Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 28

Libro settimo

Capitolo 28

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Nato quasi che in un tratto e oppresso questo tumulto, ritornorono i cittadini al loro consueto modo di vivere, pensando di godersi sanza alcuno rispetto quello stato che si avevano stabilito e fermo. Di che ne nacquono alla città quelli mali che sogliono nella pace il più delle volte generarsi; perché i giovani, più sciolti che l’usitato, in vestire, in conviti, in altre simili lascivie sopra modo spendevano, ed essendo oziosi, in giuochi e in femmine il tempo e le sustanze consumavano e gli studi loro erano apparire con il vestire splendidi e con il parlare sagaci e astuti; e quello che più destramente mordeva gli altri era più savio e da più stimato. Questi così fatti costumi furono da’ cortigiani del duca di Milano accresciuti, il quale insieme con la sua donna e con tutta la sua ducale corte, per sodisfare, secondo che disse, ad uno boto, venne in Firenze; dove fu ricevuto con quella pompa che conveniva un tanto principe e tanto amico alla città ricevere. Dove si vide, cosa in quel tempo nella nostra città ancora non veduta, che, sendo il tempo quadragesimale, nel quale la Chiesa comanda che sanza mangiar carne si digiuni, quella sua corte, sanza rispetto della Chiesa o di Dio, tutta di carne si cibava. E perché si feciono molti spettaculi per onorarlo, intra i quali, nel tempio di Santo Spirito, si rapresentò la concessione dello Spirito Santo agli Apostoli, e perché, per i molti fuochi che in simile solennità si fanno, quel tempio tutto arse, fu creduto da molti Dio, indegnato contro di noi, avere voluto della sua ira dimostrare quel segno. Se adunque quel duca trovò la città di Firenze piena di cortigiane delicatezze e costumi ad ogni bene ordinata civilità contrari, la lasciò molto più; onde che i buoni cittadini pensorono che fusse necessario porvi freno, e con nuova legge a’ vestiri, a’ mortorii, ai conviti termine posero.