Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 35

Libro ottavo

Capitolo 35

../Capitolo 34 ../Capitolo 36 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

Libro ottavo - Capitolo 34 Libro ottavo - Capitolo 36

A questo tumulto di Romagna un altro in quella provincia, non di minore momento, se ne aggiunse. Aveva Galeotto, signore di Faenza, per moglie la figliuola di messer Giovanni Bentivogli, principe in Bologna. Costei, o per gelosia, o per essere male dal marito trattata, o per sua cattiva natura, aveva in odio il suo marito; e in tanto procedé con lo odiarlo, che la deliberò di torgli lo stato e la vita. E simulata certa sua infirmità, si pose nel letto; dove ordinò che, venendo Galeotto a vicitarla, fusse da certi suoi confidenti i quali a quello effetto aveva in camera nascosti, morto. Aveva costei di questo suo pensiero fatto partecipe il padre, il quale sperava, dopo che fusse morto il genero, divenire signore di Faenza. Venuto per tanto il tempo destinato a questo omicidio, entrò Galeotto in camera della moglie, secondo la sua consuetudine, e stato seco alquanto a ragionare, uscirono de’ luoghi segreti della camera gli ucciditori suoi, i quali, sanza che vi potesse fare rimedio, lo ammazzorono. Fu, dopo la costui morte, il romore grande: la moglie, con uno suo piccolo figliuolo detto Astorre, si fuggì nella rocca; il popolo prese le armi; messer Giovanni Bentivogli, insieme con uno Bergamino, condottieri del duca di Milano, prima preparatosi con assai armati, entrorono in Faenza, dove ancora era Antonio Boscoli, commissario fiorentino. E congregati in tale tumulto tutti quelli capi insieme, e parlando del governo della terra, gli uomini di Val di Lamona, che erano a quello romore popularmente corsi, mossono l’armi contro a messer Giovanni e a Bergamino, e questo ammazzorono, e quello presono prigione; e gridando il nome di Astorre e de’ Fiorentini, la città ad il loro commissario raccomandorono. Questo caso, inteso a Firenze, dispiacque assai a ciascuno, non di meno feciono messer Giovanni e la figliuola liberare, e la cura della città e di Astorre con volontà di tutto il popolo, presono. Seguirono ancora, oltre a questi, poi che le guerre principali intra i maggiori principi si composono, per molti anni, assai tumulti, in Romagna, nella Marca, e a Siena; i quali, per essere stati di poco momento, giudico essere superfluo il raccontargli. Vero è che quelli di Siena poi che il duca di Calavria dopo la guerra del ’78 se ne partì, furono più spessi; e dopo molte variazioni, che ora dominava la plebe, ora i nobili, restorono i nobili superiori: intra i quali presono più autorità che gli altri Pandolfo e Iacobo Petrucci; i quali, l’uno per prudenza, l’altro per animo, diventorono come principi di quella città.