Il primo libro delle lettere (Aretino)/XVI. A messer Girolamo Agnelli

XVI. A messer Girolamo Agnelli

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XV. Al conte Guido Rangone XVII. Al conte Massimiano Stampa
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XVI

A MESSER GIROLAMO AGNELLI

È cosi buono il vino che ha voluto mandargli,
che tutta Venezia ne va in estasi.

Io non voglio, fratello, parlare dei sessanta scudi dal sole, che mi avete mandati per conto del cavallo; ma dico che, se io avessi nome di santo come ho di demonio, overo se io fusse amico del papa come gli son nimico, certo la gente, nel vedermi tanta turba a l’uscio, credeva o che io facessi miracoli o che ci fusse il giubileo. E ciò mi avviene, bontá del buon vino che mi avete mandato; per la qual cosa non è oste che abbia la facenda che hanno le mie persone di casa, cominciando la mattina a l’alba a empiere i fiaschi ai servitori di quanti imbasciatori ci sono, salvo la grazia di quello di Francia, che gli [p. 23 modifica]dá laude che bastarebbeno al suo re. E io, per me, ne sono insuperbito ne la maniera che insuperbiscono alcuni cortigianetti spelatini, quando il signor loro gli pon la mano in su la spalla o gli dona una sferra de le sue cose vecchie. E ho ragione di grandeggiarne, perché ciascun buon compagno si fa venir sete a posta per venire a tracannarne due o tre bicchieri; né si dice altro, dove si mangia o siede o camina, che del mio perfetto vino: onde io son piú conosciuto per suo conto che per il mio, ed era disfatto, se sí solenne bevanda non veniva. E parmi un bel che, sendo in bocca fin de le puttane e de le taverne per amor de la sua dolcezza, che bascia e morde. E la lagrimetta, che pone in sugli occhi di chi ne bee, mi fa lagrimare, mentre che io ne ragiono con la penna: or pensate ciocché mi faria, vedendolo saltare nel suo color brillante in una tazza di vetro puro ben lavata. Insomma gli altri vini, che mi avete mandati, han perduto il credito ne la memoria che se ne teneva. E mi incresce che messer Benedetto, vostro fratello, mi mandasse le due cuffie d’oro e di seta turchina, perché averia voluto transfigurarle in vino cosí fatto. E, se non che io ho paura che Bacco non se ne vantasse con Apollo, intitolarei una opra a la botte dove egli è stato, a la quale si doveria avere altra divozione che al sepolcro de la beata Lena da l’oglio. Ora non mi resta altro a dire, se non che, al dispetto de la immortalitá, diventarò divino, se mi visitate almeno una volta l’anno con tal graspea.

Di Venezia, il 11 di novembre 1529.