Né però si invilirono in tanto che non facessero grandi provedimenti a danari, soldassero gente e mandassero ai loro amici per aiuto. Non di meno a frenare tanto nimico niuno provedimento bastava; di modo che furono forzati eleggere per loro signore Carlo duca di Calavria e figliuolo del re Ruberto, se vollono che venisse alla difesa loro; perché quelli, sendo consueti a signoreggiare Firenze, volevono più tosto la ubbidienza che l’amicizia sua. Ma per essere Carlo implicato nelle guerre di Sicilia, e per ciò non potendo venire a prendere la signoria, vi mandò Gualtieri di nazione franzese e duca di Atene. Costui, come vicario del signore, prese la possessione della città, e ordinava i magistrati secondo lo arbitrio suo. Furono non di meno i portamenti suoi modesti, e in modo contrari alla natura sua, che ciascuno lo amava. Carlo composte che furono le guerre di Sicilia, con mille cavalieri ne venne a Firenze, dove fece la sua entrata di luglio l’anno 1326; la cui venuta fece che Castruccio non poteva liberamente il paese fiorentino saccheggiare. Non di meno quella reputazione che si acquistò di fuora si perdé dentro, e quelli danni che dai nimici non furono fatti, dagli amici si sopportorono: perché i Signori senza il consenso del Duca alcuna cosa non operavano, e in termine di uno anno trasse della città quattrocentomila fiorini, non ostante che, per le convenzioni fatte seco, non si avesse a passare dugentomila: tanti furono i carichi con i quali ogni giorno o egli o il padre la città aggravavano. A questi danni si aggiunsono ancora nuovi sospetti e nuovi nimici; perché i Ghibellini di Lombardia in modo per la venuta di Carlo in Toscana insospettirono, che Galeazzo Visconti e gli altri tiranni lombardi, con danari e promesse, feciono passare in Italia Lodovico di Baviera, stato contro alla voglia del Papa eletto imperadore. Venne costui in Lombardia, e di quivi in Toscana; e con lo aiuto di Castruccio si insignorì di Pisa; dove, rinfrescato di danari, se ne andò verso Roma; il che fece che Carlo si partì di Firenze, temendo del Regno, e per suo vicario lasciò messer Filippo da Saggineto. Castruccio, dopo la partita dello Imperadore, si insignorì di Pisa; e i Fiorentini per trattato gli tolsono Pistoia; alla quale Castruccio andò a campo; dove con tanta virtù e ostinazione stette, che, ancora che i Fiorentini facessero più volte prova di soccorrerla, e ora il suo esercito ora il suo paese assalissero, mai non posserono, né con forza né con industria, dalla impresa rimuoverlo: tanta sete aveva di gastigare i Pistolesi e i Fiorentini sgarare! di modo che i Pistolesi furono a riceverlo per signore constretti. La qual cosa, ancora che seguisse con tanta sua gloria, seguì anche con tanto suo disagio che, tornato in Lucca, si morì. E perché gli è rade volte che la fortuna un bene o un male con un altro bene o con un altro male non accompagni, morì ancora, a Napoli, Carlo duca di Calavria e signore di Firenze, acciò che i Fiorentini in poco di tempo, fuori d’ogni loro opinione, dalla signoria dell’uno e timore dell’altro si liberassino. I quali, rimasi liberi, riformorono la città, e annullorono tutto l’ordine de’ Consigli vecchi, e ne creorono duoi, l’uno di trecento cittadini popolani, l’altro di ducento cinquanta grandi e popolani; il primo dei quali Consiglio di Popolo, l’altro di Comune chiamorono.