Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 14

Libro quarto

Capitolo 14

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Era durata questa guerra da il ’22 al 27, ed erano stracchi i cittadini di Firenze delle gravezze poste infino allora, in modo che si accordorono a rinnovarle. E perché le fussero uguali secondo le ricchezze, si provide che le si ponessero a’ beni, e che quello che aveva cento fiorini di valsente ne avesse un mezzo di gravezza. Avendola pertanto a distribuire la legge, e non gli uomini, venne ad aggravare assai i cittadini potenti, e avanti che la si deliberassi era disfavorita da loro. Solo Giovanni de’ Medici apertamente la lodava; tanto che la si ottenne. E perché nel distribuirla si aggregavano i beni di ciascuno, il che i Fiorentini dicono accatastare, si chiamò questa gravezza catasto. Questo modo pose, in parte, regola alla tirannide de’ potenti; perché non potevano battere i minori e fargli con le minacce ne’ Consigli tacere, come potevano prima. Era adunque questa gravezza dall’universale accettata e da’ potenti con dispiacere grandissimo ricevuta. Ma come accade che mai gli uomini non si sodisfanno, e avuta una cosa, non vi si contentando dentro, ne desiderano un’altra, il popolo, non contento alla ugualità della gravezza che dalla legge nasceva, domandava che si riandassero i tempi passati, e che si vedesse quello che i potenti, secondo il catasto, avevano pagato meno, e si facessero pagare tanto che gli andassero a ragguaglio di coloro che, per pagare quello che non dovevano, avevano vendute le loro possessioni. Questa domanda, molto più che il catasto, spaventò gli uomini grandi; e per difendersene non cessavano di dannarlo, affermando quello essere ingiustissimo, per essersi posto ancora sopra i beni mobili, i quali oggi si posseggono e domani si perdono; e che sono, oltra di questo, molte persone che hanno danari occulti, che il catasto non può ritrovare. A che aggiugnevano che coloro che, per governare la republica, lasciavano le loro faccende dovevano essere meno carichi da quella, dovendole bastare che con la persona si affaticassero, e che non era giusto che la città si godesse la roba e la industria loro, e degli altri solo i danari. Gli altri, a chi il catasto piaceva, rispondevano che, se i beni mobili variano, e possono ancora variare le gravezze, e con il variarle spesso si può a quello inconveniente rimediare; e di quelli che hanno danari occulti non era necessario tenere conto, perché quegli danari che non fruttono non è ragionevole che paghino, e fruttando conviene che si scuoprino; e se non piaceva loro durare fatica per la republica, lasciassilla da parte e non se ne travagliassino, perché la troverrebbe de’ cittadini amorevoli, a’ quali non parrebbe difficile aiutarla di danari e di consiglio; e che sono tanti i commodi e gli onori che si tira dreto il governo, che doverebbero bastare loro, sanza volere non participare de’ carichi. Ma il male stava dove e’ non dicevano; perché doleva loro non potere più muovere una guerra sanza loro danno, avendo a concorrere alle spese come gli altri; e se questo modo si fusse trovato prima, non si sarebbe fatta la guerra con il re Ladislao, né ora si farebbe questa con il duca Filippo; le quali si erano fatte per riempiere i cittadini, e non per necessità. Questi umori mossi erano quietati da Giovanni de’ Medici, mostrando che non era bene riandare le cose passate, ma sì bene provedere alle future; e se le gravezze per lo adietro erano state ingiuste, ringraziare Iddio poi che si era trovato il modo a farle giuste e volere che questo modo servisse a riunire, non a dividere la città, come sarebbe quando si ricercasse le imposte passate, e farle ragguagliare con le presenti; e che chi è contento di una mezzana vittoria sempre ne farà meglio, perché quelli che vogliono sopravincere spesso perdono. E con simili parole quietò questi umori, e fece che del ragguaglio non si ragionasse.