Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte I/Capitolo I

Capitolo I

Postura e clima di Benevento
Costume dei suoi abitanti

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Capitolo I

Postura e clima di Benevento
Costume dei suoi abitanti
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PARTE PRIMA


CAPITOLO I.


Siede Benevento sul lembo d’una ridente collina con dolce pendio inchinata a ponente. La bagnano a mezzogiorno le acque del fiume Sabato, quelle del fiume Calore a settentrione: ed entrambe confondonsi a breve distanza dell’antichissimo ponte Lebbroso, ove per tradizione si ritiene da molti che fu sconfitto il re Manfredi. Il suo perimetro è di 3500 metri, e le sue mura sono in parte costruite con frammenti di colonne, statue e marmi antichi. Essa è a 97 chilometri da Napoli, e a 278 da Roma per la strada ferrata. D’ogni intorno la circondano molte apriche colline le une alle altre soprapposte, coi versanti adorni di rari ma allegri frutteti, tra i quali biancheggiano ridenti casini, e s’aprono spianate deliziose, e pittoresche sinuosità. Bellissima poi è la valle che si dimanda del Sabato, perchè divisa nel bel mezzo dalle acque del fiume omonimo, e frastagliata da frequenti balze che or nude, or messe a coltura domestica, or dolcemente boscate, spiccandosi da piccole alture, vanno a morire sul margine quasi di quei fiume, ove l’occhio è assai ricreato dalla veduta deliziosa dei dintorni della città.

Da varii punti della campagna circostante, e specialmente dalla china del Sanfelice, traspare in mezzo alla verzura e ai frequenti rialti del suolo, il puro argento d’abbondevole [p. 12 modifica]fiumicello, che qua e là serpeggia e in ruscelletti varii corre ad irrigare gli arbusti e l’erba, e in ampio canale scende tra i pioppi, che ombrano le rive del fiume, a volgere molini. Gli altri dintorni, benchè men vaghi, non mancano di varietà di bellezze, ornati come sono di colti piani, di acque correnti, e di erbose pendici allungate fin dove in ombre turchine s’avvolgono le rimote e nude sommità dei monti Appennini, dietro cui s’asconde il sole al morire del giorno: e perciò sono dovunque le passeggiate amenissime, e pare che ben avesse dai Greci la città, a detta di autorevoli scrittori, sortito il nome di Maloentos, che suona copiosa di pascoli.

Il clima di Benevento è mite nella stagione invernale, quasi quanto quello di Napoli, e più fresco nella stagione estiva; e fu sempre giudicato salubre non solo dai nativi del paese, ma anche da quanti forestieri ebbero stanza per qualche tempo in Benevento.

L’agricoltura si mantiene in fiore in molte parti del nostro amenissimo contado, al quale fu la natura liberale di tante bellezze, e nel cui suolo, non meno ferace che variato, fa bella prova qualsiasi produzione; ma in alcuni luoghi, ove pure ammiri la lunga distesa de le irrigui convalli e delle apriche colline, di cui, direi quasi, s’inghirlanda Benevento, tranne la sola coltivazione del tabacco, che non fu mai trasandata, ogni altra industria vi è piuttosto scarsa. La causa di tale incuria non tanto deve attribuirsi alla speciale enfiteusi di Benevento, quanto ai fitti di breve durata; poichè è da natura che chiunque sa di non essere il padrone legittimo, non ha amore ai luoghi, e tira a sfruttarli. E inoltre a conseguire che sia migliorata ovunque la coltura dei nostri campi fa d’uopo vincere ancora un grande ostacolo che risiede nei pochi allettamenti che porge alla maggior parte dei nostri possidenti la vita campestre, per cui essi han quasi a vile quell’arte nobilissima

«Che fece grandi i nostri padri e gli avi»;

e per questo non arrischiano che tenui somme per la coltivazione e miglioramento delle terre; e hanno in uso di [p. 13 modifica]affidarne la cura interamente a poveri campagnuoli, i quali, astretti il più delle volte nella stagione della semina a togliere ad usura il denaro, di che han bisogno, per la coltivazione dei loro terreni, si limitano alle sole spese necessarie, rinunziando alla speranza di più copioso prodotto.

A tanto male avrebbe potuto ovviare unicamente la istituzione di una di quelle banche agricole ipotecarie, per le quali venne in fiore l’agricoltura, ovunque allignarono, dacché esse forniscono agli affittuarii con modico interesse le somme necessarie alla coltivazione dei loro poderi. E ce ne offrono luminosi esempi le banche cooperative inglesi, e quelle fondate in Alemagna da Schutre Delitzich, e le popolari di Eisleber. E non ignorasi che nella Scozia in ispecial guisa le banche agrarie tramutarono i dirupi descritti dal celebre Walter Scott, ove solo brucavano le capre, e girellava qualche pescatore, in terreni feraci, colmi d’ogni bene che, nei luoghi meglio favoriti dalla natura, la state dispensa e l’autunno. E molto pure gioverebbe che si animasse tra noi quello spirito di associazione che suol essere operatore di meraviglie anche nei paesi ai quali fu più ingrata la natura. Ed è innegabile che se i miei concittadini congiungessero a gara i piccoli capitali per compiere ardue imprese, e usassero delle correnti dei fiumi Sabato e Calore nel modo più fruttuoso che sia possibile ai bisogni del paese, Benevento, oltre i molini e le gualchiere per cave e cartiere, di cui ora non ha penuria, si vantaggerebbe in breve tempo di ferriere, conce di pelli, filatoi di cotone e di seta, e di altre industrie, lavoro e vita a migliaia di operai, e non avrebbe da invidiare qualsivoglia paese più fiorente d interno commercio.

Rispetto poi all’indole e ai costumi dei beneventani, parrebbe a prima vista che dovessero distinguersi molto da quelli dei popoli circostanti, non pure per la lunga signoria dei longobardi, ma sì veramente per il suo politico isolamento durante il corso di più secoli, e la singolare natura del suo reggimento. Ma il fatto è ben diverso, poiché per la breve distanza che ci separava dalla metropoli del reame delle due [p. 14 modifica]Sicilie, pel commercio esteso delle contermini provincie con la nostra città, — mercè l’ampissima diocesi, a cui estendevasi la giurisdizione del tribunale ecclesiastico istituito in Benevento, ove trattavansi le cause canoniche e quelle dette di misto foro, — nonchè per il Seminario, e l’affluenza dei forestieri alla nostra dogana, che non valse mai il Borbone a sviare del tutto, i nostri costumi smarrirono l’antica impronta, e ritrassero molto dell’indole e delle usanze dei napoletani.

Il dialetto beneventano fu sempre affine a quello di Napoli, ma partecipa maggiormente della lingua comune, e la sua pronunzia è più vivace ed accentuata, e sente alquanto della grazia ed energia della romana.

La nostra plebe è gaia e festante, e da niun’altra si lascia vincere nell’amore dei sollazzi, emula in ciò della plebe romana, sebbene gli artigiani siano assai operosi, quando non fa difetto ad essi il lavoro, grandemente ingegnosi, ed eccellano in ogni arte meccanica, cosicchè i loro lavori non sono da meno di quelli delle più illustri città.

Le donne poi del popolino sono d’indole lieta, di costumi piuttosto morigerate, e non mancano ai nostri giorni d’un certo grado di coltura, acquistata nelle scuole primarie, a cui convengono con trasporto: e ostentano molta devozione, ma che risiede in gran parte nell’esercizio degli atti esteriori del culto.

In quanto poi riguarda le nostre gentildonne, esse al pari delle popolane sono per lo più di carnagione che tira al bruno lievemente colorata, e di forme spigliate, d’indole vivace, riflessive, e di bei modi nel conversare, non infinte nelle amicizie, e capaci di forti e durevoli amori, purchè trovino perfetta corrispondenza negli uomini in cui posero il loro affetto. Esse trascorrono liete le intere giornate nel lavoro, e alla parsimonia domestica e al buon governo della casa si studiano di congiungere una certa eleganza nel vestiree in tutti gli usi della vita.

I nostri gentiluomini sono per lo più robusti ed aitanti della persona, di belle forme, d’ingegno facile ed arguto, animosi non poco e di maniere cortesi.

[p. 15 modifica]Il patriziato beneventano è ora ridotto a poche famiglie. E un tal fatto non fu solo opera del tempo, ma è una conseguenza del sistema invalso nella nobiltà che il primonato solo doveva farsi marito, conculcando, mercè un avanzo di leggi feudali, come era quella dei fidecommessi, i più sacri istinti della natura. E io porto opinione che l’estinguersi di tante famiglie patrizie sia ridondato in danno di Benevento; poichè sebbene io sia avverso al borioso e ignorante patriziato, il quale non è che volgo, niuno ignora però che il patriziato italiano, il quale ci venne primamente rozzo e ignorante dalla Germania, col promuovere in seguito le più nobili istituzioni, e coltivare e favorire i buoni studii, si acquistò alta reputazione appo tutte le classi sociali, e fu una gloria d’Italia; ed anche il patriziato beneventano, allorchè fu piú numeroso, partecipò non poco alla coltura del patriziato napoletano, e illustrò in più modi il suo nativo paese.

E infine, per ciò che concerne i pregiudizii del nostro popolo, di cui suona bugiarda la voce in tante parti d’Italia, io credo che in Benevento essi siano minori che in altri luoghi, per non dire che non esistano punto, poichè niuno, che io sappia, presta fede alle malie, alla iettatura ed alle streghe: errore popolare di altri tempi, alimentato da un gran numero di scrittori di tutti gli stati d’Italia che trattarono di tali fole ora per celia ed ora appensatamente.1

Laonde, a raccogliere in poche parole le cose dette innanzi, bisogna ritenere che Benevento, atteso la sua favorevole postura, e le incantevoli adiacenze ricchissime di agricoli prodotti, la proprietà assai bene scompartita tra le diverse classi, nonchè l’ingegno e la coltura de’ suoi abitanti, non ha da invidiare qualunque altra città dell’Italia meridionale.

Note

  1. Vedi la mia opera: I pregiudizi del Popolo