Il tulipano nero/Parte prima/XIII
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XIII
Ciò che in quel tempo passava nell’anima di uno spettatore.
Mentrechè Cornelio così divagava col pensiero, una carrozza erasi avvicinata al palco. L’era pel prigioniero, e vi si invitò a montare. Obbedì.
Il suo ultimo sguardo fu pel Buitenhof; sperava vedere alla finestra la faccia consolatrice di Rosa, ma la carrozza era attaccata a buoni cavalli, che trasportarono ben presto Van Baerle dal seno delle acclamazioni, che vociferava quella moltitudine in onore del magnanimissimo Statolder con una certa mescolanza di invettive diretta ai de Witt e al loro figlioccio salvato dalla morte.
E li spettatori perciò pensavano:
— È stata una gran bella cosa la nostra furia di giustiziare quel gran scellerato di Giovanni e quella buona lana di Cornelio, senza che la clemenza di Sua Altezza ce li avrebbe liberati come ha liberato costui!
Tra tutti quelli spettatori che erano stati attirati sul Buitenhof dalla esecuzione di Van Baerle, e che la faccenda come l’era andata, dissestava non poco, certamente il più dissestato era un certo borghigiano vestito propriamente, e che fin dalla mattina aveva così ben lavorato di mani e di piedi, che avea fatto tanto da non essere separato dal palco che dalla fila di soldati, che chiudevano l’istrumento del supplizio.
Erasi mostrato molto avido di vedere scorrere il perfido sangue del colpevole Cornelio; ma nessuno nella espressione del funesto desiderio avea mostrato l’accanimento del borghigiano in questione.
I più arrabbiati erano venuti alla punta del giorno sul Buitenhof per avere un posto migliore; ma costui più arrabbiato degli arrabbiati aveva passato la notte alla soglia della prigione, e dalla prigione era arrivato alla prima fila, come abbiamo detto, unguibus et rostro; graffiando gli uni, urtando gli altri.
E quando il boia ebbe condotto il suo condannato sul palco, il borghigiano montato sul parapetto della fontana per meglio vedere ed essere meglio veduto, aveva fatto al carnefice un gesto che significava:
— È fissato, eh?
Gesto al quale il boia aveva risposto con un altro gesto che voleva dire:
— Sta bene.
Chi era dunque il borghigiano che pareva tanto intrinseco del boia, e che voleva dire tal ricambio di gesto?
Niente di più naturale; il borghigiano era Isacco Boxtel, che dopo l’arresto di Cornelio, come abbiamo visto, era venuto all’Aya per far di tutto onde appropriarsi i tre talli del tulipano nero.
Boxtel aveva sulle prime pensato di interessarvi Grifo; ma costui in quanto a fedeltà, a diffidenza e a mancinate aveva del bouledogue. Aveva in conseguenza preso contropelo l’odio di Boxtel, avealo battezzato come un ardente amico che figurando indifferenza si maneggiasse certamente di trovare un qualche mezzo di fare evadere il prigioniero.
Però alla prima proposizione fatta a Grifo da Boxtel, di sottrarre cioè i talli, che Van Baerle se non in seno, per lo meno in qualche cantuccio della sua segrete doveva avere nascosto, Grifo non aveva risposto che con una scarica accompagnata dalle carezze del cane guardiano della scala.
Boxtel non si era perduto di coraggio ad onta di un brano di calzoni rimasto tra’ denti del mastino. Era tornato alla carica; ma questa volta Grifo era in letto, febbricitante e col braccio rotto. Egli dunque non aveva neppure ammesso il postulante, che erasi rivolto a Rosa, offrendo a quella giovinetta, in cambio dei tre talli un’acconciatura d’oro puro. Il perchè la nobile giovinetta ancora insciente del valore del furto che le si proponeva fare, e che le si offriva pagare così bene, aveva rinviato il tentatore al boia non solo ultimo giudice, ma ancora ultimo erede del condannato.
Questo rinvio fece nascere nello spirito di Boxtel un’idea. In questo mezzo la sentenza era stata pronunziata; sentenza espeditiva, come abbiamo visto. Isacco dunque non ebbe tempo di corrompere nessuno; e per conseguenza si fermò all’idea suggeritagli da Rosa; andò a trovare il boia.
Isacco non dubitava che Cornelio morisse co’ suoi tulipani sul cuore; perchè non poteva indovinare due cose:
Rosa, cioè l’amore;
Guglielmo, cioè la clemenza.
Meno Rosa e meno Guglielmo il calcolo dell’invidioso sarebbe stato giusto.
Meno Guglielmo, Cornelio sarebbe morto; meno Rosa, Cornelio sarebbe morto co’ suoi talli sul cuore.
Boxtel andò dunque a trovare il boia, si diede a costui come uno dei grandi amici del condannato, e meno gli oggetti d’oro e di argento comprò ogni spoglia del futuro morto per la somma un po’ eccessiva di cento fiorini.
Ma cosa era una somma di cento fiorini per un uomo lì lì per tal somma sicuro di comprare il premio della società d’Harlem?
Era lo stesso che mettere il denaro a mille per uno, onde bisogna convenire che era molto bene allogato.
Il boia dal canto suo non aveva niente o quasi niente a fare per guadagnare i suoi cento fiorini; solamente doveva a esecuzione finita lasciar montare il bravo Boxtel sul palco col suo servo per raccogliere gli esamini avanzi del suo amico.
La cosa del resto era in uso tra i fedeli, quando uno dei loro maestri moriva pubblicamente sul Buitenhof. Un fanatico, com’era Cornelio, poteva aver bene un altro fanatico, il quale desse cento fiorini per le sue reliquie.
Però il boia accondiscese alla proposizione. Non aveva premesso che una condizione: di essere pagato avanti.
Boxtel, come tutti coloro che entrano nella baraonde della fiera, poteva non essere contento e per conseguenza non voler pagare che alla consegna; ma pagò avanti, e aspettò.
Giudichi ognuno da questo, se Boxtel fosse agitato, se invigilasse guardie, cancelliere, esecutore, e se lo inquietassero i movimenti di Van Baerle. Come si aggiusterebbe sul ceppo? Come cadrebbe? Cadendo non potrebbe schiacciare l’inestimabili talli? Avrebbe avuto la cura di chiuderli in una scatoletta d’oro, exempli grazia essendo l’oro il più duro di tutti i metalli?
Noi lascieremo di descrivere l’effetto prodotto sopra questo degno mortale per l’ostacolo sopravvenuto alla esecuzione della sentenza. A che dunque il boia perdeva il suo tempo a sventolare la sua spada così al disopra della testa di Cornelio invece di troncarla? Ma quando vide il cancelliere prendere la mano del condannato, rialzarlo tirando fuora di tasca una pergamena; quando intese la lettura pubblica della grazia accordata dallo Statolder, Boxtel non fu più un uomo. La rabbia del tigre, del jena e del serpente schizzò da’ suoi occhi, dal suo grido, dal suo gesto; se egli fosse stato a portata di Van Baerle, sarebbesi gettato su lui e avrebbelo assassinato.
Così dunque Cornelio vivrebbe, e andrebbe a Loevestein; là nella sua prigione porterebbe i talli e troverebbevi un giardino, dove potrebbe far fiorire il tulipano nero.
Sonvi certe catastrofi che la penna di un povero scrittore non possono descrivere, e ch’egli è costretto lasciarle alla imaginazione de’ suoi lettori in tutta la semplicità del fatto.
Boxtel scornato cadde dal suo muricciuolo sopra alcuni orangisti scontenti come lui dal giro che andava a prendere l’affare, i quali pensando che i gridi cacciati dal bravo Isacco fossero gridi di gioia, lo gratificarono di pugni di tutto carato, i quali certo non sarebbero stati meglio consegnati al di là dello stretto.
Ma un pugno più o meno non poteva accrescere il dolore che provava allora Boxtel. Volle correr dietro alla carrozza che portava Cornelio co’ suoi talli; ma nella sua furia non vide un lastrone, inciampicò, perdette il suo centro di gravità, ruzzolò a dieci passi di distanza, e non rialzossi che calpestato, ammaccato, solo quando tutto il fangoso popolaccio dell’Aya gli ebbe passato di sopra.
Anco in questa circostanza Boxtel, che era in vena di malanni, ebbe pure tutti gli abiti stracciati, il dosso ammaccato e le mani sgraffiate.
Sarebbesi potuto credere che tutto ciò fosse assai pel nostro Boxtel; ci si sarebbe ingannati.
Rizzatosi, stracciossi a tutta possa i capelli, e gettolli in olocausto a quella divinità feroce e insensibile che chiamasi Invidia.
La fu senza dubbio un’offerta gradita a quella divinità che non ha, dice la Mitologia, che serpenti per capigliatura.