Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XXIX

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Libro secondo - Capo XXVIII
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CAPO XXIX.

Mermeroe va a soccorrere Pietra; condizione degli assediati. — Discaccia i Romani dalle gole de’ poggi, ed il costoro duce al venir suo, abbandonato l’assedio, varca insieme coll’esercito il Fasi. — Sua entrata e sue prime cure in Pietra. — Gubaze difende ognora i passi delle montagne, e da Giustiniano riceve danaro. — Il duce persiano provede alla salvezza della città. — Grande sconfitta d’una parte delle sue truppe. — Giovanni il cappadoce di ritorno in Bizanzio, e spiegazione d’una profezia a suo riguardo.

I. Era agli estremi Pietra quando Mermeroe con tutto l’esercito persiano trapassò le frontiere dell’Iberia, dando la destra al Fasi, e guardandosi di metter piede sulle terre de’ Lazj per evitare ogni ritardo che potesse render vano il suo pronto soccorso a quella città, dove in tanto, caduta repentinamente porzione della muraglia minata, entrarono cinquanta volontarj e scelti giovani romani sotto la condotta dell’armeno Giovanni Guze, figliuolo di Tommaso (che avea per comando imperiale costruito molti forti nella Lazica, e capitanatovi l’esercito), acclamando l’imperatore Giustiniano Callinico. Riuscì tuttavia alla guarnigione di ferire Giovanni, il quale vedendosi nel cimento abbandonato dall’ [p. 272 modifica]esercito retrocedette co’ suoi cinquanta nel campo. Il comandante allora del presidio, mirane di grado, temendo perdere la città raccomandò alla truppa di stare in diligentissima guardia, e quindi partitosi venne a colloquio con Dasisteo, ed in esso promettevagli, usando parole finte e piene d’inganno, la cessione di Pietra; nè vi volle studio maggiore ad impedire che i Romani la conquistassero di forza.

II. Presentatosi frattanto Mermeroe alle gole delle montagne ed assalitivi gl’imperiali custodi ne fu vigorosamente respinto; le sue truppe non di meno ostinatissime nel volere ad ogni patto sforzarne il varco, e di continuo surrogando ai morti, dei quali contavanne oltra mille, nuovi combattenti, vittoriose da ultimo costrinsero il nemico ad una ritirata ed a campar la vita in cima de’ poggi. Ora Dasisteo al ricevere l’annunzio di sì grave sinistro levatosi immediatamente dall’assedio, e correndo all’insaputa dell’esercito al Fasi, primo il varcò; avvedutesene però le truppe subito gli furono dietro in mucchio, lasciando tutte le cose loro negli alloggiamenti. Il presidio in quella spalancò le porte e venuto di fretta al campo intraprese a saccheggiarlo. Ma i Zani quivi rimasti con fortissime grida e precipitosamente voltatisi contro de’ barbari, molti ne uccisero, e gli altri inseguironli con le spade ai reni sino alla città; di poi, spogliate eglino stessi le tende romane, ritti marciarono a Rizeo, di là ad Atene, poscia in quel dei Trapezuntii, ed in fine alle case loro.

III. Correva il nono giorno dalla partenza del romano duce quando Mermeroe coll’esercito arrivato in [p. 273 modifica]Pietra vi rinvenne per ogni presidio soli trecentocinquanta individui feriti, e cencinquanta sani e gagliardi, morti essendo gli altri tutti; ed i costoro cadaveri non si vollero durante l’assedio buttar fuori delle mura secondo il persiano costume, pago ognuno di sofirirne con prodigiosa tolleranza l’infezione, piuttostochè accrescere il coraggio dell’avversario esponendo al suo sguardo la grave lor perdita. Il duce nell’osservare tai cose ora lagrimava quegli infelici, ora scherniva la repubblica dei Romani, abbiettissima al segno di non aver potuto superare nè con arte nè per forza alcuna centocinquanta Persiani rinchiusi in una città sfasciata di muro. Quindi fece subito riparare con molta diligenza ai danni prodotti dagli scavamenti, e la mancanza di calcina e di altro materiale all’uopo fu supplita con sacchi pieni di arena, dentro cui sogliono i Persiani portare nella Colchide la vittuaglia, i quali accatastati gli uni sugli altri poterono servire di riparo. Vi lasciò inoltre una guernigione di tre mila uomini de’ più valenti, ed annona per breve tempo; dato ordine poscia di accudire senza posa ai lavori mosse indietro colla rimanente oste. Considerando però che sarebbongli venute meno le bisogna della vita se avesse ricalcato la gia battuta strada, voltossi ai monti dove era certo che il suo esercito non avrebbe a sostenere difetto alcuno. Se non che lungo la via tal Fubelio, personaggio ragguardevole presso de’ Lazj, e Dasisteo fecergli agguato, e riuscirono a predare qualche suo cavallo ne’ pascoli, mettendone in fuga i custodi. [p. 274 modifica]

IV. Gubaze intendendo la mala sorte de’ Romani sotto Pietra ed alle gole non si ritrasse punto dalle bocche del Fasi dove riposto avea intieramente le sue speranze, fermissimo nel credere che i Persiani, sebbene riusciti a conservare quella città ed a vincere il passo della montagna, non perverrebbero mai a saccheggiare la Lazica mancando loro navilio da varcare un fiume assai largo e profondo, e rapido in guisa che le sue acque scaricatesi in mare e trascorsovi lungo tratto conservano tuttavia la dolcezza loro, a tanto che valgonsene i marinari per bevanda. Hannovi inoltre sulla ripa vicin dei Lazj molti forti, per impedirne ai nemici la navigazione e lo afferrare.

V. L’imperatore Giustiniano poi aiutò i Sabiri di danaro in osservanza della convenzione, e fece doni a Gubaze ed ai Lazj, avendo a questi dapprima spedito un altro grosso esercito, non giuntovi ancora, capitanato da Recitango, uomo trace, di prudenza somma, e peritissimo nell’arte della guerra; tai cose avvennero siccome ho narrato.

VI. Mermeroe dalle montagne, ver dove lo abbandonai in cammino, forniva con ogni sollecitudine a Pietra la necessaria vittuaglia, sapendo molto scarseggiarne que’ suoi tre mila quivi restati di presidio; ma tale essendo la regione da sovvenire con difficoltà ai bisogni dell’esercito, forte di trenta mila combattenti, nè poter che ben poco aiutare i lontani, e’ giudicò miglior consiglio di ritirare dalla Colchide il più delle truppe, lasciandovene solo quante bastassero ad approvigionare discretamente l’antedetta città; fecevi pertanto [p. 275 modifica]rimanere cinque mila Persiani sotto Fabrizio e tre altri capi, estimando superfluo il guernire da vantaggio un paese dove non apparivano affatto nemici; dopo di che andossene a campo nella Persarmenia vicino a Dubio.

VII. La schiera dei cinque mila arrivata ai confini della Lazica attendossi alla riva del Fasi, e Gubaze avutane contezza scrisse a Dasisteo di tenere l’egual direzione, e di non perdere sì opportuno mezzo a scombuiarne ogni divisamento. Il duce in conformità dell’avviso marciando con tutte le truppe lungo il fiume, giunse rimpetto ai Lazj, dove era un agevole guado non meno da lui che dal nemico ignorato; bene però lo sapea Gubaze, il quale ne approfittò per venire ai Romani. Fabrizio intanto avea commesso a mille dei suoi più valorosi di correre la campagna, e d’impedire che altri s’avvicinasse al campo; e questi inviarono similmente due esploratori più lunge a scoprire paese, ma entrambi caduti in poter de’ Romani appalesarono lo stato dell’esercito reale, mercè di che Dasisteo co’ Lazj fu addosso a que’ mille e tutti li ebbe, molti uccidendone e facendo gli altri prigionieri, da quali fu candidamente manifestato il numero delle persiane truppe, la lunghezza della via ad aggiugnerle, e come si trovassero le cose loro. I Romani ed i Lazj allora, in numero di quattordici mila combattenti, mosservi contro, risoluti di sorprenderlo nel mezzo della notte. I soldati di Fabrizio intanto, persuasissimi della impossibilità di guazzare il fiume e tenendo che la vanguardia di mille si fosse molto dilungata senza perigli, stavansi tutti, franchi da ogni [p. 276 modifica]timore, in profonda quiete; rimasero perciò sopraffatti mentre che gli uni dormivano tranquillamente, gli altri erano tra la veglia ed il sonno, chi spoglio d’abiti e d’armi, e quasi dal primo all’ultimo in situazione da non potersi difendere; laonde gran numero ne fu passato a fil di spada, e il resto cadde prigioniero. Si pigliò quindi a saccheggiarne il campo, e bandiere, e danaro molto, e quantità d’armi, di somieri e di cavalli tutto fu bottino del vincjtore, che per luogo tratto nell’Iberia proseguì ad opprimere i fuggenti. Ebbevi poscia un nuovo scontro pur esso dannosissimo alle persiane truppe, le quali, di tal guisa vidersi costrette ad abbandonare affatto le terre de’ Lazj. Dasisteo e Gubaze rinvenuto di più abbondantissimo approvvigionamento di farina e di altra vittuaglia, che i barbari dell’Iberia trasportavano a Pietra, fecero abbruciare ogni cosa, e posero forte guernigione di nazionali alla gola della montagna perchè non vi passassero più commestibili a sollievo di quella città; il rimanente poi dell’esercito retrocedette col suo bottino. Ciò avvenne l’anno quarto della tregua, ed il vigesimo terzo dell’imperio di Giustiniano1.

VIII. Nell’anno precedente, morta l’imperatrice Teodora, Giovanni il Cappadoce fu richiamato a Bizanzio, dove però non gli venne concesso di tornare agli antichi suoi uffizj, dovendo vivere lieto del sacerdozio a malincorpo ricevuto. Apparizioni continue nulla di meno promettevangli l’imperiale corona, essendo artifizio solito de’ genii infernali quello di lusingare gli spiriti [p. 277 modifica]deboli colla speranza dei sommi onori; i maghi parimente avevanlo, tra le altre vane profezie, accertato che vestirebbe gli abiti di Augusto; e si potrebbe di vero dare qualche vantaggiosa interpretazione al detto loro, osservando che in Bizanzio eravi un prete di tal nome e conservatore del tesoro nel tempio di S. Sofia, i cui abiti appunto vestì Giovanni allorchè miserabilissimo di tutto venne obbligato a radersi la chioma ed a ricevere la sacra unzione: così, a parer mio, ebbe questa profezia il suo compimento.





Fine dell’Istoria delle Guerre Persiane.

Note

  1. Anni dell’era volgare 549.