Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 13

Libro secondo

Capitolo 13

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E non sapiendo i popolani che partiti si prendere, Giano della Bella di stirpe nobilissimo, ma della libertà della città amatore, dette animo ai capi delle Arti a riformare la città; e per suo consiglio si ordinò che il Gonfaloniere residesse con i Priori, e avesse quattromila uomini a sua ubbidienza; privoronsi ancora tutti i nobili di potere sedere de’ Signori; obligoronsi consorti del reo alla medesima pena che quello; fecesi che la publica fama bastasse a giudicare. Per queste leggi, le quali si chiamorono gli Ordinamenti della iustizia, acquistò il popolo assai reputazione, e Giano della Bella assai odio; perché era in malissimo concetto de’ potenti, come di loro potenza distruttore, e i popolani ricchi gli avevano invidia, perché pareva loro che la sua autorità fusse troppa; il che, come prima lo permisse la occasione, si dimostrò. Fece adunque la sorte che fu morto uno popolano in una zuffa dove più nobili intervennono, intra i quali fu messer Corso Donati; al quale, come più audace che gli altri, fu attribuita la colpa; e per ciò fu da il Capitano del popolo preso; e comunque la cosa si andasse, o che messer Corso non avesse errato, o che il Capitano temesse di condannarlo, e’ fu assoluto. La quale assoluzione tanto al popolo dispiacque, che prese le armi e corse a casa Giano della Bella a pregarlo dovesse essere operatore che si osservassero quelle leggi delle quali egli era stato inventore. Giano, che desiderava che messer Corso fusse punito, non fece posare l’armi, come molti giudicavano che dovesse fare, ma gli confortò ad ire a’ Signori a dolersi del caso e pregarli che dovessero provedervi. Il popolo per tanto, pieno di sdegno, parendogli essere offeso dal Capitano e da Giano abandonato, non a’ Signori, ma al palagio del Capitano itosene, quello prese e saccheggiò. Il quale atto dispiacque a tutti i cittadini; e quelli che amavano la rovina di Giano lo accusavano, attribuendo a lui tutta la colpa, di modo che, trovandosi intra gli Signori che di poi seguirono alcuno suo nimico, fu accusato al Capitano come sollevatore del popolo. E mentre che si praticava la causa sua, il popolo si armò, e corse alle sue case, offerendogli contro ai Signori e suoi nimici la difesa. Non volle Giano fare esperienza di questi populari favori, né commettere la vita sua a’ magistrati, perché temeva la malignità di questi e la instabilità di quelli; tale che, per torre occasione a’ nimici di ingiuriare lui, e agli amici di offendere la patria, deliberò di partirsi, e dare luogo alla invidia, e liberare i cittadini dal timore ch’eglino avevano di lui, e lasciare quella città la quale con suo carico e pericolo aveva libera dalla servitù de’ potenti, e si elesse voluntario esilio.