Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 15

Libro terzo

Capitolo 15

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I Signori, volendo fare pruova di comporre con loro, poi che per forza non vedevono modo a frenargli, chiamorono quattro de’ loro Collegi e quelli al palagio del podestà, per intendere la mente loro, mandorono. I quali trovorono che i capi della plebe, con i sindachi delle Arti e alcuni cittadini, avevano quello che volevano alla Signoria domandare deliberato. Di modo che alla Signoria con quattro della plebe deputati e con queste domande tornorono: che l’Arte della lana non potesse più giudice forestiero tenere; che tre nuovi corpi d’arti si facessero, l’uno per i cardatori e tintori, l’altro per i barbieri, farsettai, sarti e simili arti meccaniche, il terzo per il popolo minuto; e che di queste tre Arti nuove sempre fussero duoi Signori, e delle quattordici Arti minori tre; che la Signoria alle case dove queste nuove Arti potessero convenire provedesse, che niuno a queste Arti sottoposto, infra duoi anni, potesse essere a pagare debito che fusse di minore somma che cinquanta ducati constretto; che il Monte fermasse gli interessi, e solo i capitali si restituissero; che i confinati e condannati fussero assoluti; che agli onori tutti gli ammuniti si restituissero. Molte altre cose, oltre a queste, in beneficio dei loro particulari fautori domandorono, e così, per il contrario, che molti de’ loro nimici fussero confinati e ammuniti vollono. Le quali domande, ancora che alla republica disonorevoli e gravi, per timore di peggio, furono dai Signori, Collegi e Consiglio del popolo subito deliberate. Ma a volere che le avessero la loro perfezione, era necessario ancora nel Consiglio del comune si ottenessero; il che, non si potendo in uno giorno ragunare duoi Consigli, differire all’altro dì convenne. Non di meno parve che per allora le Arti contente e la plebe sodisfatta ne rimanesse; e promissono che, data la perfezione alla legge, ogni tumulto poserebbe. Venuta la mattina di poi, mentre che nel Consiglio del comune si deliberava, la moltitudine, impaziente e volubile, sotto le solite insegne venne in Piazza, con sì alte voci e sì spaventevoli, che tutto il Consiglio e i Signori spaventorono. Per la qual cosa Guerriante Marignolli, uno de’ Signori, mosso più da il timore che da alcuna altra sua privata passione, scese, sotto colore di guardare la porta, da basso e se ne fuggì a casa. Né potette, uscendo fuora, in modo celarsi che non fusse da la turba ricognosciuto: né gli fu fatto altra ingiuria, se non che la moltitudine gridò, come lo vide, che tutti Signori il Palagio abbandonassero; se non, che ammazzerebbono i loro figliuoli e le loro case arderebbono. Era, in quel mezzo, la legge deliberata e i Signori nelle loro camere ridutti; e il Consiglio, sceso da basso e sanza uscire fuora, per la loggia e per la corte, desperato della salute della città, si stava, tanta disonestà vedendo in una moltitudine, e tanta malignità o timore in quelli che l’arebbono possuta o frenare o opprimere. I Signori ancora erano confusi e della salute della patria dubi, vedendosi da uno di loro abbandonati e da niuno cittadino, non che di aiuto, ma di consiglio suvvenuti. Stando adunque di quello potessero o dovessero fare incerti, messer Tommaso Strozzi e messer Benedetto Alberti, mossi o da propria ambizione, desiderando rimanere signori del Palagio, o perché pure così credevono essere bene, gli persuasono a cedere a questo impeto popolare e, privati, alle loro case tornarsene. Questo consiglio, dato da coloro che erano stati capi del tumulto, fece, ancora che gli altri cedessero, Alamanno Acciaiuoli e Niccolò del Bene, duoi de’ Signori, sdegnare; e tornato in loro un poco di vigore, dissono che se gli altri se ne volevono partire non possevono rimediarvi, ma non volevono già, prima che il tempo lo permettesse, lasciare la loro autorità, se la vita con quella non perdevano. Questi dispareri raddoppiorono a’ Signori la paura e al popolo lo sdegno; tanto che il Gonfaloniere, volendo più tosto finire il suo magistrato con vergogna che con pericolo, a messer Tommaso Strozzi si raccomandò, il quale lo trasse di Palagio e alle sue case lo condusse. Gli altri Signori in simile modo l’uno dopo l’altro si partirono; onde che Alamanno e Niccolò, per non essere tenuti più animosi che savi, vedendosi rimasi soli, ancora eglino se ne andorono; e il Palagio rimase nelle mani della plebe e degli Otto della guerra, i quali ancora non avevono il magistrato deposto.