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del chiabrera 229


450Pon mente, e quando colassù vedrai
Fuor di costume stelleggiar fiammelle,
E per lo spazio de i notturni orrori,
Oltra l’usato scintillar le stelle,
Non aspettar chiara stagione: e quando
455Il bel fulgor di quelli eterni lumi
Si tinge di livor, prenda conforto,
O Lorenzo gentil, tua gioventute,
A suon di cetra festeggiar donzelle
In regia stanza, e fa piacevo! schermo
460Del dì seguente alla nojo§a asprezza
Minaccioso di lampi, e di procelle.
Ma non però sempre a fermarsi intento
Vo’ nell’alto’ del ciel dannarti il guardo:
Cento quaggiù certi messaggi in terra
465Ti narreran, quando aspettar dèi pioggia.
La Rondinella, se d’intorno al fiume,
O dove lago limpido ristagna,
Tesse, radendo terra, i suoi viaggi,
O lieta in quello umor bagna le piumo:
470E ne mai per aperta ampia campagna,
Pascendo lungo i ruscelletti chiari,
Solleva la giovenca alto la testa,
E l’aure accoglie con aperte nari:
Il gufo, il gracidar della cornice,
475E del corbo non men la negra voce,
Che bagnerassi al villanel predice.
Che più dirotti? La sfacciata mosca,
Se a ripugnere altrui riede veloce;
E se soverchio, e se nojosa crocchia
480Istabilmente la gallina, e l’osso
Pur del becco si ficca entro le piume,
Altrui consiglia, o non salire in sella,
O di rigido feltro armarsi il dosso.
Ritrarsi in parte è naturai costume
485Della civetta, tutta d’oro il guardo,
Ove l’acque cadenti ella disprezzi,
Qualor ne teme: e mirerai ben ratta
La dipinta anitrella ire all’albergo,
Nè far dimora sotto il cielo aperto.
490Chi crederà, che da vicin conosca
L’ore piovose l’ingegnosa pecchia,
Sicchè da lungi alle magion cerate
Ala non spieghi? ora seren non speri
Ne’ giorni asciutti chi vedrà spezzate
495Le belle sete, che per l’aria fila
La sciocca Aracne. Era costei donzella
Già vermiglia le gote, e neve il petto,
È dalie ciglia sfavillava ardore,
Ardor, che in seno altrui spargea diletto,
500Singolar pregio di quei tempi, ed era
Di lei gran pregio colla man leggiadra
Sedere al subbio, ed ordinar le tele:
Ma sua virtù la fe’ soverchio altiera:
Sfidò Minerva, e di lavori egregi
505Si mise in prova, e cadde vinta al fine:
La vincitrice per l’orgoglio indegno,
Spogliolla di beliate, e la converse
In tetro ragno: ahi troppo fier disdegno!
E l’infelice, in così vil sembianza,
510Riserba ancor quelle vaghezze istesse;
Cerca luoghi remoti, e quivi torce
Aerei fili, e solitaria tesse;
Ma quando il cielo è sullo spander pioggia,
Ella ben poco nel lavor s’avanza.
515Che il fil si tronca. Or Narrerotti quando
Repente il mare è per gonfiare il seno:
Dunque là, dove se ne torna al lito
L’umido mergo, e se ne van scherzando
Le folaghette in sull’arena, allora
520Troppo sarebbe il pescatore ardito,
Fidando all’onda le piombate reti;
Ma quando senza vento in mar sentito
Fia chiusamente incominciar rimbombo,
E quando poi dell’Appennin su’ gioghi
525Udrai la selva risonar da lunge,
Fermati in cor, che sorgeran tempeste:
Via più, se l’Airon forte sull’ali
Dispiega il volo, e sovra i nembi ascende:
Via più, se vedrai ber l’Arco celeste.
530O di Firenze tua diletto, e speme,
Ove ciò scorgi, non soffrir Lorenzo,
Che legno sciolga, nè se fosse legno
Ben corredato dello stuol fraterno:
E ben mi so che le toscane antenne
535Sforzano ogni onda, e che terribil verno
Non basta a sbigottir tirrena prora;
Ma troppo immenso e sovrumano assalto
L’ira del vasto mar muove talora:
Il vidi già ne’ procellosi golfi
540Imperversarsi, e le profonde arene
Sparger su’ campi seminati, e l’acque
De i gran torrenti rimandare a i fonti;
Allor superbo sommergea gli scogli,
E quasi nel furor scolerà i monti:
545Fremeano i venti, e tra’ spezzati nembi
Tonava il ciel: quivi in crudel sembiante,
Che fu mirarsi il Tridentier tiranno
Andar mugghiante? andar spumante? ah provi
Tal ira il Trace alle sue navi intorno;
550E noi l’empia stagion lieti rimiri
In bella calma entro il real Livorno.
Dir deggio omai, quando aspettar sereno
Dobbiam, che rida agli occhi nostri, e quale
Sarà il presagio, e cih darallo: ascolta,
555Che in brevi detti narrerollo appieno.
Se mai la luna per gli eterei campi,
Poichè feo manifesto il caro argento
In sul quarto apparir, le corna aguzza,
E schietta mostra la gentil chiarezza
560Della virginea faccia, è van spavento
D’aerea ingiuria, finchè in ciel non celi
Il bel fulgor del varïabil volto:
Possono ricchi fregi, e panni aurati
Vestir giovani donne, e sceglier fiori
565Per l’aperte campagne, e far ghirlande.
E possono carcar legni spalmati
D’indiche merci i Littorani Iberi,
Ed arricchirne di Liguria i porti:
Ma da chi s’averan segni più veri,
570Che dall’istesso Sole? Il Sol quando esce
Dall’Oceàn, se via più grande appare,
E, sormontando poi torna minore;
E se quando risorge ha chioma d’oro,
E terso il volto, e di vivace ardore;
575E se tale mantiensi, ove s’affretta
Di là d’Atlante, e tu giocondo il mare,
E seco l’aria di zaffiri aspetta.
Sì fattamente per lo ciel si volse
Nella stagion, che Cosmo incliti voti
580All’alta Imperatrice delle stelle
Nel Tempio eccelso di Loreto sciolse;