Erasi rifuggito, dopo la rotta, Ferrando in Napoli, e quivi gli scacciati de’ suoi stati riceveva; e con quelli modi più umani poté, ragunò danari insieme, e fece un poco di testa di esercito. Mandò di nuovo per aiuto al Papa e al Duca, e dall’uno e dall’altro fu suvvenuto con maggiore celerità e più copiosamente che per innanzi, perché vivevono con sospetto grande che non perdessi quel regno. Diventato per tanto il re Ferrando gagliardo, uscì di Napoli; e avendo cominciato a racquistare riputazione, riacquistava delle terre perdute. E mentre che la guerra nel Regno si travagliava, nacque uno accidente che al tutto tolse a Giovanni d’Angiò la reputazione e la commodità di vincere quella impresa. Erano i Genovesi infastiditi del governo avaro e superbo de’ Franzesi, tanto che presono le armi contro al governatore regio, e quello constrinsono a rifuggirsi nel Castelletto; e a questa impresa furono i Fregosi e gli Adorni concordi, e dal duca di Milano di danari e di gente furono aiutati, così nell’acquistare lo stato come nel conservarlo; tanto che il re Rinato, il quale con una armata venne di poi in soccorso del figliuolo, sperando riacquistare Genova per virtù del Castelletto, fu, nel porre delle sue genti in terra, rotto, di sorte che fu forzato tornarsene svergognato in Provenza. Questa nuova, come fu intesa nel regno di Napoli, sbigottì assai Giovanni d’Angiò; non di meno non lasciò la impresa; ma per più tempo sostenne la guerra aiutato da quelli baroni i quali, per la rebellione loro, non credevono apresso a Ferrando trovare luogo alcuno. Pure alla fine, dopo molti accidenti seguiti a giornata li duoi regali eserciti si condussono, nella quale fu Giovanni, propinquo a Troia, rotto, l’anno 1463. Né tanto l’offese la rotta, quanto la partita da lui di Iacopo Piccinino, il quale si accostò a Ferrando; sì che, spogliato di forze, si ridusse in Istia, donde poi se ne tornò in Francia. Durò questa guerra quattro anni e la perdé colui, per sua negligenzia, il quale, per virtù de’ suoi soldati l’ebbe più volte vinta. Nella quale i Fiorentini non si travagliorono in modo che apparisse: vero è che da il re Giovanni di Aragona, nuovamente assunto re in quel regno per la morte di Alfonso, furono, per sua ambasciata, richiesti che dovessero soccorrere alle cose di Ferrando suo nipote, come erano, per la lega nuovamente fatta con Alfonso suo padre, obligati. A cui per i Fiorentini fu risposto: non avere obligo alcuno con quello; e che non erano per aiutare il figliuolo in quella guerra che il padre con le armi sue aveva mossa; e come la fu cominciata sanza loro consiglio o saputa, così sanza il loro aiuto la tratti e finisca. Donde che quelli oratori, per parte del loro re, protestorono la pena dello obligo e gli interessi del danno; e sdegnati contro a quella città si partirono. Stettono per tanto i Fiorentini, nel tempo di questa guerra, quanto alle cose di fuori, in pace; ma non posorono già drento, come particularmente nel seguente libro si dimosterrà.