Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 31

Libro quinto

Capitolo 31

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I Fiorentini, dall’altra parte, non si sbigottirono, e prima che ogni altra cosa, attesono a tenere fermo il governo; del quale potevono poco dubitare per la benivolenza che Cosimo aveva nel popolo, e per avere ristretti i primi magistrati intra pochi potenti, i quali con la severità loro tenevono fermo, se pure alcuno vi fusse stato male contento o di nuove cose desideroso. Sapevano ancora, per gli accordi fatti in Lombardia con quali forze tornava Neri, e da il Papa aspettavano le genti sue: la quale speranza infino alla tornata di Neri li tenne vivi. Il quale, trovata la città in questi disordini e paure, deliberò uscire in campagna, per frenare in parte Niccolò, che liberamente non saccheggiasse il paese, e fatto testa di più fanti, tutti del popolo, con quella cavalleria si trovavano, uscì fuora, e riprese Remole che tenevano i nimici; dove accampatosi proibiva a Niccolò lo scorrere e a’ cittadini dava speranza di levargli il nimico d’intorno. Niccolò, veduto come i Fiorentini quando erano spogliati di gente non avevono fatto alcuno movimento, e inteso con quanta sicurtà in quella città si stava, gli pareva invano consumare il tempo, e deliberò fare altre imprese, acciò che i Fiorentini avessero cagione di mandargli dietro le genti, e dargli occasione di venire alla giornata; la quale vincendo, pensava che ogni altra cosa gli succedessi prospera. Era nello esercito di Niccolò Francesco conte di Poppi, il quale si era, come i nimici furono in Mugello ribellato da’ Fiorentini con i quali era in lega. E benché prima i Fiorentini ne dubitassero, per farselo con i benificii amico, gli accrebbono la provisione, e sopra tutte le loro terre a lui convicine lo feciono commissario. Non di meno (tanto può negli uomini lo amore della parte) alcuno benifizio né alcuna paura gli poté fare sdimenticare l’affezione portava a messer Rinaldo e agli altri che nello stato primo governavano; tanto che, subito che gli intese Niccolò esser propinquo, si accostò con lui; e con ogni sollecitudine lo confortava a scostarsi dalla città e passare in Casentino, mostrandogli la fortezza del paese, e con quale securtà poteva, di quivi, tenere stretti i nimici. Prese per tanto Niccolò questo consiglio;giunto in Casentino, occupò Romena e Bibbiena; di poi pose il campo a Castel San Niccolò. È questo castello posto a piè delle alpi che dividono il Casentino da il Val d’Arno; e per essere in luogo assai rilevato, e dentrovi sufficienti guardie, fu difficile la sua espugnazione, ancora che Niccolò con briccole e simili artiglierie continuamente lo combattesse. Era durato questo assedio più di venti giorni, infra il quale tempo i Fiorentini avevano le loro genti raccozzate; e di già avevano, sotto più condottieri, tremila cavagli a Fegghine ragunati, governati da Pietrogiampaulo capitano e da Neri Capponi e Bernardo de’ Medici commissari. A costoro vennono quattro, mandati da Castello San Niccolò, a pregarli dovessero dare loro soccorso. I commissari, esaminato il sito, vedevano non li potere soccorrere se non per le alpi che venivano di Val d’Arno; la sommità delle quali poteva essere occupata prima dal nimico che da loro, per avere a fare più corto cammino, e per non potersi la loro venuta celare; in modo che si andava a tentare una cosa da non riuscire e poterne seguire la rovina delle genti loro. Onde che i commissari lodorono la fede di quelli, e commissono loro che, quando e’ non potessero più difendersi si arrendessero. Prese adunque Niccolò questo castello dopo trentadue giorni che vi era ito con il campo, e tanto tempo perduto per sì poco acquisto fu della rovina della sua impresa buona parte cagione; perché, se si manteneva con le genti d’intorno a Firenze, faceva che chi governava quella città non poteva se non con rispetto, strignere i cittadini a fare danari; e con più difficultà ragunavano le genti e facevono ogni altra provisione avendo il nimico adosso, che discosto; e arebbono molti avuto animo a muovere qualche accordo per assicurarsi di Niccolò con la pace, veggendo che la guerra fusse per durare. Ma la voglia che il conte di Poppi aveva di vendicarsi contro a quelli castellani, stati lungo tempo suoi nimici, gli fece dare quel consiglio; e Niccolò, per sodisfargli, lo prese, il che fu la rovina dell’uno e dell’altro: e rade volte accade che le particulari passioni non nuochino alle universali commodità. Niccolò, seguitando la vittoria, prese Rassina e Chiusi. In questi parti il conte di Poppi lo persuadeva a fermarsi, mostrando come e’ poteva distendere le sue genti fra Chiusi, Caprese e la Pieve; e veniva ad essere signore delle alpi, e potere a sua posta in Casentino, in Val d’Arno, in Val di Chiana e in Val di Tevere scendere, ed essere presto ad ogni moto che facessino i nimici. Ma Niccolò, considerata la asprezza de’ luoghi, gli disse che i suoi cavagli non mangiavano sassi; e ne andò al Borgo a San Sepolcro, dove amichevolmente fu ricevuto. Dal quale luogo tentò gli animi di quelli di Città di Castello, i quali, per essere amici a’ Fiorentini, non lo udirono. E desiderando egli avere i Perugini a sua devozione, con quaranta cavagli se ne andò a Perugia, dove fu ricevuto, sendo loro cittadino, amorevolmente. Ma in pochi giorni vi diventò sospetto, e tentò con il Legato e con i Perugini più cose, e non gliene successe niuna; tanto che, ricevuto da loro ottomila ducati, se ne tornò allo esercito. Di quivi tenne pratiche in Cortona per torla a’ Fiorentini; e per essersi scoperta la cosa prima che il tempo, diventorono i disegni suoi vani. Era intra i primi cittadini di quella città Bartolommeo di Senso: costui andando la sera, per ordine del capitano, alla guardia d’una porta, gli fu da uno del contado, suo amico, fatto intendere che non vi andasse, se voleva non esservi morto. Volle intendere Bartolommeo il fondamento della cosa, e trovò l’ordine del trattato che si teneva con Niccolò. Il che Bartolommeo, per ordine al capitano rivelò; il quale, assicuratosi de’ capi della congiura e raddoppiato le guardie alle porte, aspettò, secondo l’ordine dato, che Niccolò venisse; il quale venne di notte e al tempo ordinato; e trovandosi scoperto, se ne ritornò agli alloggiamenti suoi.