E’ parrà forse a quelli che il libro superiore aranno letto che uno scrittore delle cose fiorentine si sia troppo disteso in narrare quelle seguite in Lombardia e nel Regno; non di meno io non ho fuggito né sono per lo avvenire per fuggire simili narrazioni, perché, quantunque io non abbia mai promesso di scrivere le cose di Italia, non mi pare per ciò da lasciare indietro di non narrare quelle che saranno in quella provincia notabili. Perché, non le narrando, la nostra istoria sarebbe meno intesa e meno grata; massimamente perché dalle azioni degli altri popoli e principi italiani nascono il più delle volte le guerre nelle quali i Fiorentini sono di intromettersi necessitati, come dalla guerra di Giovanni d’Angiò e del re Ferrando gli odii e le gravi inimicizie nacquono le quali poi intra Ferrando e i Fiorentini, e particularmente con la famiglia de’ Medici seguirono. Perché il Re si doleva, in quella guerra, non solamente non essere stato suvvenuto, ma essere stati prestati favori al nimico suo; il quale sdegno fu di grandissimi mali cagione, come nella narrazione nostra si dimosterrà. E perché io sono, scrivendo le cose di fuora, infino al 1463 transcorso, mi è necessario, a volere i travagli di dentro in quel tempo seguiti narrare, ritornare molti anni indietro. Ma prima voglio alquanto, secondo la consuetudine nostra ragionando, dire come coloro che sperano che una republica possa essere unita, assai di questa speranza s’ingannono. Vera cosa è che alcune divisioni nuocono alle republiche, e alcune giovano: quelle nuocono che sono dalle sette e da partigiani accompagnate; quelle giovano che senza sette e senza partigiani si mantengono. Non potendo adunque provedere uno fondatore di una republica che non sieno inimicizie in quella, ha a provedere almeno che non vi sieno sette. E però è da sapere come in due modi acquistono riputazione i cittadini nelle città: o per vie publiche, o per modi privati. Publicamente si acquista, vincendo una giornata, acquistando una terra, faccendo una legazione con sollecitudine e con prudenza, consigliando la republica saviamente e felicemente; per modi privati si acquista, benificando questo e quell’altro cittadino, defendendolo da’ magistrati, suvvenendolo di danari, tirandolo immeritamente agli onori, e con giochi e doni publici gratificandosi la plebe. Da questo modo di procedere nascono le sette e i partigiani; e quanto questa reputazione così guadagnata offende, tanto quella giova quando ella non è con le sette mescolata, perché la è fondata sopra un bene comune, non sopra un bene privato. E benché ancora tra i cittadini così fatti non si possa per alcuno modo provedere che non vi sieno odii grandissimi non di meno, non avendo partigiani che per utilità propria li seguitino, non possono alla republica nuocere; anzi conviene che giovino, perché è necessario, per vincere le loro pruove, si voltino alla esaltazione di quella, e particularmente osservino l’uno l’altro, acciò che i termini civili non si trapassino. Le inimicizie di Firenze furono sempre con sette, e per ciò furono sempre dannose; né stette mai una setta vincitrice unita, se non tanto quanto la setta inimica era viva, ma come la vinta era spenta, non avendo quella che regnava più paura che la ritenesse né ordine infra sé che la frenasse, la si ridivideva. La parte di Cosimo de’ Medici rimase, nel 1434, superiore; ma per essere la parte battuta grande e piena di potentissimi uomini, si mantenne un tempo, per paura, unita e umana, intanto che fra loro non feciono alcuno errore, e al popolo per alcuno loro sinistro modo non si feciono odiare; tanto che qualunque volta quello stato ebbe bisogno del popolo per ripigliare la sua autorità, sempre lo trovò disposto a concedere a i capi suoi tutta quella balia e potenza che desideravano. E così, dal 1434 al ’55, che sono anni ventuno, sei volte, e per i Consigli ordinariamente, la autorità della balia riassunsono.