Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 19

Libro quinto

Capitolo 19

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Non di meno la guerra di Lombardia cresceva; e i Viniziani ogni dì perdevano nuove terre; e tutte le armate che eglino avevano messe per quelle fiumare erano state dalle genti ducali vinte, il paese di Verona e di Brescia tutto occupato, e quelle due terre in modo strette, che poco tempo potevono, secondo la comune opinione, mantenersi; il marchese di Mantova, il quale era molti anni stato della loro repubblica condottiere, fuora d’ogni loro credenza gli aveva abbandonati ed erasi accostato al Duca: tanto che quello che nel principio della guerra non lasciò loro fare la superbia, fece loro fare, nel progresso di quella, la paura. Perché, cognosciuto non avere altro rimedio che l’amicizia de’ Fiorentini e del Conte, cominciorono a domandarla; benché vergognosamente e pieni di sospetto, perché temevono che i Fiorentini non facessino a loro quella risposta che da loro avevono nella impresa di Lucca e nelle cose del Conte ricevuta. Ma gli trovorono più facili che non speravano e che per li portamenti loro non avevono meritato: tanto più potette in ne’ Fiorentini l’odio dello antico nimico, che della vecchia e consueta amicizia lo sdegno. E avendo più tempo innanzi cognosciuto la necessità nella quale dovevano venire i Viniziani, avevano dimostro al Conte come la rovina di quelli sarebbe la rovina sua, e come egli s’ingannava se credeva che il duca Filippo lo stimasse più nella buona che nella cattiva fortuna, e come la cagione per che gli aveva promessa la figliuola era la paura aveva di lui. E perché quelle cose che la necessità fa promettere fa ancora osservare, era necessario che mantenessi il Duca in quella necessità; il che sanza la grandezza de’ Viniziani non si poteva fare. Per tanto egli doveva pensare che, se i Viniziani fussino constretti ad abbandonare lo stato di terra, gli mancherieno non solamente quelli commodi che da loro egli poteva trarre ma tutti quelli ancora che da altri, per paura di loro, egli potessi avere. E se considerava bene gli stati di Italia, vedrebbe quale essere povero, quale suo nimico: né i Fiorentini soli erano, come egli più volte aveva detto, suffizienti a mantenerlo; sì che per lui da ogni parte si vedeva farsi il mantenere potenti in terra i Viniziani. Queste persuasioni, aggiunto allo odio aveva concetto il Conte con il Duca, per parergli essere stato in quel parentado sbeffato lo feciono acconsentire allo accordo: né per ciò si volle per allora obligare a passare il fiume del Po. I quali accordi di febraio, nel 1438, si fermorono: dove i Viniziani a’ duo terzi, i Fiorentini al terzo della spesa concorsono; e ciascheduno si obligò, a sue spese, gli stati che il Conte aveva nella Marca a difendere. Né fu la lega a queste forze contenta; perché a quelle il signore di Faenza, i figliuoli di messer Pandolfo Malatesti da Rimino e Pietrogiampaulo Orsino aggiunsono; e benché con promesse grandi il marchese di Mantova tentassero, non di meno dall’amicizia e stipendi del Duca rimuovere non lo posserono; e il signore di Faenza, poi che la lega ebbe ferma la sua condotta, trovando migliori patti, si rivolse al Duca; il che tolse la speranza alla lega di potere presto espedire le cose di Romagna.