Izquierda de copia - nuovi sensi del possesso nell'era digitale/3.0 Libertà di creare, libertà di distribuire/3.4 Free Art

3.4 Free Art

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I primi ad utilizzare un sistema alternativo al copyright in campo artistico furono i Situazionisti. Il Situazionismo è un movimento artistico e politico che prende forma in Italia, ispirandosi a idee anarchiche, rivoluzionarie, nonchè al marxismo e alle avanguardie di inizio Novecento. Nasce nel ‘57 e resta attivo durante gli anni Sessanta. Ogni opera situazionista recava una dicitura che invitava a fotocopiare e redistribuire l’opera stessa, in parte o interamente, purchè senza fini commerciali.
E’ proprio grazie alle idee dei Situazionisti, di Guy Debord e della Scuola di Francoforte che negli anni Sessanta si sviluppa un modo di “fare arte” prima inesistente.
Di fronte alla nuova mercificazione dell’arte iniziata con la Pop Art, e alla crescente diffusione di un “pensiero unico artistico”, negli anni Sessanta (all’interno del fermento politico e sociale in atto a livello mondiale) nascono nuove pratiche che hanno come scopo la riappropriazione del gesto di libertà nel campo dell’arte.

Uno dei sintomi di questo fermento si trova nella nascita dell’UPS, Underground Press Syndacate, un’associazione che riuniva tutte le riviste underground americane del periodo e raccoglieva il materiale prodotto per rilasciarlo sotto una non-licenza (no copyright). Grazie all’UPS, gli artisti dei decenni successivi hanno potuto usufruire di una quantità immensa di scritti, foto, disegni e collage che poteva essere manipolata e modificata liberamente.

Gli anni Sessanta sono anche il momento di nascita degli happenings, atti che -a differenza delle performance- prevedevano la collaborazione del pubblico per la creazione di un gesto che veniva visto come opera d’arte e che rimaneva volutamente e rigorosamente fuori dalle gallerie d’arte.
Negli anni Settanta gli happenings iniziano a diventare telematici e nel corso degli anni Ottanta e Novanta diventano veri e propri momenti di rottura artistica che si sviluppano in rete, anche attraverso fanzine online, gruppi di discussione, BBS, chat, nuovi strumenti che offrono una maggiore possibilità di collaborazione tra collettivi, artisti, attivisti.
L’arte diventa rete, non-luogo di scambio, di libera condivisione, sempre esplicitamente o implicitamente connessa agli ambienti della controinformazione, che si ribellavano all’idea di una comunicazione di tipo verticale, all’autore unico, al concetto di copyright. Internet, personal computer, televisioni, reti, radio libere sono strumenti dei quali qualcuno sente il bisogno di appropriarsi per riaffermare il proprio diritto alla libertà di espressione e di parola.
Queste pratiche porteranno infine ai NetStrike e alle proteste sociali attuate attraverso la rete, nonchè alla nascita di nuovi nomi collettivi, pseudonimi utilizzabili da chiunque per la creazione e divulgazione di opere artistiche, che stravolgono il concetto alla base del diritto d’autore classico perchè il loro autore non è individuabile in una sola persona o ente.

Rrose Sélavy è uno pseudonimo usato da Marcel Duchamp e dal poeta surrealista Robert Desnos, e crea un precedente nella storia dei nomi multipli.
La pratica dei nomi multipli si sviluppa nell’ambiente della sub-cultura a partire dagli anni Sessanta, ma comincia a diventare popolare a partire dagli anni Settanta, all’interno degli ambienti della MailArt, del post-situazionismo e del Neoismo, nonchè nella scena di musica sperimentale degli Anni Ottanta.
La logica dei nomi multipli si basa sul fatto che chiunque può adottarne uno, e diventa quel personaggio solo all’interno di un contesto sociale, mai nella vita privata, altrimenti si rischierebbe di individuare un nome multiplo con una persona specifica.
Facendo uso di un nome multiplo, le responsabilità vengono a mancare, perchè non esiste un soggetto imputabile in eventuali azioni giuridiche. Esaminando le categorie del FRBR (Functional Requirements for Bibliographic Records), non se ne trova una in cui si possano inserire i nomi multipli. Il concetto di copyright sulle eventuali opere o azioni prodotte da un nome collettivo viene stravolto: un autore c’è, ma non è identificabile con una persona, nè con mille, nè con un ente.
Per questo la pratica dei nomi multipli è una delle più grandi e geniali gesta artistiche del Novecento: riafferma la libertà dell’individuo in un continuo processo di decostruzione e decentralizzazione dello stesso.

Monty Cantsin è il nome collettivo creato dal mail artista David Zack: viene utilizzato da moltissime persone sulla scena musicale europea e americana, tanto che ad un certo punto basta presentarsi ad una discografica dichiarando di essere Monty Cantsin per ottenere un ingaggio. Luther Blissett, invece, è sempre stato il più popolare. In Italia ha scritto libri di grandissimo successo, ha redatto decine di articoli di controinformazione, ha preso in giro per mesi quotidiani locali e nazionali, trasmissioni televisive come “Chi l’ha visto?”, e addirittura l’ANSA, in un continuo depistaggio dei mezzi di comunicazione tradizionali basati sul modello “uno a molti” (stampa e televisione) atto a dimostrare la loro fallibilità e la effettiva disinformazione imperante nel mondo dei mass media.
Karen Eliot nasce nel 1985 in risposta ad un movimento ancora capitanato da nomi multipli maschili. Non è interessata all’estetica ma alla semiotica e all’esplorazione di vecchi strumenti (come la radio) per la creazione di arte nuova e il cambiamento sociale.
Oggi sono ancora molte le tracce di Karen Eliot. In Italia ha un sito, un blog, un’associazione culturale e diversi account collettivi su Flickr, Myspace, Splinder per la pubblicazione di foto, musica e articoli (che chiunque può utilizzare) e la promozione di eventi culturali, artistici e sociali.

Con i modelli rizomatici di una rete come Internet, si diffondono anche nuovi modi di fare arte, prima impensabili. L’opera d’arte diventa il risultato di una collaborazione, un atto collaborativo, sociale. La cosiddetta arte delle reti non fa altro che recuperare gli stessi concetti di movimenti artistici che negli anni ‘50 e ‘60 si contrapponevano alla classica arte oggettuale (come Fluxus e l’arte concettuale).
L’immateriale, il transitorio, il famoso “flusso” delle opere in divenire, il temporaneo, l’ibridazione culturale e disciplinare sono tutti concetti che si sposano benissimo con i non-luoghi come Internet, con gli spazi virtuali della rete, dove immensi flussi di informazioni passano e lasciano un piccolo segno, che va infine a formare “l’opera” nel suo complesso, la quale probabilmente non conoscerà mai una fine. Opera che mette in discussione i concetti di diritto d’autore e di copyright perchè l’autore unico non esiste più.

La grande rete della nostra era digitale smette di essere un mero “supporto” o mezzo di comunicazione, per diventare infine una delle più grandi opere d’arte collettiva mai viste.
Per questo, durante il festival austriaco di arte digitale Ars Electronica del 2004, il premio per “Digital Communities” è andato a Wikipedia (la più vasta enciclopedia online alla quale chiunque può partecipare).

Viviamo ormai in una società in cui l’arte non può più fare a meno di confrontarsi ogni giorno con il sociale e con il politico; non può più chiudersi nelle gallerie, non vuole più essere un privilegio per pochi. L’arte collaborativa di oggi chiede l’aiuto delle masse per riportare a galla un sistema (quello artistico) che molti davano per spacciato nella sua antica forma, ma anche per dare un nuovo significato sociale all’opera stessa, un senso di utilità che stava rischiando di perdere. L’arte di oggi è open, aperta a tutti, non è di nessuno e vuole dare beneficio ad ognuno di noi.