<dc:title> Istorie dello Stato di Urbino </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Vincenzo Maria Cimarelli</dc:creator><dc:date>1642</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Istorie dello Stato di Urbino.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Istorie_dello_Stato_di_Urbino/Libro_Secondo/Trattato_Primo/Capitolo_Quinto&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20160303124517</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Istorie_dello_Stato_di_Urbino/Libro_Secondo/Trattato_Primo/Capitolo_Quinto&oldid=-20160303124517
Istorie dello Stato di Urbino - Libro Secondo, Trattato Primo, Capitolo Quinto Vincenzo Maria CimarelliIstorie dello Stato di Urbino.djvu
n questa medesima Regione, della nobil pianura Metaurense in cima, sopra le rive del famoso fiume, situata la Città di Fossambrone si trova: di cui gli Scrittori vetusti honorata memoria ne i Volumi riserbano (quantunque alcuni varijno in assegnarle il sito,) peròche da Tolomeo, & da Strabone, trà i Vilumbri vien posta. Al quale, con più veridici inchiostri, opponendosi Plinio, trà gli Umbri à punto ne i Senoni, ov’ella si trova, la descrive; mentre frà l’altre della sesta Regione d’Italia la connumera, vicino à gl’Inginini, cosi dicendo: Foro Semprionenses; Inginini, Iteramnates &c. Essa da Pelasgi (à riferir d’alcuni) fù in questo amenissimo sito edificata, frà il Torrente, che hora da paesani, San Martino s’appella, e le pietrose rive dell’accennato fiume, dal luogo nel qual hoggi rinovata si vede poco meno d’un miglio, e dall’Adriatico quindeci distante: frà colli amenissimi, che pieni di fruttiferi arbori, le facevan vaga corona; onde sopra modo per questo à Romani piacendo, da C. Sempronio Console, con Appio Claudio, dopò il trionfo di Piceno fù di muraglie munita, di superbissime fabriche ornata; & con l’aggiunta dell’antico nome che Foro chiamossi à quello di Sempronio, fù per l’innanzi Forum Sempronium, appellato da ogn’uno. E crescendo ad ogn’ora molto d’Illustri habitatori; si famosa divenne, che con le prime dell’Umbria di grandezza, & di nobiltà garreggiava: per lo che da Romani stessi, d’infiniti Privilegij fù decorata; specialmente de gli ambiti honori di Municipio: La onde in parte restando libera, con i proprij Statuti reggevasi; & in parte al Senato soggetta, delle Leggi di Numa (come in Roma i Romani) servivasi. Da quì avvenne, che in Fossambrone la libertade apprezzandosi, due Magistrati principali s’instituirono dal popolo, che sopra quella (per osservanza delle dette Leggi) la pienezza dell’autoritade tenevano; il maggiore de’ quali, di due huomini soli s’instituiva; & l’altro di dieci; quello Duomviro, e [p. 118modifica]questi dal numero di detti huomini, Decem viro chiamandosi. Al tempo de gl’Imperatori, à tale stima salse, che AUgusto per luogo della residenza de gli suoi Procuratori l’elesse, di quella Corte Ministri principalissimi; havendo loro sopra le Provincie, tutta l’Imperiale Auttorità, nell’essigenza de tributi; come nella dispositione de’ beni patrimoniali; e nel determinare de’ popoli le differenze pubbliche; secondo che dalle scritte pietre, che frà le sue rovine ritrovate si sono, manifesto appare; le quali senza lesion di caratteri, entro la nuova Città intiere si serbano. Quivi Flaminio indrizzò la Via, che da Roma tirò à Rimino; e sopra il Metauro, dove il Candiano l’incontra, eresse quel sontuoso Ponte, che le due ripe del fiume nella detta Via congiunge. Quivi da i medesimi Romani fondati furono Tempij superbi, Rocche inespugnabili, e Palaggi alteri, dove per diporto loro e i più festevoli tempi dell’Anno habitavano; come (oltre le pietre, con lettere segnate) le reliquie, che nel descritto sito hoggi si vedono, piena fede ne fanno; specialmente Colonne, pile di marmo, pezzi di corniggioni, con industria mirabili, al modo Corinto lavorati; soglie, ed archi di porte magnifiche; tavole di sacri Altari dell’istessa materia; statue picciole, e grandi, anche di brnzo huomini, e Dei rappresentanti; e le medaglie d’ogni fussibile materia d’Imperatori, Dittatori, Consoli, & infinite somiglianti cose, che l’antiche Fossambronate grandezze, in augusta, e quasi incinerita materia rappresentano: come assai bene le descrisse Leandro, ed io, che con più attentione l’hò considerate, potrei formarne ben rilevato Volume, non che in ristretto, questo discorso breve: Mà inteso, che di presente altri ne scrivono, à quelli rimettendomi, nel silentio della mia penna le lascio. Per gran corso d’Anni vissero i Fossambronati felici, godendosi gli honori non solo, che nella lor Città conferivansi: mà venivano molti nella Romana Cittadinanza ascritti, e nell’elettione de i Magistrati davano i suffragi; essendo preferiti anco alli publici officij, & à i supremi honori; secondo che si legge in alcune altre memorie, le quali nella nuova Città parimente si servano; singolarmente C. Edio Vero, come dentro il sasso eretto nella publica piazza chiaramente si vede; ove del detto si leggono gli Elogij. Al tempo che sopra i Longobardi regnò Luitprando, fù questa nobil Città dalle sue genti distrutta, con alcune altre, che nella Flaminia situate ne stavano, e poco meno che ridutta in cenere. I poveri Cittadini, che da crudel conflitto avanzarono corsero per salvarsi alli vicini Monti: Mà partito dalla Contrada il nemico Essercito, discesero à rivedere il sito funeste della Città estinta; Indi facendo non men pietosa, che generosa risolutione di raccogliere da quelle ceneri gli avanzi del fuoco, in più altro, e sicuro luogo riedificaronla: Onde alla cima del Colle, (ove hoggi è la Fortezza, Cittadella chiamata) incominciarono [p. 119modifica]l’opra, la quale in breve ridotta a fine, riempissi d’habitanti in modo, che non essendo quel sito bastevole sino alla Flaminia, anche la falda colmossi, che sta dirimpetto all’Ostro, & tuttavia il concorso de’ popoli aumentandosi, ponendo quella strada in mezo; sino alle ripe del fiume crebbero le case: Ne più oltre dilattarsi potendo, da’ medesimi sopra crebbero grand’Archi fondato, l’Anno 1292. alzossi un Ponte di finissima pietra, con Architettira meravigliosa composto, per cui le due ripe delle botteghe, le case, e de i lor Magosteri accommodarvi gli ordegni. Et essendosi ampliata di popolo, di mercanti, & di nobili; come parimente di Rocche, & di forti mura; da cui, co’l fiume, e con i colli, che la circondano, inespugnabil si rende; & insieme di aure fabriche illustrata, specialmente di Monasterij, & di Tempij, ritornò quasi nel primiero stato, & in concetto al Mondo di Cittade famosa: Onde il di lei possesso da molti si pretendeva; però che quantunque da Pipino Re di Francia, da Carlo Magno Imperatore, da Lodovico Pio, e più innanzi dal buon’Ottone fosse (oltre il dono di Costantino) alla Chiesa nuovamente donata, assai tiranni sfacciatamente tentarono impadronirsene: finalmente dalli Sommi Pontefici, l’Anno 1215. concessa in feudo ad Azzo Estense, & à gli suoi posteri, dopò varij successi il 1374. in mano capitò de’ Malatesti, da’ quali molti Anni signoreggiata essendo, fù di bellissime strutture adorna, di Rocche, & di propugnacoli munita: per lo che da molti Prencipi venne habitata per la sua bellezza, e salubrità dell’aria, non tanto da i Malatesti (finche la governarono) quanto da gli Feltreschi, & da quelli della Rovere; principalmente da Guido Ubaldo primo Feltrio, da Eleonora Gonzaga d’Urbino, il qual per l’affetto isviscerato, che à questa portava era solito sua Cittade, chiamarla. Dubitando Galeazzo Malatesta, ultimo Signore di Fossambrone di non poterlo guardare dall’insidie di Gismondo suo nipote, Signore di Rimino, il quale per la sua innata malitia, non ad altro pensava, che cacciatolo di Stato, per se occuparlo, il vendè l’Anno 1444. à Federico Feltrio prima Conte, poscia Duca d’Urbino, il quale se ben (come il Iustinopolitano nella di lui Vita racconta) ritrovasse durezza nolta ne i Cittadini, che affettionati alla casa Malatesta, più che ogni altro Signore desideravan GIsmondo: tutta fiata, con la forza, e con la prudenza stabilivvi la Signoria; in cui dopò la morte gli suoi heredi successero: fin che ne’ maschi continuò la linea; e quella mancando, passò con lo Stato d’Urbino à casa Rovere, nella persona di Francesco Maria Primo Duca d’Urbino, e ne gli suoi Discendenti, con sommo contento, per sin’all’Anno 1631. nel cui tempo morendo Francesco Maria ultimo Duca si [p. 120modifica]divolsè alla Chiesa, come à sovrana Signora sua. Grande fù l'affetto, che à questa Città il sudetto Duca portava; sicome con segni di non ordinaria benignità dimostrò sempre: singolarmente quando incominciò ad accrescerla, facendo cingerla di mura, nel modo che si vede hora; e nuove strade linearvi, con disegno di Architettura moderna. E quando non se fosse per la morte di Federico Prencipe, unico suo figliuolo, intepidito; haverebbela senza fallo resa maggiore di tutte l'altre Città dello Stato. Non solo Fossambrone, prima che da Longobardi distrutto fosse, trovossi ad infinite miserie soggetto; massimamente nelle guerre Civili, e nel passaggio d'Alarico, alla cui potenza credesi che cedesse; e nelle guerre Gotiche: Mà poi che rinovossi, nelle turbolenze communi accadè l'istesso; però che da Fanesi fù sorpreso (come accennammo quando parlossi di Fano) scamisciato di mura, e sottomesso. L'Anno poi 1432. fù da gli suoi congiurati Villani (senza essersi mai la cagione penetrata,) con tanto empito assalito, che affatto quasi rimase distrutto. E riavutosi à pena da questa grande sciagura, frà Cittadini si accese di risse inestinguibil fuoco; ne trovandosi chi rimediar vi potesse, fecero di lor stessi, co'l ferro indicibil strage: onde per molti Anni restò deplorando degli suoi principali Cittadini la infelice morte. Mà di questi tragici eventi, assai peggiore fù l'ingiusta persecutione, che l'empio Cesare Borgia alla medesima Città fece l'Anno 1502. mentre di saccheggiarla non sodisfatto, volle anche rovinarla del tutto, de' poveri Cittadini, che alla divotione del proprio lor Signore si mostraron costanti, facendo sanguinoso macello. E riunitisi questi Cittadini à pena, che dispersi andavano, venne assalita, e nuovamente disfatta, l'Anno 1517 da Lorenzin de' Medici; per modo che gran meraviglia apporta, che all'essere in cui si trova hoggi, habbia potuto venire: Onde, si come ne' miei giorni molto crescere l'hò veduta; tanto spero che illesa per un secolo conservandosi, per salire ancor sia sovra se stessa, e gloriar si possa del titolo maggiore della Contrada. Ricevè questa la fè di Giesu Christo (come si crede) al tempo de gli Apostoli, quando riceveronla Suasa, Sena, ed Ostra; E di certo si hà, che all'Evangelizar di S. Felice Vescovo di Foligno, l'Anno del Signore 203. egli affatto dal Gentilesimo si ritirasse; nel qual principio, dalla Sede Apostolica tiensi che ottenesse il Vescovo; così mi pare d'haver letto starsi nelle manuscritte Istorie dell'Arcivescovato di Ravenna signato. E di sicuro sapendosi, esser di Fossambrone il Vescovato, insieme con tre altri, da Sant'Appollinare, Discepolo di San Pietro stato eretto; di lui dunque non furono i Primi Vescovi (come altri tengono) Innocenzio, e Felicissimo, che in questa Chiesa l'Anno 495. e 500. tennero la fede. Quindi la medesima, è stata sempre, sin dalla primitiva Chiesa, [p. 121modifica]gratiata di Privilegi supremi; e perche fù suffraganea, e Coadiutrice de i Sommi Pontefici, non riconobbe altro Primate, ne Arcivescovo. Laonde gli suoi, Prelati à i Concilij, più che altri, furono sempre invitati. Quindi, al tempo di Honorio Terzo procurarono della medema i Vescovi, esser sotto l'immediata protettione de' Papi: & havendo la gratia ottenuta, vollero che nelle Bolle si autenticasse (come senza contrasto fecesi.) Hà questa Chiesa molto abondevo l'entrata, da poter sostentar i Vescovi, con la dovuta grandezza; co'l Palazzo bello, & maestrevole molto, à gli ornamenti di essa Chiesa in tutto corrispondenti. Quivi molte Reliquie insigni di gloriosi Santi riserbansi; & in particolare la Testa di S. Biagio con un dente di Sant'Apollonio; oltre i Corpi del Santo Vescovo Ildebrando, Protettore primario della Città; e del Beato Riccardo, dell'Ordine Terzo di S. Francesco. Haveva già ne' più remoti secoli una grandissima Diocese: mà aumentandosi le picciole delle vicine, e confinanti Città, molto essa fù da i Sommi Pontefici diminuita. Et essendosi dalla detta Chiesa pochi Anni adietro, con l Abata Classense di Ravenna, la Giurisdittione di cinque grosse Castella litigato; e vinta la lite, restano à questo Vescovado soggette: per lo che accresciuta la Diocese, di presente i limiti della mediocrità eccede. Grand'huomini (per quanto si legge) hà in ogni tempo questa Chiesa per suoi Patroni havuto, che illustrando loro stessi nella buontà della vita, e nelle lettere; non solo à gli Officij de' Nuncij oprati furono: mà etiandio molti assonti alla Porpora, de' quali (altri parlandone) io per abbreviar il discorso i nomi taccio. Vedonsi dentro à Fossambrone quattro cose notabili; due Palagi magnifici, che furono de i Duchi l'habitationi. Una Torre di grand'altezza. La strada maggiore, fronteggiata di varie prospettive, di case magnifiche, adornate di portici, con Architetonica dispositione variati: & un Monte della Pietà ricco, e famoso; che largamente, senza mercede, nell'imprestanza; non meno à poveri Cittadini, che Suburbani del Contado sovviene. Fur poi della Città (ove il Candiano col Metauro congiungesi) stà un delitiosissimo bosco di prati, ed'arbori tutto pieno, per lo giro di tre miglia, chiuso di muraglie, che à gran copia di Daine, e Dame il nutrimento porge, i quali à passaggieri della Flaminia in quello vedendosi giuocare in più branchi divisi, e pascersi, porgono straordinario diletto. Industriosi molto vedonsi quivi gli habitatori; peròche, oltre le solite mercancie, che nella Città ordinarie si essercitan, vi si tesseno ancora panni, cottoni, e rasse in quantità notabile, che per tutta Italia si trasportano. Si purgano cuoi d'ogni varietà di animali: & in due luoghi distinti carta in gran copia si fabrica; e per forza di cadenti acque non solo i legni, e pietre si segano, mà parimente s'ammolisce il ferro, e fondano i metalli: anzi [p. 122modifica]con le medesime da' lini, e da olive si cava l'oglio, si assodano panni & macinansi i cciori, si tira il rame fuso; e non gran tempo adietro essendovi la Zecca, parimente cuniavansi le monete. Nel suo fecondissimo Territorio, appresso un Castello, detto Sant'Hippolito, trovasi di bellissima pietra un'abbondante vena, molto à gli sontuosi edificij accommodata; e quantunque da tutti li vicini luoghi quotidianamente si cavi, più presto crescere, che diminuire si vede.
S'alza l'Artico polo à questo sito, intorno à gradi 43, e mezo; nel Zenit, à i secoli passati verticale si fè la stella Australe del piè sinistro dell'Orsa maggiore, che hore si trova in Leone, à gradi 15. e minuti 23. nella Boreal latitudine di 43 gradi, e minuti 23. laquale (per essere martial di natura) spiriti bellicosi ne i viventi sublunari influisce, e molti nella profession militare riuscirono eccellenti; come in particolare Matteo Albani, che fù Colonello invitto: Orsino, de i cui fatti gloriosi à bastanza ne parla il Tracagnotti, e molti altri, che nelle guerre (particolarmente à difesa della Patria) immortali rendendosi, alle penne de gli Scrittori han dato di ragionare materia. Non mancarono parimente gli altri, che inhabili all'armi, applicaronsi alle lettere: Onde in queste ancora fecero gran progresso; e per mezo delle Stampe lasciando al Mondo memoria del saper loro (benche morti) ne gli Annali del Cielo, e della Fama nel Tempio, di quelli sempre viveranno i nomi; de' quali se ragionar volessi, astretto sarei di farne Catalogo longo: non tacerà però questa penna d'alcuni, che furono i più famosi, come trà Leggisti Benedetto Vadi, Girolamo Giganti, Cesare Nacci, Tomaso Attij, Alessandro Ambrogini: & trà gli Artisti Vincenzo Castellani, Antonio Giganti, Lodovico Roscelli, Giacomo Pergamini, Panfilo Florimbene, & Hippolito Peruzzini. Mà più di quelli, che con lor medemi, la Cittade illustrarono, sono in Cielo Aquilino, Gemini, Donato, Magno, e Gelasio, della primitiva Chiesa martiri gloriosi; de' quali fà particolar mentione al Baronio nel suo Martirologio. E sotto Diocletiano parimente (come i sudetti della medesima Città figliuoli) multiplicarono, illustrando co'l sangue le sue grandezze, Mauritio, Urbano, Accito, Martiniano, e Vincenzo Martiri. E nei tempi più moderni, altri, che nel fondare nove Religioni, per Iddio havendo gran sudori sparsi, credesi che in premio delle fatiche loro, in Cielo regnino co' Beati; & tutti per la cara Madre loro intercedendo, ciascheduno de gli suoi fedeli habitatori, nel passaggio da questo all'altro Mondo, sente gli effetti, appresso l'istesso Dio della loro protettione.