Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo I
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO PRIMO.
I. Cosroe sentendo che Belisario aveva già cominciato a ricuperare l’Italia non potè rattener l’animo suo dall’escogitare motivi, se non onesti almeno tali apparentemente, per rompere i fatti accordi1, e preso ad informarne Alamandaro indusselo a favorire le sue parti. Questo re adunque senza perdere tempo accusò Areta, duce romano, di avere oltrepassato i proprj confini, e per vendetta, posto anch’egli il piede sul tener dell’imperio, sfidollo a pugnar seco, dichiarandosi per nulla obbligato alle convenzioni, non avendovi apposto il nome suo; ed era la verità, non solendo mai i Saraceni soscriversi appiè di esse, come in lega con una delle due grandi potenze. La contesa regione poi, detta Strata, giace al mezzogiorno ed in vicinanza della città di Palmira2, ed è talmente esposta agli ardori del sole che dei pascoli in fuori non offre altra risorsa all’agricoltura.
II. Se non che volendola Areta un’antichissima proprietà romana adducevane a pruova lo stesso di lei nome, significando Strata presso de’ Latini via, e la testimonianza di tutti quelli più attempati abitatori. Ma Alamandaro, dichiarata inutil cosa il quistionare sul nome, confutavalo asserendo aver egli riscosso mai sempre i tributi da coloro che vi pascolavano gli armenti.
III. Giustiniano pertanto commise le informazioni sulla controversia a due illustri personaggi, l’uno dei quali era Strategio, patrizio e prefetto del tesoro, ricco di molta prudenza, e di nobilissimi antenati, e l’altro Sunnio, condottiero delle truppe nella Palestina, e fratello di quel Giuliano spedito poco avanti ambasciadore agli Etiopi ed Omeriti3. E questi divisava che i Romani permaner dovessero nella regione, ma il primo istantemente pregava l’imperatore di non voler dare ai Persiani un pretesto di nuova guerra, com’e’ desideravano, trattandosi di sterile campagna, pochissimo estesa, e di nessun profitto; Giustiniano più volte propose la faccenda in consiglio, e lasciolla gran tempo indecisa.
IV. Cosroe intanto andava apertamente accusando l’imperatore di violazion della pace, di trame ordite contro il suo regno, e di maneggi tendenti a corrompere Alamandaro re dei Saraceni, avendovi spedito Sunnio all’oggetto di conferir seco, ed offrirgli danaro per disporlo a prendere le parti romane; e’ mostrava una lettera imperiale a bella posta diretta al Saraceno, ed altra adducevane eziandio mandata agli Unni per animarli a guastare le terre persiane, dicendola ricevuta da individui della nazione venuti al suo trono. Qui terminavano i rimprocci del re a fine di tornare in guerra coi Romani, ed io non posso fermarmi ad esporre quanta si fosse la verità loro.
Note
- ↑ Del valore e dello scaltrimento di costui Procopio ha parlato al cap. 17 del libro i.
- ↑ Lo storico Giuseppe Flavio attribuisce la fondazione di questa città a Salomone, ed il nome Tadamora datole, e tuttora conservato in quello siriaco Tadmor. Ecco poi quanto ne dice altrove il Nostro: «La Fenicia che stendesi al Libano, ha Palmira, città in addietro fondata in luogo circondato da un deserto, e collocata intanto in sito opportunissimo per tenere d’occhio le mosse de’ Saraceni nostri nemici. E di fatti fu piantata colà per vedere le improvvise incursioni di que’ barbari sulle terre dell’imperio romano». (Gli Edifizii, lib. ii, cap. 11)
- ↑ V. lib. i, cap. 20.