Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 5

Libro quinto

Capitolo 5

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Stando adunque in questa forma le cose di Firenze, morì Giovanna reina di Napoli, e per suo testamento lasciò Rinieri d’Angiò erede del Regno. Trovavasi allora Alfonso re di Ragona in Sicilia, il quale, per l’amicizia aveva con molti baroni, si preparava ad occupare quel regno. I Napoletani e molti baroni favorivano Rinieri, il Papa dall’altra parte non voleva né che Rinieri né che Alfonso lo occupasse, ma desiderava che per uno suo governatore si amministrasse. Venne per tanto Alfonso nel Regno, e fu da il duca di Sessa ricevuto; dove condusse al suo soldo alcuni principi, con animo (avendo Capua, la quale il principe di Taranto in nome di Alfonso possedeva) di costrignere i Napoletani a fare la sua volontà, e mandò l’armata sua ad assalire Gaeta, la quale per li Napoletani si teneva; per la qual cosa i Napoletani domandorono aiuto a Filippo. Persuase costui i Genovesi a prendere quella impresa; i quali, non solo per sodisfare al Duca, loro principe, ma per salvare le loro mercanzie che in Napoli e in Gaeta avevono, armorono una potente armata. Alfonso dall’altra parte, sentendo questo, ringrossò la sua, e in persona andò allo incontro de’ Genovesi; e sopra l’isola di Ponzio venuti alla zuffa, l’armata aragonese fu rotta, e Alfonso, insieme con molti principi, preso e dato da’ Genovesi nelle mani di Filippo. Questa vittoria sbigottì tutti i principi che in Italia temevono la potenza di Filippo, perché giudicavano avesse grandissima occasione di insignorirsi del tutto. Ma egli (tanto sono diverse le opinioni degli uomini) prese partito al tutto a questa opinione contrario. Era Alfonso uomo prudente, e, come prima poté parlare a Filippo, gli dimostrò quanto ei s’ingannava a favorire Rinieri e disfavorire lui, perché Rinieri, diventato re di Napoli, aveva a fare ogni sforzo perché Milano diventassi del re di Francia, per avere gli aiuti propinqui e non avere a cercare ne’ suoi bisogni, che gli fusse aperta la via a suoi soccorsi; né poteva altrimenti di questo assicurarsi, se non con la sua rovina, facendo diventare quello stato franzese. E che al contrario interverrebbe quando esso ne diventassi principe; perché, non temendo altro nimico che i Franzesi, era necessitato amare e carezzare e, non che altro, ubbidire a colui che a suoi nimici poteva aprire la via; e per questo il titolo del Regno verrebbe ad essere appresso ad Alfonso, ma l’autorità e la potenza appresso di Filippo. Sì che molto più a lui che a sé apparteneva considerare i pericoli dell’uno partito e l’utilità dell’altro, se già e’ non volesse più tosto sodisfare ad uno suo appetito, che assicurarsi dello stato; perché nell’uno caso e’ sarebbe principe e libero, nell’altro, sendo in mezzo di duoi potentissimi principi, o ei perderebbe lo stato, o e’ viverebbe sempre in sospetto, e come servo arebbe ad ubbidire a quelli. Poterono tanto queste parole nell’animo del Duca, che, mutato proposito, liberò Alfonso, e onorevolmente lo rimandò a Genova, e di quindi nel Regno. Il quale si transferì in Gaeta, la quale, subito che s’intese la sua liberazione, era stata occupata da alcuni signori suoi partigiani.