Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 27

Libro quinto

Capitolo 27

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Di tutte queste cose fatti certi, i Fiorentini spaventorono, veggendosi venire la guerra adosso e in Lombardia non si essere fatto molto profitto. Né dava loro meno affanno i sospetti ch’eglino avieno delle genti della Chiesa; non perché il Papa fusse loro nimico, ma perché vedevono quelle armi più ubbidire al Patriarca, loro inimicissimo, che al Papa. Fu Giovanni Vitelleschi cornetano, prima notaio apostolico, di poi vescovo di Ricanati, appresso patriarca alessandrino; ma diventato in ultimo cardinale, fu Cardinale fiorentino nominato. Era costui animoso e astuto; e per ciò seppe tanto operare, che dal Papa fu grandemente amato, e da lui preposto alli eserciti della Chiesa; e di tutte le imprese che il Papa in Toscana, in Romagna, nel Regno e a Roma fece, ne fu capitano: onde che prese tanta autorità nelle genti e nel Papa, che questo temeva a comandargli, e le genti a lui solo, e non ad altri, ubbidivano. Trovandosi per tanto questo cardinale con le genti in Roma quando venne la fama che Niccolò voleva passare in Toscana, si raddoppiò a’ Fiorentini la paura, per essere stato quel cardinale, poi che messer Rinaldo fu cacciato, sempre a quello stato nimico, veggendo che gli accordi fatti in Firenze intra le parti per suo mezzo non erano stati osservati, anzi con pregiudizio di messer Rinaldo maneggiati, sendo stato cagione che posasse le armi e desse commodità a’ nimici di cacciarlo: tanto che ai principi del governo pareva che il tempo fusse venuto da ristorare messer Rinaldo de’ danni, se con Niccolò, venendo quello in Toscana si accozzava. E tanto più ne dubitavano parendo loro la partita di Niccolò di Lombardia importuna, lasciando una impresa quasi vinta, per entrare in una al tutto dubia; il che non credevono sanza qualche nuova intelligenza o nascoso inganno facesse. Di questo loro sospetto avevano avvertito il Papa, il quale aveva già conosciuto lo errore suo per avere dato ad altri troppa autorità. Ma in mentre che i Fiorentini stavano così sospesi la fortuna mostrò loro la via come si potessero del Patriarca assicurare. Teneva quella republica in tutti i luoghi diligenti esploratori di quelli che portavano lettere, per scoprire se alcuno contro allo stato loro alcuna cosa ordinasse. Occorse che a Montepulciano furono prese lettere le quali il Patriarca scriveva, sanza consenso del Pontefice, a Niccolò Piccino; le quali subito il magistrato preposto alla guerra presentò al Papa. E benché le fussero scritte con non consueti caratteri, e il senso di loro implicato in modo che non se ne potesse trarre alcuno specificato sentimento, non di meno questa oscurità, con la pratica del nimico, messe tanto sospetto nel Pontefice, che deliberò di assicurarsene, e la cura di questa impresa ad Antonio Rido da Padova, il quale era alla guardia del castello di Roma preposto, dette. Costui, come ebbe la commissione, parato ad ubbidire, che venisse la occasione aspettava. Aveva il Patriarca deliberato passare in Toscana; e volendo il dì seguente partire di Roma significò al Castellano che la mattina fusse sopra il ponte del castello, perché, passando, gli voleva di alcuna cosa ragionare. Parve ad Antonio che la occasione fusse venuta; e ordinò a’ suoi quello dovessero fare; e al tempo aspettò il Patriarca sopra il ponte che, propinquo alla rocca, per fortezza di quella si può, secondo la necessità, levare e porre. E come il Patriarca fu sopra quello, avendolo prima con il ragionamento fermo, fece cenno a’ suoi che alzassero il ponte; tanto che il Patriarca in un tratto si trovò, di comandatore di eserciti, prigione di uno castellano. Le genti che erano seco prima romoreggiorono; di poi, intesa la volontà del Papa, si quietorono. Ma il Castellano confortando con umane parole il Patriarca, e dandogli speranza di bene, gli rispose che gli uomini grandi non si pigliavano per lasciargli, e quelli che meritavano di essere presi, non meritavano di essere lasciati. E così poco di poi morì in carcere; e il Papa alle sue genti Lodovico patriarca di Aquileia prepose. E non avendo mai voluto per lo adietro nelle guerre della lega e del Duca implicarsi, fu allora contento intervenirvi; e promisse essere presto per la difesa di Toscana, con quattro mila cavagli e dumila fanti.