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Il prigioniero del Caucaso II

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I.


I Circassi disoccupati siedono a crocchio sulle soglie dell’aul.1 I loro ragionamenti versano intorno ai pericoli della guerra, alla bellezza dei destrieri, alle delizie della vita alpestre; narrano le loro incursioni nei paesi nemici, i tremendi rovesci delle loro sciabole, l’agilità delle loro frecce inevitabili, gli stratagemmi de’ loro accorti capitani, la distruzione dei borghi incendiati e le tenere carezze delle captive dalle pupille nere. Così van discorrendo in mezzo al silenzio della notte, e intanto la luna albeggia fra i vapori. Ma tutto a un tratto ecco comparire un cavaliere che strascina dietro a sè un giovine prigioniero legato ad una fune. "È un Russo!" esclama il Circasso vincitore. A quel grido tutto l’accampamento accorre in furia, e ogni cuore freme di vendetta. Il prigioniero muto, intirizzito, giace immobile colla testa bassa e mal concia; non mira i suoi nemici; non bada alle minacce nè alle strida; l’ombra della morte sembra che già imbruni la di lui faccia e un feral gelo gli serpe per l’ossa.

Rimane steso a terra, abbandonato e solo. Verso mezzo giorno, una lieta scintilla di sole gli irradia la [p. 4 modifica]fronte: ristorato da quel dolce calore, si sente rinascere, e pian piano solleva dal suolo il debil fianco; gira lentamente gli occhi intorno, e ovunque li fissa, niente altro distingue che monti inaccessibili, asilo d’un popolo di predoni, riparo e rôcca naturale dei Circassi. Serba appena una imagine confusa dell’accaduto; ma ode tintinnire le catene che gli gravano i piedi: quell’orribil suono gli richiama a mente la sua condizione funesta; e allora, più non scorge nè terra nè cielo. Addio, cara e santa libertà! Egli è schiavo.

Ha per covile un recinto di pali fortissimi, contiguo alle capanne dei masnadieri. I Circassi vagano per la pianura; l’aúl è vuoto d’abitanti; nessuno osserva il giovine Russo. Dinanzi a lui schiudonsi le profonde valli del Caucaso ammantate di verdeggianti selve; al di sopra schieransi in anfiteatro i gioghi e le guglie irte di ghiaccio. Un sentiero tristo e solingo sale e scende su quelle pendici, e svanisce per quelle foreste. A tal vista, il petto dell’infelice palpita commosso da violenti affetti.... Quel sentiero conduce in Russia, nella contrada ove altero, avventuroso, passò i più belli anni suoi; ove assaporò le prime gioie della vita, ove amò tanto, ove tanto soffrì, ove, finalmente, dopo aver lasciato nel vortice delle passioni la speranza, l’allegria, il desiderio, recuperò una seconda volta le illusioni dell’età fiorita. Adesso egli conosce gli uomini, e sa valutare a dovere questa nostra fugace esistenza. Fra i fiori dell’amicizia ha incontrato il laccio del tradimento; nel nappo dell’amore ha sorbito un veleno; ludibrio d’una vanità ch’egli pur da gran tempo aborriva, bersaglio della maldicenza bifida e [p. 5 modifica]della onesta calunnia, egli lasciò il patrio nido, e apostata della società, spiegò l’ali verso una riva longinqua, colla libertà per guida e per compagna.

Ma ormai son caduti nel nulla tutti i suoi progetti, le ultime sue illusioni son andate fallite: egli è schiavo. Posa il capo sopra un masso che indorano li estremi riflessi del crepuscolo vespertino, e aspetta la morte. Già la luce del giorno è spenta. Uno strepito tumultuoso sorge in lontananza; i malandrini riedono agli aúl, armati di falci. La brace sfavilla nei focolari; a poco a poco il rumore si va placando, la calma e il riposo occupano la terra. La luna dirada l’oscurità e a quel tremolo bagliore l’occhio discerne nella valle un ruscelletto che saltella spumante di balza in balza, e le nuvole che s’attorcono qual turbante alle vette serene dei monti. Ma chi s’avanza con passo cauto e lento sotto la face dell’astro notturno? Il Russo si desta; vede una fanciulla circassa che a lui s’appressa; la mira con mestizia, ed esclama: “È un sogno quel ch’io miro, è una larva suscitata dalla mia delirante fantasia?".... Col bel volto suffuso d’un sorriso di simpatia la vergine s’inginocchia accanto al prigioniero, e gli mesce una tazza di kumi2 rinfrescante. Egli afferra la tazza, ma non pensa a gustarne; sugge invece i soavi raggi che piovono da quei begli occhi, e invaghito della vezzosa incognita, si affatica, ma indarno, di comprendere i suoni che vibrano su quelle rosee labbra. Non penetra il senso delle parole non udite avanti, ma capisce bensì la grazia di quello sguardo, il rossore di quelle [p. 6 modifica]guance, l’intonazione di quella voce che gli dice: "Coraggio!" Già il prigioniero si sente meno sconsolato. Gli si ravvivan le forze; erge il capo languido, e appaga l’ardente sete nella bevanda offertagli. Poi ricompone la testa sopra il sasso; ma non rimuove più la vista dalla gentil donzella, la quale sen sta a lungo seduta accanto a lui per confortarlo; e sebben egli non possa intenderla, pure essa segue a parlargli e parlandogli sospira; e i di lei biondi cigli s’imperlano di lacrime.

Il tempo passa come onda. Il prigioniero incatenato mena i giorni pei monti custodendo la greggia. Il gelido arco d’una grotta lo difende dagli ardori del sole; e quando l’eburnea luna sorge sui colli, la gentil verginella, sboccando da un sentiero coperto e misterioso, gli arreca del kumi, del miele e della candida farina di miglio; divide seco lui quel pasto clandestino, e frattanto contempla assiduamente lo straniero. Finita la cena, gli modula le canzoni della Georgia; gli spiega coi gesti i termini che gli riescono oscuri, e fa di tutto per imprimergli nella mente qualche parola circassa. Essa ama per la prima volta, per la prima volta prova la voluttà; ma il Russo non può corrispondere a quell’affetto ingenuo, leale, sviscerato; forse teme di raccendere una antica fiamma da gran tempo sopita. La gioventù non fugge improvvisamente, la virtù sua non ci abbandona a un tratto, e spesse volte in età matura godiamo un diletto inaspettato: ma non ti ritroviamo mai più, cara illusione del primo amore, delirio celeste della prima passione; no, tu non torni più mai.

Il prigioniero dissimulava il rammarico della sua [p. 7 modifica]perduta libertà, e sembrava essersi per disperazione rassegnato al suo nuovo e crudel destino. Durante le fresche ore mattutine, egli si reca a stento fra gli ispidi scogli; getta l’avido sguardo sulle lontane schiene dei monti grigi, cerulei, biondeggianti, maraviglioso quadro dipinto dalla natura. Le loro ardue sommità gli appariscono quai troni delle nevi eterne e delle tempeste. Framezzo a quei vertici sublimi spiccasi l’Elboro, colosso bicipite, cinto d’un diadema di gelo il cui splendore gareggia col chiaror degli astri. Allorchè scoppiavan le saette e rimbombava la voce del tuono mista a quella dei turbini, oh quante volte il prigioniero si fermò immobile sul cucuzzolo d’un poggio che sovrastava all’aúl! Le nubi fluttuavano come mare sotto ai suoi piedi; una colonna di polvere rotava per la steppa; il cervo impaurito ricoveravasi nelle caverne; le aquile si libravano inquiete intorno ai precipizi, e assordavano l’eco con acuti schiamazzi; il calpestio dei cavalli, il muggito degli armenti, facevan coro al suon della bufera. La grandine e la pioggia scrosciavano sui prati pei fori delle nuvole indorate dallo splendor dei lampi; mille torrenti, nati in un momento sulle groppe dei monti, squarciavano il terreno in ogni dove, e rovinavano abbasso levando seco ingenti blocchi di granito.... Il prigioniero frattanto solo sulle alture dietro il nembo e la folgore, aspettava che riedesse il sole apportator di calma, e ascoltava con secreto diletto l’impotente furore della burrasca.

Ma con maggior dolcezza ancora osservava egli i costumi di quei popoli, le loro pratiche religiose, il loro modo d’educazione. Ammirava la semplicità, [p. 8 modifica]l’ospitalità, l’indole guerresca dei montanari. L’incantava la sveltezza dei loro movimenti, l’agilità dei loro passi, la robustezza delle loro braccia; si compiaceva in vedere il giovine circasso, il quale, colla berretta a punta sulla testa, colla burca3 sulle spalle, incurvando il petto sul pomo della sella, assettando il piccol piede nelle staffe, varca i deserti illimitati sull’ali d’un destriero, e così s’indura da fanciullo ai pericoli della vita errante del bandito. Il Russo esamina con curiosità l’abbigliamento bellico di quegli eroi selvaggi. Ogni Circasso va irto di ferro; nell’armi sue ripone egli il suo onore e il suo bene; sempre ha indosso una maglia, un archibugio, una faretra, una balestra, uno stiletto, un laccio, e una sciabola compagna fedele delle sue fatiche e dei suoi riposi. Tale peso è per lui lieve, e porta quelli attrezzi in modo, che nemmen quando egli cammina fanno il minimo rumore. Fante o cavaliere, ogni Circasso ha aspetto truce e indomito, e combatte senza posa i neghittosi Cosacchi. Il Circasso ha per tesoro e per amico costante e paziente il suo corsiero, figlio dei più belli stalloni dell’Asia. Con questo si appiatta in un antro o fra l’erba fitta; tutto a un tratto, si slancia come fulmine sul viandante; in men che nol dico, abbatte l’infelice, gli avvolge un laccio al corpo, e dietro se lo tira a traverso i burroni e i dirupi. Il cavallo tocca terra col ventre; si fa strada dappertutto, per le paludi, per le macchie, pei dumeti, pei greppi e per le frane: una striscia di sangue segna i luoghi ove passa. Ecco, cápita a un torrente [p. 9 modifica]che trabocca: ma non perciò s’arresta; s’avventa impavido nel baratro spumoso, e il prigioniero immerso in seno alla voragine assaggia l’acqua torbida, e invoca la morte a liberarlo da tanti mali. Ma il vigoroso cavallo ha già raggiunto la riva e già riprende il suo corso a traverso il deserto.

Alcune volte il Circasso ferma uno stipite sbarbicato che nuota in preda alle acque; e quando il cupo drappo della notte involve i colli, l’avventuriere depone sulle radici, o appende ai rami degli alberi circostanti la targa, la burca, la lorica, l’elmo, e non serba presso sè che il turcasso e l’arco; quindi entra pian piano e con risoluzione nelle rapide onde. La terra tace; il fiume ferve e rugge; il tronco galleggiante sen porta, come navicella, l’animoso sgherro. I Cosacchi sparsi sulle sponde e sulle erte, appoggiati alle aste, considerano il torrente scevri d’ogni sospetto, e già l’omicida sta loro vicino e li minaccia. A che pensi, o Cosacco? Riepiloghi forse le tue antiche prodezze, le veglie nei bivacchi, le preghiere alzate al cielo avanti la lotta per la patria? O rimembranze perfide!... Addio i liberi villaggi, il tetto paterno, il maestoso Tanai, le zuffe ardenti e le belle fanciulle! Il barbaro nemico già ti adocchia; la freccia scocca dall’arco, parte, sibila.... e il misero Cosacco, ferito a morte stramazza al suolo. Ma quando imperversano gli elementi, il Circasso se ne sta tranquillo colla sua famiglia accanto al focolare acceso; e allora, se il viandante stanco, sorpreso dalle tenebre, entra nel tugurio del guerriero e si asside sopra uno scanno, il padrone si rizza per far lieta accoglienza al forestiero, gli augura la buona venuta, [p. 10 modifica]e gli fa empire una ciotola di tcikir4 odoroso. Lo straniero imbacuccato nel suo gabbano stillante di pioggia, riposa in sicurezza nella casipola affumicata, e, la mattina seguente, lascia con rincrescimento il queto ospizio ove ha pernottato.

Fu un tempo in cui i giovani si adunavano per festeggiare il santo Beiram con mille giochi diversi. Ora, dividendo fra loro un turcasso pieno, trafiggevano coi pennuti strali l’aquila spaziante fralle nubi; ora, al cenno convenuto, piombavano impetuosi dal sommo di un colle, e come daini che radono appena il piano, correvano tutti a gara pei campi polverosi.

Ma la pace monotona genera tedio nei cuori nati alle battaglie; e non di rado fra i divertimenti dei giorni d’ozio sorgevano tremende contese. Spesse volte in mezzo ai tripudi ed ai banchetti si vedevan balenar le scimitarre, e le teste degli schiavi rotolare a terra fra gli applausi feroci dei fanciulli.

Il Russo si contentava d’assistere a quei sanguinosi scherzi, ma non vi prendeva parte. Anche egli avea provato la febbre della gloria e ambito una illustre fine. Martire d’un onore spietato, anche egli avea veduto la morte da vicino, esponendosi con calma e con fermezza alle palle micidiali dei duelli. Forse gli torna in mente, contemplando quei certami e quei simposi, il tempo in cui circondato d’amici egli sedea con essi a lauta mensa? — Forse lo ange la rimembranza dei dì spariti, delle speranze perdute? — oppure osserva con gaudio quei semplici e barbari diporti e con curiosità vi studia quasi in uno

Note

  1. Aul chiamano i Circassi i loro accampamenti o villaggi.
  2. Bevanda fatta d’acqua e di latte di cavalla agro.
  3. Sorta di ferraiuolo di panno nero e di pelliccia.
  4. Così chiamano i Circassi il vino.