Interviste dal libro "TUTUCH (Uccello tuono)"/Intervista a Lillian McGregor

Intervista a Lillian McGregor

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Intervista a Lyberth Awgaangar Intervista a Monica McKay

Il mio nome è Anna, perché i missionari, quando vennero, ci misero questi nomi cristiani, perciò abbiamo tali nomi, ma i nostri nomi nativi sono completamente differenti. Sono nata il 27 marzo 1924, in una riserva. Ho frequentato la scuola lì fino alla classe ottava e poi sono venuta a Toronto e ho frequentato la scuola per infermieri e mi sono diplomata infermiera. Ho vissuto in una città, ma le mie idee, i miei sentimenti sono sicuramente quelli dei miei primi dieci anni di vita nella riserva. Mi sono data molto da fare per la mia communità persino quando sono venuta a Toronto, e già c’erano alcuni membri della mia comunità qui.

1. Per la sua tradizione culturale la vita è un dono o una punizione?

Nella mia cultura la vita è un dono, un dono molto sacro, che ci è stato fatto. Non la consideriamo affatto una punizione. Per noi la vita è un dono, e questo insegnamo ai nostri figli.

In questa università ho la possibilità di parlare della vita con gli studenti che mi vengono a far visita, e di come prendersi cura del dono che ci è stato fatto. Tuttavia, mi preme incoraggiare alcuni di loro a tornare al passato e agli insegnamenti che avevamo, e dico “insegnamenti” perché si trattava di trasmissione orale, non c’era una lingua scritta. Penso che lei abbia sentito dire che dal 1900 abbiamo cominciato a scrivere, ma in realtà erano i missionari che scrivevano, noi non lo facevamo: per noi quelle parole scritte erano senza significato. In modo particolare ci riferiamo ai missionari, perché essi vennero nelle nostre riserve per insegnarci che c’era, come dire: il Creatore. Ma adesso che ho settant’anni seguo solo gli insegnamenti che mi ricordo di mio nonno, non ricordo i bisnonni, ma mi ricordo molto bene dei nonni di entrambi i lati della parentela.

Circa la storia della creazione devo dire che la nostra Bibbia comincia prima della Genesi della vostra Bibbia. Non sappiamo se ci fosse un Dio, noi diciamo soltanto il Creatore, perché la parola che noi usiamo significa Creatore, Grande Spirito: non lo vediamo e non abbiamo parlato con nessuno.

A volte molte persone dicono: <<Come può parlare di Grande Spirito?>>. Noi diciamo Grande Spirito, perché c’è spirito intorno a noi, alcuni dicono “forze”, ma nella tradizione Ojibway noi diciamo Grande Spirito per riferirci al cielo, alla terra, alle stelle, alla luna, ai fiori, alle nuvole, all’universo nella sua totalità, tutto ciò che è stato creato. Non sappiamo come è cominciato, e quando ci fu insegnata la religione cattolica raccontavamo quella stupida storia da schiavi: <<Dio ha creato il mondo in sette giorni>>! Noi non lo sappiamo questo, come possono saperlo loro? Perciò, noi diciamo che il Grande Spirito è lì. È con noi, è là sopra, è intorno e sotto di noi. Dunque, quando lei mi chiede della storia della creazione, è una domanda davvero molto difficile, perché non tutte le popolazioni indigene credono alla medesima storia. Se lei va nella parte occidentale del Canada sentirà versioni diverse della storia della creazione, ma tutte hanno la stessa base, esse affermano che la creazione riguarda tutto l’universo, non è solo la piccola terra che noi abbiamo qui, è tutto ciò che ci circonda. Ma certo noi siamo definiti “selvaggi”, perché crediamo in qualche altro Spirito che sta lassù. Noi consideriamo gli animali e le piante come fratelli e sorelle, che sono stati creati per essere offerti a noi come aiuto.

2. Perché siamo qui: per lottarci o per aiutarci?

Non c’è mai un solo motivo per lottare, ma probabilmente c’è un misto: siamo stati colonizzati, ci sono state trasmesse tutte queste altre informazioni, e sono stati divisi i popoli. È successo così, in ogni angolo della terra le cose vanno così. Abbiamo la nostra medicina, e i nostri insegnamenti. E la medicina non è un processo di guarigione fisica, ma spirituale, emotivo e mentale. Ci serviamo del sole, seguiamo il percorso del sole, sappiamo che il sole si alza al mattino, noi usiamo il cerchio ogni giorno, abbiamo sempre saputo che il mondo è rotondo, sappiamo che viviamo insieme in circolo, per cui ognuno aiuta un altro. Ci si curava dei bambini, poi dei ragazzi, poi degli adulti, poi dei nonni: questo è il nostro circolo, esso aveva quattro forme, e noi man mano ci modifichiamo nel percorso della vita e completiamo il cerchio. Probabilmente lei potrà sperimentare un altro insegnamento, secondo cui noi dobbiamo aiutare tutti coloro che fanno parte del cerchio. Dobbiamo ricordare che gli alberi che vivono sulla terra, il pesce che vive nell’acqua, ogni creatura è qui per una ragione, e tutto ci ricorda che dobbiamo vivere in buoni rapporti. Un’aquila non canta come un usignolo, sono stati creati separati, ma hanno imparato a convivere: li vede lottare, o discutere, o fare altro? Non mi piace il termine “lottare”, perché è qualcosa di veramente brutto. Tuttavia, vi furono piccole schermaglie tra alcune Nazioni, forse quelle ad oriente avrebbero voluto un altro territorio. Ma in questo caso avrebbero sviluppato il commercio e le trattative con quelle popolazioni. Se ripercorrerà la nostra storia fino a quel tempo, si renderà conto del fatto che alcune delle nostre tribù si odiavano, ma di solito ciò accadeva per il cibo, per la sopravvivenza.

3. Che significa per lei la parola “capo”?

La parola “capo” non veniva usata nella nostra lingua. Sono sicurissima che la parola che abbiamo significa “colui che guida il popolo”. La parola “capo” proviene dall’Atto per gli Indiani, che è stato scritto per specificare che gli Indiani avrebbero dovuto vivere nelle riserve. Pertanto, gli Indiani decisero che ogni volta che il popolo voleva che una persona facesse il leader, questa sarebbe stata chiamata capo. In nessuna delle tribù sul territorio canadese esiste una simile parola, è stata introdotta dal governo.

4. Quali sono le sue responsabilità?

Nei tempi antichi vivevano nei villaggi, e a volte non stavano tutti nel villaggio, a causa delle stagioni che abbiamo in Canada. Probabilmente in agosto si spostavano nei territori a sud, che erano caldi e potevano coltivarli, e in autunno andavano a nord per raccogliere il riso, per uccidere le anatre, gli animali più grossi, i pesci. A quel tempo gli uomini andavano a caccia e le donne si prendevano cura della casa.

5. Che tipo di organizzazione sociale avete?

Ai nostri giorni, forse anche duecento anni fa (sono in grado di ricordare attraverso ciò che mi diceva mio nonno) le donne erano i leader, perché esse erano i leader dei clan: gli uomini erano fuori a caccia, per la sopravvivenza, per cui rimanevano le donne. La donna capo, questa era la carica in ojibway.

6. Qual è il ruolo della donna nella vita del gruppo? Chi si occupa dell’educazione dei figli?

Andrò indietro con la memoria e cercherò di rivedere mia madre e le altre donne nella loro vita quotidiana nella riserva. Come le ho già detto, vivevamo nei villaggi, perché eravamo stati messi lì dal governo. Questo è il mio ricordo più antico, di quasi duecento anni fa! Per quanto riesco a ricordare a quel tempo non c’erano nomi per indicare le famiglie, i bambini, come per esempio ragazzi, adulti, vecchi: tutto ruotava intorno alla famiglia, di cui ognuno faceva parte e bastava chiedere informazioni alla propria zia, che faceva parte del mondo degli adulti. Negli ultimi trent’anni questo modo di vivere è andato del tutto smarrito. Il bambino che nasce oggi ha la madre che lavora, la nonna che lavora: come lo potranno cullare, non lo fanno più. Non c’è più una grande famiglia, come prima. Siamo caduti vittime della cultuta dei bianchi e i bambini nascono negli ospedali, non a casa. Quando dico famiglia intendo dire il padre, la madre, le zie, gli zii, i cugini, i nonni: non si lasciava mai uno di loro al di fuori della famiglia. Non abitavamo nella stessa casa, ma eravamo abituati ad aiutarci in molti modi. Poiché volevamo tramandare la nostra spiritualità ai giovani, prima di mangiare quando c’erano delle feste per le danze, o un matrimonio, o una nascita, o un funerale recitavamo delle preghiere. A tale scopo c’era sempre una persona anziana, che chiamiamo nonno.

Quando una madre muore (sa, questo è successo a mio zio), noi ci occupiamo dei bambini, ogni membro della comunità aiuta. Quei bambini furono cresciuti fino al momento di andare a scuola: ogni donna andava a prendersi cura di un bambino per un giorno o una settimana. Di solito il padre e la madre si prendevano cura dei loro figli e se erano occupati, dicevano: <<Perché non vai a visitare il nonno, egli ti mostrerà come fare una trappola o qualche altra cosa per sopravvivere>>. Come donna bisognava imparare a fare anche questo. Noi mettevamo delle trappole per prendere i conigli, ci insegnavano a pescare attraverso il ghiaccio, da una barca sull’acqua, ci insegnavano: <<Prendiamo solo quanto ci occorre>>! Non avevamo il freezer per conservare, perciò quando un uomo uccideva un grosso animale, un cervo o un alce, tuttle le altre donne e gli uomini venivano chiamati, e cominciavano a pulire tutta quella carne: non si buttava via nulla, usavano tutto. Poi dividevano tra di loro.

7. Cosa può dirmi circa la proprietà? Mi spiego: come venivano distribuiti i beni tra i membri del gruppo?

Mi faccia andare indietro con la mente di nuovo. Questa era la nostra terra e quando ci colonizzarono la terra fu divisa e gruppi differenti furono messi nelle riserve: non possediamo quella terra, viviamo su di essa, non ci permisero di comprarla: fummo solo messi lì. Questo è un affare politico. Perché non abbiamo proprietà terriera? ==== Mio padre costruì la sua casa, costruì una casa lunga prima del suo matrimonio e quella casa c’è ancora nella riserva di cui le ho parlato. Fu costruita solo sulla base della parola (senza contratti), e sulla parola ci si prendeva cura anche degli anziani, o dei malati: ci prendevamo cura dei genitori a casa, non venivano strappati via per metterli negli ospizi, ci prendevamo cura delle zie e degli zii. Era naturale vederli seduti nella casa. Dopo l’Atto degli Indiani non è più così, ma una volta chi si prendeva cura di un anziano poteva avere la sua casa. Vivevano così: se qualcuno aveva bisogno di soldi e tu avevi i soldi nella casa, l’altro ne prendeva un po’. Non c’erano banche né transazioni.

Prima lei stava parlando di gioielli. Ebbene, se possedevano dei gioielli, quando morivano venivano lasciati addosso a loro. Oppure prima di morire la persona diceva: <<Puoi prendere il mio anello>>, e te lo dava. Mia madre mi dette la sua collana, e noi l’abbiamo regalata senza chiedere soldi in cambio. Ma non si fa più così. Nella mia famiglia siamo tre sorelle ed un fratello. Questi morì per curare mia madre, quindi gli spettava la casa. Non avendo trovato nessuna carta che diceva a chi dovesse andare la proprietà, questa è andata a suo figlio che vive nella Columbia Britannica (mio fratello aveva divorziato). Noi, le tre sorelle sopravvissute, non abbiamo potuto avere accesso alla casa.

9. Qual è il suo massimo dovere?

Come ho detto, vivo nelle grandi città da quando avevo quindici anni, ma avevo molto da fare con le persone che dovevano uscire dalla loro comunità per guadagnarsi da vivere. Le nostre riserve non hanno niente, solo case, e il governo non dà finanziamenti. In passsato c’erano alcuni negozi, ma ora non c’è niente, tranne in quelle davvero grandi.

Quando venni a Toronto mio padre mi disse: <<Devi farti un’educazione, perché così va il mondo adesso. Devi andare a scuola e imparare a fare qualcosa>>. Mio padre e mia madre avevano frequentato entrambi le scuole residenziali, perciò davvero mi instillarono tale idea e dopo l’ottava mio padre mi chiese cosa volevo fare, se andare a scuola o sposarmi. Fui la prima ad andare fuori dalla mia riserva, e ho lavorato come infermiera. La sorella più grande fu l’unica a sposarsi nella riserva, ma la maggior parte di noi andò a scuola a Toronto. Quando venni a Toronto i bianchi mi aiutarono, lo fecero con la mia generazione. All’inizio ci incotravamo giù in città una volta alla settimana, poi fondammo dei club per stare insieme.

Prima della colonizzazione non c’erano nomi come Elena o Anna. Avevamo nomi indigeni, come Primavera, magari per essere nata a marzo. Ho una sorella più piccola che fu chiamata Rosa Selvaggia in ojibway, o lo ricavavano dal tuono, dal pesce, dalle nuvole, o dal fatto che ci fosse un temporale, o se stava piovendo al momento della nascita. Il bambino avrebbe avuto il suo nome nel corso dell’anno, non gli veniva dato un nome entro tre giorni come succede con la religione cattolica. Quando i preti chiedevano il nome, i nostri genitori dicevano: <<No, noi dobbiamo osservare il bambino, dobbiamo sapere quale spirito c’è in lui>>. Tutte le mie coetanee, e anche le persone della generazione successiva, hanno ancora questi nomi. Poi la tradizione si interruppe e ci fu un miscuglio, ma ora sta diventando di nuovo forte. Fino all’età di dieci anni i bambini parlano ojibway non inglese. Il dialetto ojibway è prevalente, segue quello dei Cree.

8. Come punite i colpevoli?

Siamo cambiati molto nel corso di un centinaio di anni, come ho detto. So che negli ultimi cinque anni alcune tribù, sparse nel territorio canadese, attraverso il voto stanno scegliendo di mettere in pratica il loro sistema di giustizia con le loro popolazioni: si recano in corte e dicono di voler fare a modo loro. So che in Manitoba questo capita spesso.

In passato erano gli anziani a decidere le punizioni, l’allontanamento, o altro. So che di regola li mandavano via o li mettevano su qualche isola, o in qualche terra impervia senza farli uscire di là per un anno, un anno o sei mesi: per chi uccideva una persona era un anno, non dieci anni o più. Qualcuno andava a portargli cibo o qualcosa di cui poteva avere bisogno, ma doveva sopravvire là. Se un ragazzo rubava qualcosa, diciamo le patate da un giardino, gli avrebbero detto di andare dai nonni, non l’avrebbero punito. Era compito del nonno dire al ragazzo: <<Il prossimo inverno raccoglierai le patate dal tuo giardino e le darai a quelle persone alle quali hai rubato>>. Così doveva lavorare molto, per piantarle e tutto il resto. Sono convinta che questo era un buon modo di risolvere le cose, perché non accumulavano tutti i problemi all’interno della famiglia, ma erano portati fuori nella comunità e anche gli altri giovani dovevano imparare molto da quelle lezioni.

Se mio padre fosse ancora in vita avrebbe 109 anni! Ho vissuto con i nonni e coi bisnonni per un po’, e ricordo quello che mio nonno mi diceva. Penso che molte persone dovrebbero fare questo esercizio nella loro mente, dovrebbero scavare nelle loro vite, far ricerca degli antenati, solo così non vi sarebbero persone confuse. La prima cosa da fare sarebbe di ricercare in sé stessi per capire chi si è e cosa si vuole diventare.

10. L’essere umano è superiore agli animali e alla natura?

No! Se ascolta un uomo di medicina, o un guaritore, o un nonno o una nonna pregare, si rende conto che essi pregano rivolti ad est. Noi ringraziamo un’aquila, perché essa fa le veci del Creatore, perché è l’animale che vola più in alto: gli uccelli non volano così in alto, il serpente non vola, gli esseri umani non volano, perciò rispettiamo l’aquila. Mi è stato detto che una volta gli uomini parlavano agli animali, c’era lo sciamano che poteva farlo: egli è anche l’uomo delle medicine e può far uso di buone o cattive medicine. Penso che comunicavano con le forze del male: non so proprio come la religione possa spiegare ciò. Ho parlato molto con rappresentanti di altre delle nostre tradizioni culturali e questi possono dirle cose differenti, ma lei può dare fiducia anche a loro.

La danza del sole è una cerimonia delle popolazioni che sono ad occidente e nel sud degli Stati Uniti, la nostra cerimonia di purificazione è la sauna: il principio è lo stesso, entrambe servono a purificare e liberare la mente, le emozioni, lo spirito, andando semplicemente dentro di sé e lavandosi nel profondo per portare fuori quello che c’è dentro.

11. Qual è l’essenza dell’essere umano? È una creatura speciale con una missione speciale?

Sono stata premiata lo scorso anno per molte cose, maggiormente per aver lavorato molto per la mia gente. Sono stata premiata con una penna d’aquila, che significa che ho fatto molto. Mi fecero la stessa sua domanda ed io risposi: <<Noi siamo esseri umani, e voi siete esseri umani, condividiamo questa condizione, viviamo su questa terra, perciò dobbiamo trovare la maniera per capirci meglio. Se non comprendiamo l’altro essere umano, non sappiamo chi egli sia>>. Penso che sia fondamentale come ti insegnano a considerare una persona in famiglia. Ringrazio sempre mia madre e mio padre per la famiglia estesa che mi hanno data.