Il sociologo, la sociologia e il software libero: open source tra società e comunità/Capitolo 2/7

2.7 Software libero tra società e comunità

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Uno degli aspetti che attirano l'attenzione sociologica quando si parla di software libero è il fatto che che in questo ambito si usi molto il termine community (comunità). Questo fatto obbliga ad una certa attenzione ed ad una analisi accurata sul significato che tale termine assume per chi vi partecipa, che fa parte o si sente parte della community. Fin dall'inizio si è usato il termine “community” e non “comunità” proprio per indicare quello specifico ambito senza correre il pericolo di confonderlo con il concetto sociologico di comunità (Gemeinschaft). In sociologia la Gemeinschaft (comunità) versus Gesellschaft (società) ha spesso indicato rapporti premoderni versus rapporti moderni, cioè questa dicotomia è alla base, a partire da Ferdinand Tönnies (2009), di una serie di categorie dicotomiche indicative del grado di modernità: status versus contratto, tradizione versus razionalità, ascrizione versus acquisizione, adesione libera versus appartenenza per nascita, punizione versus sanzione e via dicendo. Cercando di applicare queste variabili al fenomeno del software libero, in modo immediato senza scendere troppo in analisi meticolose, ci si rende conto che in realtà il software libero tende maggiormente alla “Gesellschaft” cioè alla società più che alla comunità. In prima istanza ciò che viene a mancare completamente in questa idea di comunità è un qualsiasi riferimento alla famiglia che invece è centrale in qualsiasi concezione di comunità da Aristotele, Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino, Hegel, finanche la filosofia positiva di Comte e la sociologia metodologica di Le Play.

In realtà già prima di Tönnies, Ser Henry James Samner Maine aveva rilevato il passaggio dalla comunità alla società, dalla premodernità alla modernità attraverso il passaggio dallo status al contratto. Questo è un aspetto molto interessante nel caso del software libero perché secondo Maine la modernità è una questione di evoluzione del diritto che passa attraverso tre espedienti funzionali: le finzioni legali, l'equità, e la legge. Più interessante di tutti questi strumenti, ai nostri fini, sono le finzioni legali, cioè assunzioni che dissimulano la ratio della norma facendo leva sulla plausibilità. È il caso del copyright trasformato in copyleft che verrà esaminato più avanti. Di fatto la licenza GPL (General Pubblic License), dal punto di vista sostanziale è un copyright le cui clausole ne stravolgono il senso. In questo senso più che dire superficialmente che il contesto della community è la modernità, in quanto al contratto in sé, possiamo spingerci oltre prendendo in considerazione il processo di ulteriore modernizzazione attraverso la finzione contrattuale per delineare una prospettiva di iper-modernità o se vogliano di modernità radicale (Giddens, 1994). Più che un superamento della modernità attraverso un ritorno alla “comunità” sembra piuttosto l'anticipazione di forme inedite, non post-moderne, perché la razionalizzazione gioca ancora, come vedremo, un ruolo preminente e neppure sotto forma di materialismo storico perché non esiste in questo senso un intenzionale uso della storia per fare la storia, non viene prospettato un fine messianico o una teleologia. Sussiste come tale, è una conseguenza che si tenta di spiegare come conseguenza della modernità.

Già Nisbet (1966) aveva sottolineato che anche Durkheim, come Weber, a partire dalla seconda parte della Divisione del Lavoro (1962) si rese conto che le forme di solidarietà organica tipiche della modernità dovevano basarsi necessariamente sulla continuazione di forme di soliderietà meccanica premoderne e che la completa sostituzione delle une con le altre avrebbe portato a mostruosità sociologiche. Allo stesso modo si è già rilevato (cfr cap. 2 par. 2) come Weber avvertisse il rischio di una organizzazione sociale pervasiva a tal punto da divenire una gabbia di ferro. In qualche modo i padri della sociologia percepirono i pericoli di una razionalità e di una modernità portata agli eccessi. Ma è solo attraverso gli eventi dei totalitarismi di inizio secolo, del secondo conflitto mondiale, dell'industrializzazione della guerra e della guerra fredda che i sociologici potranno descriverne con maggiore precisione tutti i limiti. Ai nostri fini è interessante questa lucida analisi degli effetti emergenti della modernità da parte di Niklas Luhmann:

[...] l'esperienza che proprio una organizzazione che funzioni bene e che sia pienamente sviluppata secondo gli orientamenti di moda della razionalizzazione e della democratizzazione, proprio una cosi fatta organizzazione produce particolari irrazionalità. Per la crescente complessità del decidere su decisioni su decisioni su decisioni, l'auto-poiesi sviluppa strutture appropriate e una tendenza crescente a decidere di non decidere. Per il trattamento dei propri difetti, essa può applicare ancora una volta solo gli stessi strumenti che avevano prodotto quei difetti: essa cioè può applicare solo decisioni. A queste condizioni, inoltre, si atrofizza l'accoppiamento strutturale con la motivazione individuale. Poiché bisogna sempre e di nuovo decidere, manca la motivazione di rafforzarsi contro le resistenze interne ed esterne che vengono frapposte alla esecuzioni delle decisioni. (Luhmann, 2003, p. 330).

Ciò non toglie che sussistano o addirittura vengano recuperate forme comunitarie. Questi sono fenomeni che già Giddens ha spiegato come compatibili con la modernità radicale in termini di ri-aggregazione. Uno dei processi di razionalizzazione che Weber aveva identificato nel processo di modernizzazione era, ad esempio, la separazione delle attività produttive dalla vita privata e familiare mentre, nel software libero, il tempo che i volontari impiegano per sviluppare programmi viene sottratto al tempo libero. Lo stesso fatto che gli strumenti di produzione, come la connettività e ed i computer siano anche strumenti domestici rende ancora più labile questa separazione tra intimità e professione. Nulla esclude che la prossima generazione di sviluppatori, i figli dei pionieri del software libero, continuino l'opera dei padri avendo respirato in famiglia l'ethos dei genitori, avendo accesso agli strumenti ed imitando un certo stile di utilizzo degli stessi. Si potrebbe verificare in tal caso una sorta di tradizione familiare, una trasmissione di genitori in figli della professione di freelance del software libero così come accadeva nelle ghilde e nelle comunità medioevali dove le attività familiari e economiche divengono un tutt'uno.

Sussiste anche una rielaborazione in chiave iper-moderna di cultura antropologica legata ai manufatti. Questo è il software che trova la sua collocazione nello spazio virtuale. Questi manufatti contengono i contributi di tutti, non sono semplici espressioni della cultura, ma espressione del coordinamento di tutta la collettività che partecipa alla sua costruzione. Volendo cogliere l'idea di comunità morale in senso Durkheimiano, cioè trascendente, diviene immediato attribuire, in maniera transitiva, quei manufatti all'opera degli dei. In termini analogici si potrebbe asserire che proprio per il fatto che tutti vi partecipano, quei manufatti non hanno un proprietario identificato, nessuno può rivendicarne un diritto di possesso, quei manufatti sono sottratti alla negoziazione e quindi assumono una dimensione sovraindividuale. Chiaramente chi vi partecipa sa molto bene che non può attribuirgli una valenza mogico-sacrale in senso stretto, ma la cosa sconcertante è che, in quanto inaccessibili ai singoli, svolgono efficacemente la funzione del sacro pur nella consapevolezza che non sono tali. Non di meno, lo spazio virtuale dove vengono posti è presidiato da guardiani, cioè gli FTP masters, responsabili di cosa entra ed esce dall'archivio, sono coloro che decidono quali sono i software idonei ad entrare e quali no. Questi simboli “sacri” sono ciò che in definitiva tiene unita la comunità. In altri termini, si potrebbe anche asserire che la collettività necessità di una sua visibilità sovraindividuale che anziché risolversi con il ricorso al simbolismo strettamente sacro, in termini antropologici, si risolve con la costruzione autocoordinata e collettiva di manufatti tecnologici.

Secondo Durkheim uno degli aspetti che differenziano le società moderne dalle società pre-moderna è la divisione del lavoro (1962), quindi il tipo di solidarietà che ne consegue è una solidarietà organica dove ciò che unisce non sono più le uguaglianze ma le differenze. Se prendiamo in considerazione i principi di industrializzazione del software, uno dei fattori che spesso viene ribadito è, su questa base, la netta separazione tra progettista e programmatore. Il progettista ha il compito di interpretare le esigenze del committente, o del consumatore. Questo è ciò che riguarda la macroprogettazione a cui segue microprogettazione che viene elaborata secondo principi ingegneristici in un linguaggio formale, che tecnicamente si chiama pseudolinguaggio, che il programmatore deve essere in grado di interpretare e tradurre in linguaggio informatico. In queste diverse fasi dello sviluppo vi sono competenze codificate e quindi ruoli prestabiliti dove l'interdipendenza tra le fasi, e quindi gli attori che vi partecipano, è evidente.

Come abbiamo spiegato precedentemente questa suddivisione dei compiti viene meno nel software libero. Nella fattispecie la progettazione non è separata dalla programmazione. Sussiste quindi, soprattutto nella fase più matura, una divisione di ruoli tra i vari attori ma meno accentuata. Come osserva Giddens è difficile trovare società, per quanto moderne, dove siano assenti forme di aggregazione comunitaria, o come rileva Bagnasco (tracce di comunità, 1999) sussistono sempre forme di economia informale che entrano in rapporto di interscambio con l'economia formale. Vale però la pena rilevare come per il software libero vengano recuperate, in qualche misura, forme di solidarietà pre-moderne. Questo oltre ad essere un'ambivalenza della modernità stessa, è anche una forma di ri-aggregazione e di riappropriazione di saperi esperti (Giddens, 2005).

Infine, analizzando le variabili comunità/società della sociologia classica questa ambivalenza del software libero appare evidente. Se però si tiene conto, in senso funzional-strutturalista, del fatto che la razionalità moderna inciampa nella sua fase radicale in una serie di contraddizioni allora si può anche tentare di capovolgere i termini del problema. Se per relazioni societarie in contrapposizione alle relazioni comunitarie intendiamo il dispiegarsi del pensiero illuminista volto al disincanto, all'affermazione di un potere razionale, alla eliminazione della superstizione e alla affermazione del libero contratto tra individui, allora vediamo come oggi queste istanze vengano rivendicate, anche dal sentire comune, contro la società che soffre, per così dire, dei limiti della comunità medioevale. Più che un ritorno romantico alla comunità (Gemeinschaft) di Ferdinand Tönnies (2009) si tratta di un rinnovato spirito rivendicativo che ripropone quello che Sir Ernest barker aveva indicato come:

[...] immagine di individui naturalmente liberi che avevano razionalmente accettato uno specifico e limitato modo di associazione: l'uomo era l'elemento primario, i rapporti l'elemento secondario. (Nisbet, 1987, p. 69)

Questo stesso spirito rivendicativo si rivolge oggi contro quegli aspetti della società rimasti irrisolti. Non si tratta di un ritorno ad istanze comunitarie nel senso sociologico del termine, meno ancora romantico, come lascia intravedere Himanen, ma della riproposizione di istanze razionali e professionali tipiche delle modernità rivolte contro il persistere o il riemergere di caratteristiche premoderne all'interno della società moderna.