Jolanda, la figlia del Corsaro Nero/CAPITOLO TERZO

La flotta dei filibustieri

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CAPITOLO TERZO

La flotta dei filibustieri


Alle otto del mattino, la scialuppa superava di volata lo stretto formato dalla punta orientale dell’isola di Zapara e la costa di Capatarida, entrando nel golfo di Maracaybo.

Quantunque i due filibustieri avessero incontrate due grosse caravelle da guerra ed anche un galeone, nessuno li aveva disturbati, né avevano chiesto loro chi erano e dove si recavano.

Le reti che tenevano lungo i bordi, dovevano aver fatto supporre agli spagnoli che fossero dei tranquilli pescatori e perciò nessuno si era preso la briga di fermarli.

Appena giunti fuori dallo stretto, Carmaux e Wan Stiller misero la prora verso l’est, tenendosi un po’ lontani dalla costa, essendo quella cosparsa di bassifondi, dai quali sorgevano ancora in buon numero dei villaggi di caraibi.

Anche in quel luogo si vedevano galleggiare moltissime grosse zucche, fra le quali nuotavano e giuocherellavano un bel numero di anitre e di gallinelle acquatiche, senza manifestare alcuna paura per quei galleggianti.

"Dimmi un po’, Carmaux" disse Wan Stiller. "Servono a nutrire i pesci tutte quelle zucche? Ne sai qualche cosa tu?"

"No, servono a prendere gli uccelli acquatici, mio caro amburghese."

"Scherzi?"

"Parlo da senno. Come tu sai tutti gli uccelli marini sono assai diffidenti e non si lasciano quasi mai accostare dalle scialuppe. I caraibi gettano dunque un gran numero di zucche che sono legate le une alle altre, con liane lunghissime, per abituare i volatili alla loro presenza. Quando credono giunto il buon momento, degli abili nuotatori si gettano in acqua, colla testa cacciata entro una zucca nella quale prima praticano alcune aperture per poter vedere liberamente."

"Comprendo" disse Wan Stiller, ridendo. "Protetti dalla zucca s’avvicinano ai volatili e li tirano sott’acqua."

"Precisamente" rispose Carmaux, "e ti posso dire anche che fanno delle caccie abbondanti e che non tornano mai ai loro villaggi senza portare, appesi alla cintura, otto o dieci volatili. Quando poi..."

Uno sternuto sonoro gl’interruppe la frase. Don Raffaele aveva aperti gli occhi, e faceva sforzi disperati per alzarsi e per rompere i legami che gli imprigionavano le mani ed i piedi.

"Buon giorno, señor" disse Carmaux. "Pare che fosse veramente di prima qualità, quell’Alicante."

Il disgraziato piantatore lo guardò con due occhi strambuzzati, poi digrignando i denti, disse con voce rauca: "Siete due malandrini."

"Malandrini! Oibò! V’ingannate, señor" rispose Carmaux. "Siamo più galantuomini di quello che credete e potrete persuadervene frugando le vostre tasche, appena vi avremo sciolte le mani.

"Che cosa volete dunque da me? Perché m’avete rapito? Suppongo che non mi ripeterete la storiella del signor presidente dell’Udienza reale di Panama."

"Veramente quel signore non c’entra più" disse Carmaux. "Vi condurremo però dinanzi ad una persona che è non meno potente e che del pari non scherza."

"Chi è costui?"

"Un altissimo personaggio, che pare s’interessi assai della sorte della figlia del Corsaro Nero e che farà di tutto per salvarla."

"Toglierla al governatore!... Eh, via, quell’uomo non se la lascerà sfuggire."

"La vedremo, quando i cannoni smantelleranno le fortezze di Maracaybo" rispose Carmaux. "Venti anni or sono quegli stessi pezzi hanno spazzato via la guarnigione."

Don Raffaele era diventato spaventosamente pallido.

"Sareste dei filibustieri, voi?" chiese con voce strozzata.

"Per servirvi, señor."

"Misericordia!... Sono un uomo morto!..."

"Non mi sembra, almeno per ora" disse Carmaux, ironicamente.

"Chi è il vostro capo?"

"Morgan."

"L’antico luogotenente del Corsaro Nero!... Il vincitore di Portobello?"

"Lo stesso."

"Povero me!... Povero me!..." sospirò il disgraziato.

"Oh! Non spaventatevi tanto, señor" disse Carmaux. "Il capitano Morgan non ha mai mangiato alcuno e passa per un buon gentiluomo."

"Sì, un gentiluomo che ha fatto massacrare tutti i frati e tutte le monache di Portobello."

"Già, è l’inferno che ci ha vomitati" disse l’amburghese ridendo. "Così almeno dicono i vostri frati.

"Señor, lasciate andare le vostre collere, e accettate un crostino. Abbiamo qui un po’ di biscotto, una bella anitra arrostita ieri mattina e anche un paio di bottiglie di vino spagnolo, che non varranno meno di quelle del taverniere.

È poca cosa per un signore pari vostro, ma per il momento non abbiamo di meglio da offrirvi."

Carmaux trasse dalla cassa le provviste, ne fece tre parti uguali e slegò le braccia al prigioniero, dicendo:

"Bando alle malinconie, señor, tutto finirà bene, lo vedrete, purché non vi ostiniate a tapparvi la bocca. Allora non risponderei di quello che potrebbe toccarvi."

Don Raffaele, a cui la brezza marina aveva messo indosso un certo appetito, pur brontolando e roteando gli occhi, si mise a mangiare e non rifiutò un paio di bicchieri di Porto offertigli con gentilezza un po’ ironica da Carmaux, né un eccellente sigaro di tabacco di S. Cristoforo regalatogli dall’amburghese.

A mezzodì la baleniera si trovava già nelle acque del golfo Caro, formato da una parte dalla costa venezuelana e dall’altra dalla penisola di Paraguana.

L’amburghese, che teneva sempre il timone e che si regolava su di una bussola tascabile, mise la prora verso il capo Cardon, che già si delineava vagamente sull’orizzonte.

Il golfo era deserto, poiché di rado le navi spagnole ardivano spingersi lontane dai porti ben difesi, se non erano in buon numero e per lo meno scortate da qualche nave d’alto bordo, per paura di venire catturate dai terribili corsari della Tortue.

La baleniera continuò tutto il giorno ad inoltrarsi verso settentrione, favorita da una brezza sempre fresca e dalle acque che erano appena mosse. Nel momento in cui il sole tramontava, giungeva dinanzi alla baia d’Amnay, rifugio in quell’epoca affatto disabitato e molto di rado frequentato dalle navi, che non vi cercavano un approdo se non in causa di qualche violentissima tempesta.

"Ci siamo" disse Carmaux, volgendosi verso don Raffaele.

Il disgraziato piantatore, che dopo la colazione si era chiuso in un ostinato silenzio, sospirò a lungo, senza rispondere.

La scialuppa manovrò per alcuni minuti in mezzo ad alcune catene di scoglietti a fior d’acqua, poi si cacciò arditamente nella baia, alla cui estremità si vedevano delle masse oscure sormontate da alte alberature ed antenne.

"Che cosa sono? Delle navi?" chiese don Raffaele che erasi fatto smorto.

"È la flotta del capitano Morgan" rispose Carmaux.

"Una flotta?"

"Che farà buona prova contro i forti di Maracaybo."

Dietro una punta rocciosa era comparsa improvvisamente una grossa fregata, che si trovava ancorata dinanzi alle altre navi, in modo da sbarrare l’entrata della baia.

"Ohè!" gridò Carmaux, facendo portavoce colle mani.

"Chi vive?" gridò una voce alzatasi sul ponte della nave.

"Fratelli della Costa: Carmaux e Wan Stiller. Calate la scala!"

La baleniera accostò la nave sotto il tribordo e si ormeggiò all’estremità della scala di corda, che era stata subito gettata dagli uomini di guardia.

"Señor, coraggio" disse Carmaux, sciogliendo le corde che stringevano le gambe del piantatore.

"Sì, ne avrò per morire" disse don Raffaele con voce cupa.

Quantunque si sentisse tremare le gambe, si aggrappò alla scala e dopo una mezza dozzina di sospiri, gli uni più profondi degli altri, si trovò sulla nave ammiraglia della flotta corsara.

Alcuni uomini, armati fino ai denti e muniti di lanterne, accorsero subito circondandolo e guardando con viva curiosità.

"Il capitano?" chiese Carmaux.

"È nella sua cabina."

"Fate chiaro. Venite, señor e non tremate tanto."

Prese il piantatore per un braccio e, parte spingendolo e parte tirandolo, lo condusse nel quadro, introducendolo in un salotto che era illuminato da una lampada d’argento e che aveva le pareti coperte d’armi da fuoco e da taglio.

Un uomo di mezza età, di statura piuttosto bassa, ma robustissimo, dall’aspetto fiero, cogli occhi nerissimi e vivaci, stava seduto dinanzi ad un tavolo tenendo dinanzi a sé delle carte marine, che stava esaminando con profonda attenzione.

Vedendo entrare i due uomini s’alzò quasi di scatto, chiedendo:

"Che cosa mi porti, mio bravo Carmaux?"

"Un uomo, signore, che potrà dirvi quanto desiderate sapere sulla figlia del cavaliere di Ventimiglia."

Una rapida emozione alterò per un istante i fieri lineamenti del terribile corsaro.

"È là, è vero?" chiese a Carmaux.

"Sì, capitano."

"Nelle mani degli spagnoli?"

"Prigioniera del governatore."

"Grazie, Carmaux: esci e lasciami solo con quest’uomo."