Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 1

Libro sesto

Capitolo 1

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Fu sempre, e così è ragionevole che sia, il fine di coloro che muovono una guerra, di arricchire sé e impoverire il nimico; né per altra cagione si cerca la vittoria, né gli acquisti per altro si desiderano, che per fare sé potente e debole lo avversario. Donde ne segue che, qualunque volta o la tua vittoria ti impoverisce o lo acquisto ti indebolisce, conviene si trapassi o non si arrivi a quel termine per il quale le guerre si fanno. Quel principe e quella republica è dalle vittorie nelle guerre arricchito, che spegne i nimici ed è delle prede e delle taglie signore; quello delle vittorie impoverisce, che i nimici, ancora che vinca, non può spegnere, e le prede e le taglie, non a lui, ma a i suoi soldati appartengono. Questo tale è nelle perdite infelice e nelle vittorie infelicissimo, perché, perdendo, quelle ingiurie sopporta che gli fanno i nimici; vincendo, quelle che gli fanno gli amici; le quali, per essere meno ragionevoli, sono meno sopportabili, veggendo massime essere i suoi sudditi con taglie e nuove offese di raggravare necessitato; e se gli ha in sé alcuna umanità, non si può di quella vittoria interamente rallegrare, della quale tutti i suoi sudditi si contristono. Solevono le antiche e bene ordinate republiche, nelle vittorie loro, riempiere d’oro e d’ariento lo erario, distribuire doni nel popolo, rimettere a’ sudditi i tributi, e con giuochi e con solenne feste festeggiarli; ma quelle di quelli tempi che noi descriviamo, prima votavono lo erario, di poi impoverivano il popolo, e de’ nimici tuoi non ti assicuravano. Il che tutto nasceva da il disordine con il quale quelle guerre si trattavano: perché, spogliandosi i nimici vinti, e non si ritenendo né ammazzando, tanto quelli a riassalire il vincitore differivono, quanto ei penavano da chi gli conduceva d’essere d’arme e cavagli riforniti. Sendo ancora le taglie e la preda de’ soldati, i principi vincitori di quelle nelle nuove spese de’ nuovi soldi non si valevano, ma delle viscere de’ loro popoli gli traevono, né partoriva altro la vittoria, in benifizio de’ popoli, se non che la faceva il principe più sollecito e meno respettivo ad aggravargli. E a tale quelli soldati avevono la guerra condotta, che ugualmente al vincitore e al vinto, a volere potere alle sue genti comandare, nuovi danari bisognavano, perché l’uno aveva a rivestirgli, l’altro a premiargli; e come quelli sanza essere rimessi a cavallo non potevano, così quelli altri sanza nuovi premi combattere non volevano. Di qui nasceva che l’uno godeva poco la vittoria, l’altro poco sentiva la perdita; perché il vinto era a tempo a rifarsi, e il vittorioso non era a tempo a seguire la vittoria.