..." gridò. "Mi avete indovinato!... Vi spezzerò in due!... A me, capitano!"

Valera, che stava presso la porta e che tutto aveva udito, con un salto si slanciò nella capanna, dicendo:

"Eccomi, signor conte."

"Impadronitevi di questa fanciulla."

Jolanda aveva fatto altri due passi indietro, cercando qualche arma. Il capitano, che aveva forse indovinata la sua intenzione, in un baleno le fu addosso, afferrandola attraverso la vita.

La fanciulla mandò un grido:

"Aiuto, caraibi!..."

Kumara era diventato però, almeno in quel momento, completamente sordo. Pensava alle armi, alle vesti e all’acqua che rode la gola del grande uomo bianco e credette opportuno di non muoversi.

"Firmate ora?" chiese il conte.

"No... mai!..." rispose Jolanda, che si dibatteva disperatamente fra le braccia del capitano.

Il conte uscì dalla jupa.

"Hai una canoa pronta?" chiese a Kumara.

"Ne ho più di cinquanta" rispose l’indiano.

"Chiama i miei uomini e falli salire sulla più grossa. Io ti aspetto a Cumana per consegnarti i regali che ti ho promesso."

"Tu sei generoso, grande uomo bianco" rispose l’indiano. "Ed io stesso ti condurrò a Cumana. Prima di questa sera noi vi saremo."

"E prima di mezzanotte noi salperemo per la Costarica e di là passeremo a Panama, è vero capitano?" disse il conte. "Vedremo se Morgan sarà capace di venire fin là a prenderla. Là abbiamo truppe e cannoni in così grande numero da tener fronte ad un’armata. Signora" disse poi. "Vi prego di seguirci."

"E dove, signore?" chiese la fanciulla.

"Lo saprete più tardi."

"E se mi rifiutassi?"

"Mi vedrei costretto, con mio grande rincrescimento, ad impiegare la forza."

"Lasciate almeno che scriva un biglietto per il capitano Morgan" disse Jolanda. "Io ho contratto degli obblighi verso di lui."

"Non acconsentirò mai. Sbrigatevi, signora, non abbiamo tempo da perdere."

"Siete dei miserabili!" gridò Jolanda, con supremo disprezzo.

Il conte impallidì sotto quell’oltraggio, poi riprese subito il suo sangue freddo.

"Le offese d’una donna non si lavano col sangue" disse. "Basta: venite o chiamo i miei uomini."

"Non voglio che i vostri sgherri mi tocchino. Vi seguo; il capitano Morgan saprà raggiungervi e vendicarmi."

"Vedremo" rispose il conte, con un sorriso ironico.

Le offerse il braccio, che ella sdegnosamente respinse e uscirono dalla jupa.

Un gran canotto montato dagli spagnoli, da sei indiani e da Kumara, li attendeva dinanzi all’ultima piattaforma. Don Raffaele, che temeva di essere scorto, si lasciò cadere nel fondo della sua imbarcazione.

Vide scendere prima il capitano, poi Jolanda, quindi il conte; poi il gran canotto prese rapidamente il largo dirigendosi verso settentrione.

"La conducono a Panama" mormorò il brav’uomo, asciugandosi la fronte. "La signora di Ventimiglia è perduta; i corsari mai riusciranno ad espugnare quella grande città, che è così lontana.

"Orsù, andiamo a dare la triste notizia al signor Morgan."

Passò sotto le piattaforme remando con gran lena e si diresse là dove aveva veduto sbarcare i corsari, prendendo terra sul margine della immensa foresta.