Il presagio de' giorni
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IX
IL PRESAGIO DE’ GIORNI
ALL ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO PRINCIPE
D. LORENZO MEDICI.
Se giammai per campagne alpestri ed erme
Ruppe le cacce tue bruma improvvisa,
Invidïando a’ tuoi diletti, ascolta
O de’ regi Tirreni amabil germe,
5Quel, ch’oggi io canto, e ti fian conti i giorni
Da dare assalto alle selvagge fere:
E se volgendo gli anni in campo armato
A bella impresa spiegherai bandiere,
Saprai da i nembi irati, e dalle spume
10De i fier torrenti assicurar le schiere:
Ne men spiegando le velate antenne
Apprenderai quando s’adegua in calma,
E quando il mare ha di gonfiar costume.
Io non vaneggio; a’ piè di Pindo intesi
15Delle vergini Muse i canti egregi,
E gli commisi alla mia cetra intenta
Mai sempre in terra a riverire i regi;
Or dà l’orecchio a i non vulgari accenti.
Se quando l’Ore con la man di rose
20Al focoso Piroo mettono il freno,
E l’Alba dell’Olimpo apre le porte
Al Sol, che torna ad illustrare il mondo,
Ei cosparso di macchie sanguinose
Move per l’alto, e rugginosa nube,
25Quasi di fumo il va tingendo intorno,
Sì che ’l volto di lui non sia giocondo,
Posa Lorenzo, e nelle regie stalle
Lascia il destrier, che ne i turbati giorni
È mal consiglio travagliar le selve:
30Godano alcuna requie i fier molossi,
E stian sicure in suo covil le belve;
Però che i prati, e le solcate piagge
Inonderà nembo di verno, e scesa
Dal seno delle nubi orrida pioggia
35Trascorrerà le regïon selvagge;
E se vedrai del Sol la faccia offesa
D’atri colori, e rosseggiare a sera;
O se quando del mar tocca i confini
Ei disperge per l’aria i raggi d’oro
40Confusamente, e si rabbuffa i crini,
Aspetta il giorno, che verranne appresso,
Aspro, e perverso: orribilmente foschi
Fieno i campi dell’aria, e fiero sdegno
D’acque sopra la terra, e Borea, ed Ostro
45Impetuosi abbatteranno i boschi.
Tal era il Sol, quando su rei Ciclopi
Fe’ del morto Esculapio aspra vendetta:
Allora ei tese l’arco, e scelse i dardi
Nella faretra, che pendea sul tergo;
50E tre fïate con la destra irata
Scoccò la corda, ogni percossa stese
D’un fier gigante le riarse membra
Sull’ampio suol dell’affumato albergo.
Nè meno al guardo uman segno sicuro
55Porge di tempo rio l’umida luna,
Quando sorge novella, e quando appare
Per lo smalto del ciel di velo oscuro
Tutta coperta: e s’ella poi sen poggia
Per le superbe vie bruna le corna,
60Regnerà pioggia; e se nel terzo giorno,
Da che mostrò nell’alto il puro argento
Le pareggiate corna al ciel rivolge,
Regnerà vento: ma tien fisso il guardo,
Che se nel quarto dì, da che raccese
65Cintia la face ne i fraterni lumi,
Da densa nube ella sostiene oltraggio,
Ed abbia corna rintuzzate, allora
Torbidi udransi risonare i fiumi
Per grossa piova: e rinforzando orgoglio
70Usciran mostri dall’Eolio speco
Gonfi le gote, e tempestando i campi
Apporteranno all’Arator cordoglio.
Or solleva la fronte, ed alza il ciglio
Per lo seren delle celesti piagge,
75Mentre Febo nel mar lava le rote
Dell’infocato carro, e terge i rai
Nell’ampio sen della cerulea Teti,
450Pon mente, e quando colassù vedrai
Fuor di costume stelleggiar fiammelle,
E per lo spazio de i notturni orrori,
Oltra l’usato scintillar le stelle,
Non aspettar chiara stagione: e quando
455Il bel fulgor di quelli eterni lumi
Si tinge di livor, prenda conforto,
O Lorenzo gentil, tua gioventute,
A suon di cetra festeggiar donzelle
In regia stanza, e fa piacevo! schermo
460Del dì seguente alla nojo§a asprezza
Minaccioso di lampi, e di procelle.
Ma non però sempre a fermarsi intento
Vo’ nell’alto’ del ciel dannarti il guardo:
Cento quaggiù certi messaggi in terra
465Ti narreran, quando aspettar dèi pioggia.
La Rondinella, se d’intorno al fiume,
O dove lago limpido ristagna,
Tesse, radendo terra, i suoi viaggi,
O lieta in quello umor bagna le piumo:
470E ne mai per aperta ampia campagna,
Pascendo lungo i ruscelletti chiari,
Solleva la giovenca alto la testa,
E l’aure accoglie con aperte nari:
Il gufo, il gracidar della cornice,
475E del corbo non men la negra voce,
Che bagnerassi al villanel predice.
Che più dirotti? La sfacciata mosca,
Se a ripugnere altrui riede veloce;
E se soverchio, e se nojosa crocchia
480Istabilmente la gallina, e l’osso
Pur del becco si ficca entro le piume,
Altrui consiglia, o non salire in sella,
O di rigido feltro armarsi il dosso.
Ritrarsi in parte è naturai costume
485Della civetta, tutta d’oro il guardo,
Ove l’acque cadenti ella disprezzi,
Qualor ne teme: e mirerai ben ratta
La dipinta anitrella ire all’albergo,
Nè far dimora sotto il cielo aperto.
490Chi crederà, che da vicin conosca
L’ore piovose l’ingegnosa pecchia,
Sicchè da lungi alle magion cerate
Ala non spieghi? ora seren non speri
Ne’ giorni asciutti chi vedrà spezzate
495Le belle sete, che per l’aria fila
La sciocca Aracne. Era costei donzella
Già vermiglia le gote, e neve il petto,
È dalie ciglia sfavillava ardore,
Ardor, che in seno altrui spargea diletto,
500Singolar pregio di quei tempi, ed era
Di lei gran pregio colla man leggiadra
Sedere al subbio, ed ordinar le tele:
Ma sua virtù la fe’ soverchio altiera:
Sfidò Minerva, e di lavori egregi
505Si mise in prova, e cadde vinta al fine:
La vincitrice per l’orgoglio indegno,
Spogliolla di beliate, e la converse
In tetro ragno: ahi troppo fier disdegno!
E l’infelice, in così vil sembianza,
510Riserba ancor quelle vaghezze istesse;
Cerca luoghi remoti, e quivi torce
Aerei fili, e solitaria tesse;
Ma quando il cielo è sullo spander pioggia,
Ella ben poco nel lavor s’avanza.
515Che il fil si tronca. Or Narrerotti quando
Repente il mare è per gonfiare il seno:
Dunque là, dove se ne torna al lito
L’umido mergo, e se ne van scherzando
Le folaghette in sull’arena, allora
520Troppo sarebbe il pescatore ardito,
Fidando all’onda le piombate reti;
Ma quando senza vento in mar sentito
Fia chiusamente incominciar rimbombo,
E quando poi dell’Appennin su’ gioghi
525Udrai la selva risonar da lunge,
Fermati in cor, che sorgeran tempeste:
Via più, se l’Airon forte sull’ali
Dispiega il volo, e sovra i nembi ascende:
Via più, se vedrai ber l’Arco celeste.
530O di Firenze tua diletto, e speme,
Ove ciò scorgi, non soffrir Lorenzo,
Che legno sciolga, nè se fosse legno
Ben corredato dello stuol fraterno:
E ben mi so che le toscane antenne
535Sforzano ogni onda, e che terribil verno
Non basta a sbigottir tirrena prora;
Ma troppo immenso e sovrumano assalto
L’ira del vasto mar muove talora:
Il vidi già ne’ procellosi golfi
540Imperversarsi, e le profonde arene
Sparger su’ campi seminati, e l’acque
De i gran torrenti rimandare a i fonti;
Allor superbo sommergea gli scogli,
E quasi nel furor scolerà i monti:
545Fremeano i venti, e tra’ spezzati nembi
Tonava il ciel: quivi in crudel sembiante,
Che fu mirarsi il Tridentier tiranno
Andar mugghiante? andar spumante? ah provi
Tal ira il Trace alle sue navi intorno;
550E noi l’empia stagion lieti rimiri
In bella calma entro il real Livorno.
Dir deggio omai, quando aspettar sereno
Dobbiam, che rida agli occhi nostri, e quale
Sarà il presagio, e cih darallo: ascolta,
555Che in brevi detti narrerollo appieno.
Se mai la luna per gli eterei campi,
Poichè feo manifesto il caro argento
In sul quarto apparir, le corna aguzza,
E schietta mostra la gentil chiarezza
560Della virginea faccia, è van spavento
D’aerea ingiuria, finchè in ciel non celi
Il bel fulgor del varïabil volto:
Possono ricchi fregi, e panni aurati
Vestir giovani donne, e sceglier fiori
565Per l’aperte campagne, e far ghirlande.
E possono carcar legni spalmati
D’indiche merci i Littorani Iberi,
Ed arricchirne di Liguria i porti:
Ma da chi s’averan segni più veri,
570Che dall’istesso Sole? Il Sol quando esce
Dall’Oceàn, se via più grande appare,
E, sormontando poi torna minore;
E se quando risorge ha chioma d’oro,
E terso il volto, e di vivace ardore;
575E se tale mantiensi, ove s’affretta
Di là d’Atlante, e tu giocondo il mare,
E seco l’aria di zaffiri aspetta.
Sì fattamente per lo ciel si volse
Nella stagion, che Cosmo incliti voti
580All’alta Imperatrice delle stelle
Nel Tempio eccelso di Loreto sciolse;
Quantunque allor non pure aura soave
Sgombrò le nubi, e fe’ tranquille l’onde:
Ma sotto il caro piè creava il suolo,
585Ovunque trapassò, fronde novelle,
E s’ornavan di fior l’alpestri sponde;
E le verdi Napee cinte le chiome
Di bei corimbi gli tessevan canti,
Ed ogni antro eccheggiava al chiaro nome.
590Che più? se dall’Olimpo in terra scesa
L’amabil Pace gli volava avanti
Del civil odio medicando i cori?
Sicchè l’aspre città sbandite l’armi,
Ed ascoltando d’Imeneo le leggi
595Fean per tutto sonar cetre ed amori.
Tempo dunque verrà, che padri ed avi
Additeranno a’ pargoletti i sassi,
I campi, le foreste, ove ripose
Sì nobil re peregrinando i passi;
600E narreran, come in gelato mese
Corser, quasi d’april, tepidi venti:
Tanto a lui dimostrossi il ciel cortese.