Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 23

Libro quinto

Capitolo 23

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Vinta per tanto felicemente da il Conte la prima fatica, di aver libera dallo assedio Verona, restava la seconda, di soccorrere Brescia. È questa città in modo propinqua al lago di Garda che, benché la fusse assediata per terra, sempre per via del lago se le potrebbe sumministrare vettovaglie. Questo era stato cagione che il Duca si era fatto forte in sul lago e nel principio delle vittorie sue aveva occupate tutte quelle terre che, mediante il lago, potevano a Brescia porgere aiuto. I Viniziani ancora vi avevano galee; ma a combattere con le genti del Duca non erano bastanti. Giudicò per tanto il Conte necessario dare favore con le genti di terra alla armata viniziana, perché sperava che facilmente si potessino acquistare quelle terre che tenevono affamata Brescia. Pose il campo per tanto a Bardolino, castello posto in sul lago, sperando, avuto quello, che gli altri si arrendessero. Fu la fortuna al Conte in questa impresa nimica, perché delle sue genti buona parte ammalorono, talmente che il Conte, lasciata la impresa, ne andò a Zevio, castello veronese, luogo abbondevole e sano. Niccolò, veduto che il Conte si era ritirato, per non mancare alla occasione che gli pareva avere di potersi insignorire del lago, lasciò il campo suo a Vegasio, e con gente eletta n’andò al lago, e con grande impeto e maggiore furia assaltò l’armata viniziana, e quasi tutta la prese. Per questa vittoria poche castella restorono del lago che a Niccolò non si arrendessero. I Viniziani, sbigottiti di questa perdita, e per questo temendo che i Bresciani non si dessero, sollecitavano il Conte con nunzi e con lettere al soccorso di quella. E veduto il Conte come per il lago la speranza del soccorrerla era mancata, e che per la campagna era impossibile per le fosse, bastie e altri impedimenti ordinati da Niccolò, intra i quali entrando con uno esercito nimico allo incontro si andava ad una manifesta perdita, deliberò come la via de’ monti gli aveva fatto salvare Verona, così gli facesse soccorrere Brescia. Fatto adunque il Conte questo disegno, partì da Zevio e per Val d’Acri n’andò al lago di Santo Andrea, e venne a Torboli e Peneda in sul lago di Garda. Di quivi n’andò a Tenna, dove pose il campo, perché, a volere passare a Brescia, era lo occupare questo castello necessario. Niccolò, intesi i consigli del Conte, condusse lo esercito suo a Peschiera; di poi con il marchese di Mantova e alquante delle sue più elette genti, andò ad incontrare il Conte; e venuti alla zuffa, Niccolò fu rotto, e le sue genti sbaragliate; delle quali parte ne furono prese, parte allo esercito, e parte all’armata si rifuggirono. Niccolò si ridusse in Tenna; e venuta la notte, pensò che, se gli aspettava in quello luogo il giorno, non poteva campare di non venire nelle mani del nimico; e per fuggire uno certo pericolo, ne tentò uno dubio. Aveva Niccolò seco, di tanti suoi, uno solo servidore, di nazione tedesco, fortissimo del corpo, e a lui sempre stato fedelissimo. A costui persuase Niccolò che messolo in uno sacco, se lo ponessi in spalla e, come se portassi arnesi del suo padrone, lo conducesse in luogo securo. Era il campo intorno a Tenna, ma per la vittoria avuta il giorno, sanza guardia e sanza ordine alcuno; di modo che al Tedesco fu facile salvare il suo signore, perché, levatoselo in spalla, vestito come saccomanno, passò per tutto il campo sanza alcuno impedimento, tanto che salvo alle sue genti lo condusse.