Gli uomini plebei adunque, così quelli sottoposti all’Arte della lana come alle altre, per le cagioni dette, erano pieni di sdegno: al quale aggiugnendosi la paura per le arsioni e ruberie fatte da loro, convennono di notte più volte insieme, discorrendo i casi seguiti e mostrando l’uno all’altro ne’ pericoli si trovavano. Dove alcuno de’ più arditi e di maggiore esperienza, per inanimire gli altri, parlò in questa sentenza: - Se noi avessimo a deliberare ora se si avessero a pigliare le armi, ardere e rubare le case de’ cittadini, spogliare le chiese, io sarei uno di quelli che lo giudicherei partito da pensarlo, e forse approverei che fusse da preporre una quieta povertà a uno pericoloso guadagno; ma perché le armi sono prese e molti mali sono fatti, e’ mi pare che si abbia a ragionare come quelle non si abbiano a lasciare e come de’ mali commessi ci possiamo assicurare. Io credo certamente che, quando altri non ci insegnasse, che la necessità ci insegni. Voi vedete tutta questa città piena di rammarichii e di odio contro a di noi: i cittadini si ristringono, la Signoria è sempre con i magistrati: crediate che si ordiscono lacci per noi, e nuove forze contro alle teste nostre si apparecchiano. Noi dobbiamo per tanto cercare due cose e avere, nelle nostre deliberazioni, duoi fini: l’uno di non potere essere delle cose fatte da noi ne’ prossimi giorni gastigati, l’altro di potere con più libertà e più sodisfazione nostra che per il passato vivere. Convienci per tanto, secondo che a me pare, a volere che ci sieno perdonati gli errori vecchi, farne de’ nuovi, raddoppiando i mali, e le arsioni e le ruberie multiplicando, e ingegnarsi a questo avere di molti compagni, perché dove molti errano niuno si gastiga, e i falli piccoli si puniscono, i grandi e gravi si premiano; e quando molti patiscono pochi cercano di vendicarsi, perché le ingiurie universali con più pazienza che le particulari si sopportono. Il multiplicare adunque ne’ mali ci farà più facilmente trovare perdono, e ci darà la via ad avere quelle cose che per la libertà nostra di avere desideriamo. E parmi che noi andiamo a un certo acquisto, perché quelli che ci potrebbono impedire sono disuniti e ricchi: la disunione loro per tanto ci darà la vittoria, e le loro ricchezze, quando fieno diventate nostre, ce la manterranno. Né vi sbigottisca quella antichità del sangue che ei ci rimproverano; perché tutti gli uomini, avendo avuto uno medesimo principio, sono ugualmente antichi, e da la natura sono stati fatti ad uno modo. Spogliateci tutti ignudi: voi ci vedrete simili, rivestite noi delle veste loro ed eglino delle nostre: noi senza dubio nobili ed eglino ignobili parranno; perché solo la povertà e le ricchezze ci disaguagliano. Duolmi bene che io sento come molti di voi delle cose fatte, per conscienza, si pentono, e delle nuove si vogliono astenere; e certamente, se gli è vero, voi non siete quelli uomini che io credevo che voi fusse; perché né conscienza né infamia vi debba sbigottire; perché coloro che vincono, in qualunque modo vincono, mai non ne riportono vergogna. E della conscienza noi non dobbiamo tenere conto; perché dove è, come è in noi, la paura della fame e delle carcere, non può né debbe quella dello inferno capere. Ma se voi noterete il modo del procedere degli uomini, vedrete tutti quelli che a ricchezze grandi e a grande potenza pervengono o con frode o con forza esservi pervenuti; e quelle cose, di poi, ch’eglino hanno o con inganno o con violenza usurpate, per celare la bruttezza dello acquisto, quello sotto falso titolo di guadagno adonestano. E quelli i quali, o per poca prudenza o per troppa sciocchezza, fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogono; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e frodolenti. Perché Iddio e la natura ha posto tutte le fortune degli uomini loro in mezzo; le quali più alle rapine che alla industria, e alle cattive che alle buone arti sono esposte: di qui nasce che gli uomini mangiono l’uno l’altro, e vanne sempre col peggio chi può meno. Debbesi adunque usare la forza quando ce ne è data occasione. La quale non può essere a noi offerta dalla fortuna maggiore, sendo ancora i cittadini disuniti, la Signoria dubia, i magistrati sbigottiti: talmente che si possono, avanti che si unischino e fermino l’animo, facilmente opprimere: donde o noi rimarreno al tutto principi della città, o ne areno tanta parte che non solamente gli errori passati ci fieno perdonati, ma areno autorità di potergli di nuove ingiurie minacciare. Io confesso questo partito essere audace e pericoloso; ma dove la necessità strigne è l’audacia giudicata prudenza, e del pericolo nelle cose grandi gli uomini animosi non tennono mai conto, perché sempre quelle imprese che con pericolo si cominciono si finiscono con premio, e di uno pericolo mai si uscì sanza pericolo: ancora che io creda, dove si vegga apparecchiare le carcere, i tormenti e le morti, che sia da temere più lo starsi che cercare di assicurarsene; perché nel primo i mali sono certi, e nell’altro dubi. Quante volte ho io udito dolervi della avarizia de’ vostri superiori e della ingiustizia de’ vostri magistrati! Ora è tempo, non solamente da liberarsi da loro, ma da diventare in tanto loro superiore, ch’eglino abbiano più a dolersi e temere di voi che voi di loro. La opportunità che dalla occasione ci è porta vola, e invano, quando la è fuggita, si cerca poi di ripigliarla. Voi vedete le preparazioni de’ vostri avversarii: preoccupiamo i pensieri loro; e quale di noi prima ripiglierà l’armi, sanza dubio sarà vincitore, con rovina del nimico ed esaltazione sua: donde a molti di noi ne risulterà onore, e securità a tutti -. Queste persuasioni accesono forte i già per loro medesimi riscaldati animi al male, tanto che deliberorono prendere le armi, poi ch’eglino avessero più compagni tirati alla voglia loro; e con giuramento si obligorono di soccorrersi, quando accadessi che alcuno di loro fusse dai magistrati oppresso.