Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 9

Libro terzo

Capitolo 9

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Correva allora lo anno 1378, ed era il mese di aprile; e a messer Lapo non pareva di differire, affermando niuna cosa nuocere tanto al tempo quanto il tempo, e a loro massime, potendo nella seguente Signoria essere facilmente Salvestro de’ Medici gonfaloniere, il quale alla setta loro contrario cognoscevano. A Piero degli Albizzi, da l’altro canto, pareva da differire, perché giudicava bisognassero forze, e quelle non essere possibile, sanza dimostrazione, raccozzare, e quando fussero scoperti, in manifesto pericolo incorrerebbono. Giudicava per tanto essere necessario che il propinquo San Giovanni si aspettasse; nel quale tempo, per essere il più solenne giorno della città assai moltitudine in quella concorre, intra la quale potrebbono allora quanta gente volessero nascondere, e per rimediare a quello che di Salvestro si temeva, si ammunisse; e quando questo non paresse da fare, si ammunisse uno di Collegio del suo quartiere, e ritraendosi lo scambio, per essere le borse vote, poteva facilmente la sorte fare che quello o qualche suo consorte fusse tratto, che gli torrebbe la facultà di potere sedere gonfaloniere. Fermorono per tanto questa deliberazione; ancora che messer Lapo mal volentieri vi acconsentisse, giudicando il differire nocivo, e mai il tempo non essere al tutto commodo a fare una cosa, in modo che chi aspetta tutte le commodità, o e’ non tenta mai cosa alcuna, o, se la tenta, la fa il più delle volte a suo disavantaggio. Ammunirono costoro il collegio, ma non successe loro impedir Salvestro, perché, scoperte dagli Otto le cagioni, che lo scambio non si ritraesse operorono. Fu tratto per tanto gonfaloniere Salvestro di messer Alamanno de’ Medici. Costui, nato di nobilissima famiglia popolana che il popolo fussi da pochi potenti oppresso sopportare non poteva, e avendo pensato di porre fine a questa insolenza, vedendosi il popolo favorevole e di molti nobili popolani compagni, comunicò i disegni suoi con Benedetto Alberti, Tomaso Strozzi e messer Giorgio Scali, i quali per condurgli ogni aiuto gli promissono. Fermorono adunque secretamente una legge, la quale innovava gli ordini della giustizia contro ai Grandi, e l’autorità de’ Capitani di parte diminuiva, e a gli ammuniti dava modo di potere essere alle dignità rivocati. E perché quasi in un medesimo tempo si esperimentasse e ottenesse, avendosi prima infra i Collegi e di poi ne’ Consigli a deliberare, e trovandosi Salvestro proposto (il quale grado, quel tempo che dura, fa uno quasi che principe della città), fece in una medesima mattina il Collegio e il Consiglio ragunare; e a’ Collegi prima, divisi da quello, prepose la legge ordinata: la quale, come cosa nuova, trovò, in nel numero di pochi tanto disfavore che la non si ottenne. Onde che, veggendo Salvestro come gli erano tagliate le prime vie ad ottenerla, finse di partirsi del luogo per sue necessità, e senza che altri se ne accorgesse, ne andò in Consiglio; e salito alto, donde ciascuno lo potesse vedere e udire, disse come e’ credeva essere stato fatto gonfaloniere, non per essere giudice di cause private, che hanno i loro giudici ordinari, ma per vigilare lo stato, correggere la insolenza de’ potenti e temperare quelle leggi per lo uso delle quali si vedesse la republica rovinare; e come ad ambedue queste cose aveva con diligenzia pensato e, in quanto gli era stato possibile, proveduto; ma la malignità degli uomini in modo alle giuste sue imprese si opponeva, che a lui era tolta la via di potere operare bene, e a loro, non che di poterlo deliberare, ma di udirlo. Onde che, vedendo di non potere più in alcuna cosa alla republica né al bene universale giovare, non sapeva per qual cagione si aveva a tenere più il magistrato; il quale o egli non meritava, o altri credeva che non meritasse; e per questo se ne voleva ire a casa, acciò che quel popolo potesse porre in suo luogo un altro, che avesse o maggiore virtù o migliore fortuna di lui. E dette queste parole, si partì di Consiglio per andarne a casa.