Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 29

Libro quarto

Capitolo 29

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È nella torre del Palagio uno luogo, tanto grande quanto patisce lo spazio di quella, chiamato l’Alberghettino; nel quale fu rinchiuso Cosimo, e dato in guardia a Federigo Malavolti. Dal quale luogo sentendo Cosimo fare il parlamento, e il romore delle armi che in Piazza si faceva, e il sonare spesso a balia, stava con sospetto della sua vita; ma più ancora temeva che estraordinariamente i particulari nimici lo facessero morire. Per questo si asteneva dal cibo tanto che, in quattro giorni, non aveva voluto mangiare altro che un poco di pane. Della qual cosa accorgendosi Federigo, gli disse: - Tu dubiti, Cosimo di non essere avvelenato; e fai te morire di fame, e poco onore a me, credendo che io volessi tenere le mani ad una simile scelleratezza. Io non credo che tu abbia a perdere la vita: tanti amici hai in Palagio e fuori; ma quando pure avessi a perderla, vivi securo che piglieranno altri modi che usare me per ministro a tortela, perché io non voglio bruttarmi le mani nel sangue di alcuno e massime del tuo, che non mi offendesti mai. Sta’ per tanto di buona voglia prendi il cibo, e mantienti vivo agli amici e alla patria. E perché con maggiore fidanza possa farlo, io voglio delle cose tue medesime mangiare teco -. Queste parole tutto confortorono Cosimo; e con le lagrime agli occhi abbracciò e baciò Federigo, e con vive ed efficaci parole ringraziò quello di sì piatoso e amorevole officio, offerendo essernegli gratissimo, se mai dalla fortuna gliene fusse data occasione. Sendo adunque Cosimo alquanto riconfortato, e disputandosi il caso suo intra i cittadini, occorse che Federigo, per darli piacere, condusse a cena seco uno familiare del Gonfaloniere, chiamato il Farganaccio, uomo sollazzevole e faceto. E avendo quasi che cenato, Cosimo, che pensò valersi della venuta di costui, perché benissimo lo cognosceva, accennò Federigo che si partisse. Il quale, intendendo la cagione, finse di andare per cose che mancassero a fornire la cena; e lasciati quelli soli, Cosimo, dopo alquante amorevoli parole usate al Farganaccio, gli dette uno contrasegno, e gli impose che andasse allo Spedalingo di Santa Maria Nuova per mille cento ducati: cento ne prendesse per sé, e mille ne portasse al Gonfaloniere; e pregasse quello che, presa onesta occasione, gli venisse a parlare. Accettò costui la commissione: i denari furono pagati; donde Bernardo ne diventò più umano: e ne seguì che Cosimo fu confinato a Padova, contro alla voglia di messer Rinaldo, che lo voleva spegnere. Fu ancora confinato Averardo e molti della casa de’ Medici; e con quelli, Puccio e Giovanni Pucci. E per sbigottire quelli che erano male contenti dello esilio di Cosimo, dettono balia agli Otto di guardia e al Capitano del popolo. Dopo le quali deliberazioni, Cosimo, a’ dì 3 di ottobre, nel 1433, venne davanti a’ Signori, da’ quali gli fu denunziato il confine, confortandolo allo ubbidire, quando e’ non volesse che più aspramente contro a’ suoi beni e contro a lui si procedesse. Accettò Cosimo con vista allegra il confine, affermando che dovunque quella Signoria lo mandasse era per stare volentieri. Pregava bene che, poi gli aveva conservata la vita, gliene difendesse; perché sentiva essere in Piazza molti che desideravano il sangue suo. Offerse di poi, in qualunque luogo dove fusse, alla città, al popolo e a Loro Signorie sé e le sustanze sue. Fu da il Gonfalonieri confortato, e tanto ritenuto in Palagio che venisse la notte. Di poi lo condusse in casa sua, e fattolo cenare seco, da molti armati lo fece accompagnare a’ confini. Fu, dovunque passò, ricevuto Cosimo onorevolmente, e da’ Viniziani publicamente vicitato, e non come sbandito, ma come posto in supremo grado, onorato.